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SUMMIT DI HELSINKI

Trump e Putin parleranno di Europa. Ma senza l'Europa

Trump e Putin si incontreranno il prossimo 16 luglio a Helsinki. Fra le mille voci che circolano, sul depotenziamento della Nato, un possibile riconoscimento dell'annessione russa della Crimea e il ritiro iraniano dalla Siria, non si sa cosa sia vero e cosa è solo un bluff. Una cosa è certa: l'Europa resta sullo sfondo, si è fatta rubare l'iniziativa.

Esteri 02_07_2018
Vladimir Putin e John Bolton

Trump e Putin, i presidenti delle due più grandi potenze nucleari del mondo, si incontreranno il prossimo 16 luglio a Helsinki. Il summit si terrà nel corso di un “tour” europeo del presidente statunitense Donald Trump. Questo inizierà con la sua partecipazione a un vertice Nato l’11 luglio, poi una visita a Londra per incontrare la regina e la premier Theresa May, infine a Helsinki per il primo incontro faccia a faccia con Putin. La preparazione del terreno è stata compiuta dal Consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, che ha incontrato il capo di Stato russo la settimana scorsa, accolto a Mosca con tutti gli onori. Cosa ci si attenda da questo prossimo summit è ancora oggetto di speculazione (e di violente polemiche), ma l’agenda parrebbe includere le questioni siriana e ucraina, terreni di scontro che riguardano direttamente anche l’Europa.

La prima polemica che riguarda direttamente il vecchio continente è nata da frasi che il presidente americano parrebbe aver pronunciato, in privato, nel corso del vertice del G7, in Canada. Avrebbe definito la Nato “negativa tanto quanto il Nafta”. Considerando che Trump, il Nafta (trattato di libero scambio fra gli Stati nord americani) lo vorrebbe rinegoziare da capo, per i capi di Stato dei paesi Nato potrebbe essere in arrivo una doccia fredda. Il presidente statunitense ribadisce ora quel che aveva sempre detto anche in campagna elettorale: i paesi europei vanno troppo al traino degli Usa quando si parla di difesa comune. Sono un peso più che un’opportunità per la sicurezza comune. A onor del vero, appena cinque paesi rispettano il minimo sindacale della spesa per la difesa, il 2% del Pil, e di questi almeno due, la Grecia e la Turchia, destinano gran parte delle loro risorse militari a difendersi l’uno dall’altro. Trump solleva in modo esplicito, quel problema che anche l’amministrazione Obama ha sempre indicato, pur in modo più diplomatico. I commenti dell’attuale inquilino della Casa Bianca hanno già provocato la loro prima “vittima”: l’ambasciatore Usa in Estonia, James Melville, ha rassegnato le dimissioni. Questi commenti riportati a microfono spento, più l’altra voce secondo cui gli Usa si appresterebbero a fermare le prossime manovre militari Nato nell’Europa orientale, in un momento come questo, alla vigilia del summit Trump-Putin, fanno pensare che il presidente americano abbia intenzione di cestinare l’Alleanza Atlantica, la più longeva della storia.

Di più: gira anche voce che Trump, a Helsinki, possa riconoscere l’annessione russa della Crimea. Cioè l’origine (nel 2014) di tutta la tensione fra la Nato e la Russia, la causa delle sanzioni occidentali e dell’embargo russo sul nostro agro-alimentare. Anche questa voce parte da frasi pronunciate da Trump a microfono spento durante il G7, dove avrebbe detto che la Crimea è russa perché “lì, la gente parla russo”. In una conferenza stampa tenuta in volo, a bordo dell’Air Force One, il 29 giugno, a domanda diretta, il presidente Usa ha risposto in modo vago (“si vedrà”) quindi senza escludere la possibilità di un riconoscimento. Una vaghezza che, per molti giornalisti, è una conferma. Idem dicasi sulla possibilità di levare le sanzioni alla Russia: se la Crimea dovesse essere riconosciuta come parte della Federazione russa, è giocoforza che le sanzioni americane verranno rimosse. Anche a questa ipotesi, a domanda diretta, Trump ha risposto in modo vago, senza smentire. Ha dichiarato, in modo chiaro questa volta, che lo scopo del summit di Helsinki sarà quello di migliorare le relazioni fra Mosca e Washington, che per ora sono state le peggiori dalla fine della guerra fredda.

“Non vedo nulla di strano nell’incontro fra il presidente Trump e il presidente Putin – ha commentato John Bolton, rispondendo alle numerose critiche di questi giorni – Se guardiano la cronologia degli incontri dell’anno scorso, apprendiamo che i leader di Regno Unito, Germania, Francia, Grecia, Finlandia, Austria, Belgio e Italia hanno tutti avuto incontri bilaterali con il presidente Putin”. Sulle questioni più scottanti, cioè Crimea, Ucraina e sanzioni economiche, Bolton ha raffreddato i bollori, affermando che non sono sul tavolo grandi svolte. Il riconoscimento dell’annessione della Crimea alla Russia “non è la posizione degli Stati Uniti”. Idem dicasi per le sanzioni. Mentre ha confermato l’ipotesi che si discuterà sulla riammissione della Russia al G7, che a questo punto tornerebbe ad essere un G8. Lo aveva detto Trump, sempre al vertice in Canada, chiedendosi come mai i russi non fossero stati invitati.

Non può sfuggire, comunque, che la questione ancor più scottante sul tavolo sia la Siria, un teatro di guerra che negli ultimi anni è stato addirittura descritto (a torto) come possibile innesco di un terzo conflitto mondiale. In questo intricatissimo conflitto, gli Usa hanno un unico interesse: che l’Iran ritiri le sue forze. La Russia è il principale protettore del regime di Teheran ed è probabile che Trump convinca Putin a far quel che la Cina ha fatto con la Corea del Nord: convincere il bellicoso alleato a smettere di giocare col fuoco e tornare a dialogare. Proprio la settimana scorsa cento politici iraniani, capitanati dall’ex presidente Rafsanjani, chiedevano di aprire un negoziato diretto con Trump, seguendo l’esempio di Kim Jong-un.

Solo nel corso del prossimo summit di Helsinki si scopriranno tutte le carte e si vedrà cosa è un bluff e su cosa, invece, Russia e Usa discuteranno realmente. Per ora non ai può che constatare che l'iper-attivismo diplomatico del presidente americano sta relegando sempre più l'Europa ad attore internazionale di secondo rango. Trump preferisce trattare direttamente con amici e avversari, senza passare da Bruxelles, Londra, Parigi o Berlino. Che nel frattempo arrancano, non gli stanno dietro, hanno perso l'iniziativa. Questo scenario diverrebbe ancor più palese se la Nato venisse ridimensionata, perché gli europei contribuiscono troppo poco alla difesa comune. Lo sarebbe nel caso che Russia e Usa dialogassero fra loro, scavalcando le cancellerie europee, su un tema che riguarda direttamente l’Europa, quale è la questione della Crimea. Lo sarebbe nel caso in cui, dopo aver mandato a monte il trattato sull’Iran nucleare, voluto dall’Europa, Trump tornasse a parlare direttamente con il regime di Teheran per negoziare nuove condizioni. Per l’Europa, che si sente ancora il centro, almeno morale, del mondo, sarebbe uno smacco veramente umiliante.