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CRISTIANI

Terra Santa, operazione casa per i cristiani

Ogni diocesi del mondo
dia un contributo
per aiutare una famiglia
della Terra Santa ad avere una casa, combattendo così l'esodo dei cristiani. E' la proposta lanciata dal patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal.

Cultura 14_01_2012
case in Terra Santa

Ogni diocesi del mondo dia un contributo per aiutare una famiglia della Terra Santa ad avere una casa, combattendo così l'esodo dei cristiani. La proposta - estremamente concreta - l'ha lanciata in questi giorni il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, parlando ai vescovi del Coordinamento per la Terra Santa, l'organismo che ogni inizio gennaio da una decina d'anni ormai vede riuniti in Medio Oriente i rappresentanti di alcune Conferenze episcopali dell'Europa e del Nord America per fare il punto sulle iniziative di solidarietà con la «Chiesa madre» (per l'Italia era presente il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Riccardo Fontana).


È stata come sempre una settimana ricca di incontri con le comunità cristiane locali: una delegazione si è recata anche a far visita alla piccolissima parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza, poche centinaia di fedeli che vivono tra l'incudine dell'islamismo di Hamas e il martello del blocco israeliano. E la sessione di lavori si è conclusa con l'immancabile e doveroso appello perché in questo angolo martoriato del mondo si lavori davvero per una pace e una giustizia attente ai diritti di tutti. Si tratta, però, di un compito che passa anche attraverso sfide molto concrete. E allora si capisce bene perché al tema delle case dei cristiani sia stata dedicata molta attenzione durante la riunione di quest'anno.


Il problema riguarda anche altre aree della Terra Santa, ma ha il suo volto più drammatico proprio a Gerusalemme. Alcune cifre parlano chiaro: nella Città Santa - che conta 780 mila abitanti - sono rimasti ormai appena 11.600 cristiani, sommando tra loro i fedeli di tutte le confessioni (il dato è ufficiale, lo ha diffuso l'Ufficio Centrale di statistica israeliano alla vigilia di Natale). Ma l'aspetto più inquietante è che all'interno di questa comunità ci sono ben 500 famiglie che sono alla ricerca di una casa dignitosa. E che quindi, se non la trovano, potrebbero essere costrette a emigrare.


Come mai questa situazione? Perché a Gerusalemme il conflitto si combatte anche con le armi dell'urbanistica e delle società immobiliari. Ci sono due fenomeni opposti che vanno tenuti presente: da una parte c'è una fortissima domanda di nuove case da parte della popolazione araba che cresce. Ma è una domanda frenata dalle scelte della municipalità, che rilascia col contagocce permessi per questo tipo di edificazioni. Dall'altra invece spuntano come funghi nuovi quartieri popolari ebraici nel mezzo dell'araba Gerusalemme Est (in un tentativo evidente di alterare la dinamica demografica).

Mentre nella moderna Gerusalemme Ovest si costruiscono attici che rispondono alla domanda di case degli ebrei della diaspora che vogliono avere una seconda abitazione in Eretz Yizrael. Nonostante le proteste internazionali che di tanto in tanto si levano, questa gestione platealmente ingiusta del territorio va avanti imperterrita, seguendo il mantra della «Gerusalemme capitale unica e indivisibile di Israele». Al di là delle implicazioni politiche, però, tutto questo ha anche un risvolto molto pratico: i prezzi di mercato delle case sono alle stelle. Dunque per una normale famiglia araba cristiana trovare casa a una cifra abbordabile a Gerusalemme è assolutamente impossibile. 

È per questo motivo che ormai da anni sia Patriarcato latino sia la Custodia di Terra Santa si sono messi a fare i costruttori, tirando su palazzi su terreni di loro proprietà in modo da dare una soluzione a questo tipo di problema. Non si tratta, quindi, di assistenzialismo, ma di un modo per difendere il diritto dei cristiani a rimanere a Gerusalemme. Tra poche settimane, ad esempio, il Patriarcato consegnerà quaranta nuovi appartamenti ad altrettante famiglie a Beit Safafa, un quartiere arabo nella parte sud di Gerusalemme. Ma si tratta comunque di risposte parziali rispetto a un bisogno che è molto più grande. Da parte sua, poi, la Custodia di Terra Santa è impegnata anche nel progetto «Pietre della Memoria», sostenuto dall'ong Ats pro Terra Santa: si tratta di un intervento specifico per il restauro delle case del quartiere cristiano della Città Vecchia, quello storico all'interno delle mura di Solimano. Terreno anche questo incandescente, perché si tratta di appartamenti vecchi, bisognosi di grossi lavori di ristrutturazione. E sui quali gli appetiti immobiliari di chi mira a strappare alle altre comunità ogni centimetro di terra a Gerusalemme sono molto forti.


Tutto questo, ovviamente, ha un costo: di qui, dunque, l'appello del patriarca Twal per un aiuto maggiore da parte delle diocesi del mondo. Perché per continuare a difendere i diritti dei cristiani a Gerusalemme bisogna prima di tutto continuare a esserci. Senza lasciarsi buttare fuori dalla Città Santa in una maniera forse poco cruenta, ma non per questo meno dolorosa.