Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
FENOMENI NATURALI

Tempesta nel Golfo, non diamo la colpa all'uomo per disastri naturali

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La solita tendenza a dare la colpa all'uomo, per ogni disastro naturale, si è rivista anche in occasione della grande tempesta nel Golfo Persico che, negli Emirati Arabi Uniti, ha provocato 20 morti e immensi danni. Si accusano il riscaldamento globale antropico (come sempre) e l'inseminazione delle nubi.

Creato 23_04_2024 English
Tempesta a Dubai, strade allagate

Un vasto risalto mediatico ha avuto l’evento pluviometrico estremo che ha interessato la città di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti (UAE), determinando estesi allagamenti e gravi disagi alla popolazione locale e ai turisti. A ciò si aggiunga che fra UAE e Oman si sono registrati 20 morti in veicoli spazzati via dalle acque alluvionali. Circa l’entità dell’evento, i dati della stazione dell’aeroporto di Dubai indicano che in totale sono caduti 163 millimetri di pioggia in meno di 24 ore, di cui 21 nella serata di lunedì 15 e 142 nel corso di martedì 16 aprile, e qui ricordo che 1 millimetro corrisponde 1 litro per metro quadrato. Inoltre il servizio meteorologico degli Emirati Arabi Uniti ha segnalato che nella parte orientale del Paese, a  Al Ain, a sudest di Dubai, sono stati addirittura registrati 254 mm di pioggia.

Circa il livello di anomalia dell’evento occorre anzitutto considerare che secondo le più recenti statistiche dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale la precipitazione media annua all’aeroporto di Dubai per il periodo 1991-2020 è stati pari a 79,2 mm, per cui il valore di 163 millimetri è a prima vista alquanto anomalo e pari al doppio della pioggia che in media cade in un anno. Occorre inoltre ricordare che grandi tempeste tropicali come quella accaduta fra il 15 e il 16 aprile non sono eventi rari per la penisola arabica, come emerge dall’articolo The atmospheric controls of extreme convective events over the southern Arabian Peninsula during the spring season, uscito nel 2021 sulla rivista scientifica Atmospheric Research, in cui vengono descritti un centinaio di eventi di questo genere accaduti nella penisola arabica meridionale dal 2000 al 2020, la maggior parte dei quali verificatisi fra marzo e aprile. Fra di essi rientra la tempesta dell’8 marzo 2016 che, proprio a Dubai, provocò ben 240 millimetri di pioggia.

Questi in estrema sintesi i fatti, i quali ci invitano a riflettere sull’interpretazione mediatica che dell’evento è stata data e che ha visto vari media puntare il dito accusatore da una lato conto il cambiamento climatico antropogenico e dall’altro contro l’inseminazione artificiale delle nubi.

Nell’attribuire al global warming l’evento pluviometrico in questione si sono impegnati vari climatologi  come ad esempio Michael Mann, secondo il quale la maggior quantità di vapor acqueo presente in atmosfera sarebbe alla base dell’aumentata intensità delle precipitazioni. Tale teoria, che oggi va per la maggiore (vari “climatologi televisivi” di casa nostra la ribadiscono a ogni piè sospinto) si scontra però con il fatto che a livello globale per il periodo dal 1950 ad oggi solo l’8% delle migliaia di stazioni meteorologiche analizzate manifesta un aumento significativo dell’intensità degli eventi mentre il 2% manifesta una diminuzione significativa e il restante 90% risulta stazionario. Il netto prevalere della stazionarietà nel regime delle piogge estreme può essere dovuto al fatto che l’aumento dal vapor acqueo in atmosfera, conseguenza scontata dell’aumento delle temperature in atto a livello globale, è condizione non sufficiente per avere piogge più violente, nel senso che occorre anche che si manifestino sistemi atmosferici più frequenti e/o più intensi che siano in grado di tradurre in piogge estreme la maggiore umidità (che poi significa anche più energia, in  quanto un grammo di vapore trasporta 2450 Joule che vengono liberati con il processo di condensazione).

A supporto di questa tesi va il lavoro scientifico Rainfall Trends and Extremes in Saudi Arabia in Recent Decades pubblicato nel 2020 dalla rivista Atmospheres e in cui si presenta un’analisi condotta per il periodo 1978-2019 sui dati pluviometrici di 25 stazioni meteorologiche dell’Arabia Saudita, Paese che occupa gran parte della Penisola arabica. Da tale analisi emerge che su 25 stazioni indagate solo 2 (l’8%) mostrano un aumento statisticamente significativo della frequenza delle precipitazioni con intensità superiore alla soglia di 25 mm al giorno, considerata indicativa di eventi estremi per l’area.

Circa poi l’idea di attribuire l’evento estremo di Dubai all’inseminazione artificiale delle nubi, per scopi di stimolazione della pioggia, occorre premettere che la genesi della pioggia avviene in presenza di nuclei di condensazione, per cui da decenni in varie parti del mondo si stanno utilizzano aerei o razzi terra-aria per inserire nelle nubi dei nuclei di condensazione artificiali (ioduro d’argento o ghiaccio secco) con l’intento di stimolare la pioggia. Il limite dell’inseminazione artificiale delle nubi sta però nel fatto che non si può ottenere pioggia con un cielo sereno o con nubi di ridotto spessore, per cui l’intervento deve riguardare nubi sufficientemente spesse; anche in questo caso tuttavia gli effetti ottenuti sono il più delle volte modesti, per cui l’efficacia del metodo è tuttora in discussione. A ciò si aggiunga che, nel caso specifico di Dubai, i modelli meteorologici previsionali avevano previsto con largo anticipo (5-6 giorni) l’evento pluviometrico del 15-16 aprile scorso, il che porta ad escludere che nella genesi dell’evento possano aver pesato in modo significativo le attività di inseminazione delle nubi  che sarebbero  in atto nell’area in cui si è verificato l’evento stesso.

E in occasione dell’evento del 15-16 aprile l’aria era naturalmente stracarica di nuclei di condensazione, frutto del pulviscolo immesso in atmosfera dai forti venti registrati il 15 aprile e che avevano generato una tempesta di polvere. Insomma i “ciccetti” (come amava chiamare i nuclei di condensazione l’illustre meteorologo Giorgio Fea) erano presenti in tale misura nell’atmosfera di Dubai che il ruolo di quelli immersi con l’inseminazione artificiale - ammesso che la stessa vi sia stata - non può che essere stato del tutto marginale.