Sondaggio: nel mondo arabo non c'è più religione
In un grande sondaggio condotto in tutto il mondo arabo, risulta anche un sensibile aumento di persone che si definiscono "non religiose". Un dato che riguarda persino un terzo dei tunisini e un quarto dei libici, che è triplicato in Marocco e in Egitto. Come si spiega una perdita di fede in un periodo di "risveglio islamico"?
Arab Barometer, istituto di rilevamento del mondo arabo, con un sondaggio commissionato dalla BBC, la Tv di Stato britannica, ha scattato l’ultima fotografia statistica di quel vasto pezzo di mondo che va dal Marocco al Golfo persico. Ne sono sortite una serie di risposte interessanti, anche contradditorie. Per esempio, che la maggioranza degli arabi ritiene accettabile una donna a capo dello Stato, ma non a capo della famiglia. O che il nemico principale risulta essere sempre Israele, tranne che nello Yemen dove viene additato l’Iran. O che il leader preferito è ovunque Erdogan, più di Putin e molto più di Trump. Ma il dato realmente interessante, e sconcertante, riguarda la religione: dal 2013 al 2018 si riscontra una crescita sensibile degli arabi che si dichiarano “non religiosi”. In complesso dall’8%, i non religiosi sono diventati il 13%.
Si tratta di una sorpresa, perché l’ultimo trentennio è quello del “risveglio islamico”. Dunque stupisce che, proprio al culmine di questo processo, il 13% della popolazione araba mondiale si dichiari non religiosa. Il dato non specifica quale fede sia in calo, ma vista l’esiguità delle minoranze cristiane (e la quasi inesistenza di comunità ebraiche e di altre religioni) nei paesi maggiormente interessati da questa perdita di fede, è implicito che si parli dell’islam.
In Tunisia e in Libia, la percentuale di non religiosi è raddoppiata: in Tunisia dal 16 al 31% (che diventa un 48% fra i giovani), in Libia dall'11 al 25%. Cifre importanti: in Tunisia un terzo della popolazione si dichiara “non religioso”, ma coesiste con il boom di reclutamenti nell’Isis, a cui il paese mediterraneo ha contribuito con 3000 volontari, il singolo contingente più numeroso nel mondo. Quanto alla Libia, proprio nel periodo della guerra civile (scoppiata nel 2014) raddoppia il numero dei non religiosi dopo il golpe islamista di Tripoli e la guerra fra il generale (musulmano secolare) Haftar, la coalizione islamica ispirata dai Fratelli Musulmani e l’Isis, che in Libia ha occupato un territorio importante, per anni.
Il maggior incremento, in percentuale, è quello dell’Egitto, dove la percentuale di non religiosi passa dal 3 all’10%. L’Egitto, terra natale dei Fratelli Musulmani, dagli anni di Sadat (anni Settanta) è una dittatura laica che però ha appaltato la sua cultura agli islamisti. Alle prime elezioni libere, dopo la primavera araba del 2011, il candidato islamista Mohammed Morsi (deceduto in tribunale la settimana scorsa) aveva ottenuto una vittoria schiacciante. La marea si è invertita nel 2013, con la vittoria della rivoluzione laica “Tamarrod” e la conseguente presa del potere del generale al Sisi. Grande balzo in avanti dei non religiosi anche in Marocco, dove passano dal 4 al 12% (triplicati). E il Marocco, contrariamente all’Egitto, non ha mai vissuto l’esperienza della rivoluzione: è uno degli Stati arabi più stabili, retto da una monarchia riformatrice e modernizzatrice. In Algeria, dove i “laici” passano dal 10 al 15%, il potere è tenuto tuttora dai militari secolari, anche dopo le dimissioni dell’anziano presidente Bouteflika, a seguito delle grandi manifestazioni popolari della scorsa primavera. L’Algeria, negli anni 90, era stata teatro di una delle più sanguinose guerre civili del mondo arabo, combattuta dal governo militare (laico, socialista, nazionalista), contro il Gruppo Islamico Armato. In altri paesi scrutinati, come Sudan, Giordania, Libano, Iraq e Autorità Palestinese, non si rilevano grandi cambiamenti rispetto al 2013. Mentre solo nello Yemen la tendenza è opposta: diminuiscono i non religiosi. Anche lo Yemen è lacerato da una guerra civile, che vede contrapporsi, da cinque anni, gli insorti sciiti Houthi e un governo sunnita.
Come si spiega una parziale de-islamizzazione in circostanze tanto diverse fra loro? Gli anni in cui si rileva questo aumento di non religiosi sono quelli delle guerre civili e dell’Isis. Ma sarebbe riduttivo (e anche molto occidentale) pensare che gli orrori del terrorismo e del governo totalitario dello Stato Islamico siano alla radice di una disaffezione diffusa. Prima di tutto perché negli anni dell’ascesa dell’Isis, come rilevava un altro sondaggio (di Al Jazeera, in quel caso), la maggioranza dei musulmani arabi riteneva che le sue azioni fossero conformi ai dettami islamici. E poi, perché non si tratta di una novità. Già nel 2012, prima dell’Isis dunque, un sondaggio Win/Gallup International, rilevava un 5% di arabi sauditi “atei” e un 19% “non religiosi”. Dati clamorosi, considerata l’importanza di capitale religiosa rivestita dall’Arabia Saudita, che ospita sia la Mecca che Medina e la cui legge è l’applicazione più rigida della sharia.
Brian Whitaker, autore di Arabs without God (inchiesta sull’irreligiosità degli arabi, da un punto di vista ateo), constatava già nel 2014 che: “Nessuno di quelli con cui ho parlato ha citato il terrorismo come un fattore importante (per la scelta dell’apostasia, ndr). Coloro che lo hanno fatto, lo hanno deciso perché respingevano i precetti fondamentali della fede, insegnati loro nelle scuole e da religiosi approvati dai loro governi”. Come rilevava Whitaker allora, “La motivazione più spesso citata dagli arabi come primo passo sulla via della perdita della fede, è l’apparente iniquità della giustizia divina. L’immagine che ne hanno è quella di una divinità irascibile e talvolta irrazionale, che si comporta, in molti casi, come un dittatore arabo, o come un patriarca all’antica”. A ciò si aggiunga la rigidità dell’insegnamento religioso: il Corano deve essere imparato a memoria (in arabo classico) e le domande non sono permesse. “Nella scuola superiore ha iniziato a porre domande come ‘siamo liberi di scegliere o no’”, scrive Whitaker su uno dei suoi intervistati. La risposta di insegnante e imam è stata drastica: “Porre questa domanda è haram, peccato”. Uno dei casi più celebri di abbandono della fede islamica, in Europa, è quello di Ayaan Hirsi Alì, ora negli Usa. Anche l’autrice somala fu vittima di metodi di insegnamento terribili: un errore nella memorizzazione del Corano le costò un trauma cranico per le percosse dell’insegnante.
L’irreligiosità, come rileva il sondaggio, cresce soprattutto fra i giovani sotto i 30 anni. Quelli, dunque, più interessati ai contatti con il mondo esterno, ma non solo: sono soprattutto loro i protagonisti degli eventi dell’ultimo decennio rivoluzionario. Religione e potere politico, in tutto il mondo arabo, sono sempre stati inscindibili. Dopo la breve parentesi nazionalista, non c’è autorità morale superiore all’islam che legittimi i regimi autoritari, anche quelli che si dicono “laici”. Al culmine di un periodo in cui tutte le autorità politiche sono state messe a dura prova o rovesciate, dopo mezzo secolo di apparente stabilità, i più giovani stanno evidentemente mettendo in discussione anche i pilastri della fede nell’islam.