Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Giuseppe a cura di Ermes Dovico
COME CAMBIA IL BIODIRITTO DOPO ALFIE

Se la bioetica degenera nel miglior interesse che verrà

La degenerazione della bioetica e del biodiritto motivata dalla volontà di uccidere non solo riguarderà solo adulti incapaci, ma transiterà “indietro” all’aborto. Domani i criteri potranno essere altri: l’insostenibilità economica, la mancanza di produttività, il controllo delle nascite, impedire la trasmissione di patologie genetiche. Di volta in volta si troverà una tipologia di miglior interesse adatta al caso: il miglior interesse economico, della nazione, della salute dei cittadini.

Editoriali 19_04_2018

La vicenda di Aflie e quelle analoghe dei suoi compagni di sventura di nome Charlie Gard e Isaiah Haastrup hanno marcato una tappa significativa nel  processo degenerativo della bioetica e del biodiritto contemporanei. Indichiamo qui di seguito alcuni tratti di questa dinamica involutiva.

Con l’aborto legalizzato era solo la madre che poteva decidere di sopprimere il figlio non ancora nato. La legislazione belga qualche anno or sono permise poi la soppressione dei neonati stante però sempre il consenso dei genitori. Ora il neonato o il bambino di pochi mesi può essere ucciso senza e contro il parere dei genitori: il parere che conta è quello dei medici e giudici. Ciò non in ottemperanza di una disposizione di legge, bensì per ordine giudiziario. Come spesso capita in ambito bioetico, le novelle legislative sono sempre preparate da pronunce giurisprudenziali contra legem.

Nell’aborto la qualità della vita è criterio necessario per procedere alla soppressione del nascituro, ma tale qualità della vita deve essere riferita alla donna: in genere la salute psico-fisica della madre è motivo legittimante il ricorso all’aborto. La malformazione del feto o sue patologie di per se stesse non rilevano in merito alla legittimazione della pratica abortiva. Diventano rilevanti solo se si riverberano appunto sulla salute della donna. Con le pronunce inglesi relative ai casi Gard, Haastrup ed Alfie e con le legislazioni eutanasiche – tra cui la nostra – che permettono l’eutanasia anche sui minori, il criterio della qualità della vita utile per praticare l’eutanasia deve essere riferito non più alla madre, bensì al bambino stesso.

Questa transizione nell’individuare il motivo legittimante l’eutanasia dalla qualità della vita della donna a quella del bambino trova spiegazione nella volontà di morte che anima tutta la bioetica e il biodiritto che non si ispirano al personalismo ontologico fondato metafisicamente. In buona sostanza, ciò che importa è uccidere e la qualità della vita è mero pretesto. Infatti domani i criteri potranno benissimo essere altri: l’insostenibilità economica di certi pazienti, la mancanza di produttività di altri, il controllo delle nascite al fine di calmierare la crescita demografica, l’esigenza di impedire la trasmissione di patologie genetiche nelle future generazioni, etc. Di volta in volta si troverà una tipologia di miglior interesse adatta al caso: il miglior interesse economico, il miglior interesse della nazione, il miglior interesse della salute dei cittadini, etc. Versioni contemporanee dell’intramontabile teoria dell’utilitarismo etico.

La coazione a danno dei genitori motivata dunque dalla volontà di uccidere molto probabilmente non solo riguarderà adulti incapaci – come già accade in alcuni Paesi – ma transiterà “indietro”, ossia interesserà l’aborto. Abbiamo già un accenno di questo nella pratica della sterilizzazione forzata in alcune regioni del mondo in via di sviluppo, sebbene questa pratica interessi l’impedimento del concepimento e non l’impedimento della nascita. La conclusione appare necessitata: se un bambino disabile non può vivere e non deve vivere anche contro il volere dei genitori, non si vede perché non applicare questo medesimo criterio anche alla fase antecedente alla nascita. I feti malformati dovranno essere abortiti anche contro la volontà della donna prima per ordine dei tribunali poi per disposizione normativa.

Questa tappa della rivoluzione bioetica e biogiuridica non si è ancora realizzata perché il femminismo radicale, assestato ormai da tempo sulla posizione che l’utero e ciò che l’utero contiene siano di proprietà della donna, si ribellerebbe a forme coercitive sul corpo della donna. Ma un prodromo di questo processo lo abbiamo già con la vicenda di Alfie, dove la madre sta subendo violenza morale, dato che i suoi diritti di genitore non sono rispettati. Il femminismo si guarda bene dal protestare per questa violazione della libertà genitoriale perché nell’immaginario collettivo l’aborto è stato sempre associato all’autodeterminazione della donna, non così l’educazione parentale, dove invece il figlio è visto come inciampo alla piena realizzazione della donna. Sopprimere Alfie quindi non lederebbe in principio la libertà della madre.

La coazione a danno dei genitori e di Alfie, Charlie ed Isahia voluta dai tribunali svela che la retorica sui diritti fondamentali è appunto solo retorica. Il concetto di “diritto” è un concetto relativamente recente, di fattura soprattutto illuminista. Lo si potrebbe definire come pretesa giuridicamente tutelata dall’ordinamento giuridico. In questa prospettiva non si ha diritto senza Stato. Errato quindi, in senso stretto, asserire che i diritti fondamentali devono essere riconosciuti, quasi fossero preesistenti. I diritti anche quelli fondamentali possono essere solo prodotti dallo Stato. Chiamasi giuspositivismo. Prima dell’Illuminismo, si usava il termine ius, che vuol dire “ciò che è giusto” e dunque “ciò che spetta ad una persona, ciò che a lei è dovuto”. Il diritto – come noi oggi lo intendiamo – allora coincideva con la giustizia. Chiamasi giusnaturalismo. Per il giuspositivismo lo Stato precede la persona (per il filosofo del diritto Hans Kelsen la persona è solo “norma”), per il giusnaturalismo la persona precede lo Stato.

Ora appellarsi ai diritti fondamentali per salvare Alfie, in questa prospettiva appena descritta, appare fallimentare, perché i diritti non appartengono ad Alfie né tantomeno ai suoi genitori, bensì sono ostaggio dello Stato e dei suoi funzionari dato che lui solo li ha generati e quindi sono disponibilissimi nelle sue mani e altrettanto indisponibili nelle mani altrui. Appena il legislatore incarta lo ius in una norma, ecco che diviene suo. Il Leviatano di Hobbes deteneva il dominio di tutti i diritti naturali e ne permetteva l’esercizio come concessione perché questo era l’accordo di tutti i consociati. Queste scarne riflessioni vogliono semplicemente dire che, eccezion fatta per i giuristi, apparirà sempre assai arduo scardinare il sistema dall’interno accettando le sue regole – il diritto è proprietà in fin dei conti dello Stato – ed invece sarà più efficace far leva su aspetti esterni allo stesso: dignità della persona, libertà, etc.

Ultima nota. Inorridiamo e a ragione per lo strapotere dei giudici inglesi, ma noi stiamo peggio. Infatti l’abuso giudiziario dei tribunali di Sua Maestà è legge codificata dallo Stato italiano. La norma sulle Dat vigente dal 31 gennaio scorso legittima una condanna a morte di un minore stante il parere contrario dei genitori. Infatti il comma 5 dell’art. 3 afferma che in caso di contrasto tra medici e genitori in merito al piano terapeutico “la decisione deve essere rimessa al giudice”. E se questi ad esempio deciderà  di interrompere la ventilazione assistita ai genitori non rimarrà che farsi da parte oppure intraprendere, come hanno fatto i genitori di Alfie, Charlie e Isaiah, una lunga e sfiancante battaglia legale.