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Se il peccato non è un dato oggettivo, salta la Dottrina sociale

C'è ormai tutta una corrente teologica e pastorale che pretende di non poter definire se un'azione sia peccato o no. Un tale approccio rende impossibile il mistero della salvezza cristiana e con esso la possibilità di applicare la legge naturale e la legge divina alle realtà sociali.

Dottrina sociale 18_10_2018
Michelangelo - La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso

Il vescovo francese Stanislas Lalanne ha affermato: “Non posso dire che la pedofilia sia peccato”. Ho cercato di esaminare questa affermazione dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa. Se l’uomo non è più in grado di sapere quando una sua azione è peccato allora vuol dire che anche i peccati sociali ci rimangono oscuri e, con essi, le “strutture di peccato” di cui parlava Giovanni Paolo II nella Sollicitudo rei socialis (1987). Ma in questo caso – ci si chiede – cosa diventa la Dottrina sociale della Chiesa?

Il motivo per cui molti teologi e pastori affermano oggi che non possiamo sapere quando siamo in peccato ha una storia teologica lunga, che possiamo riassumere così in estrema sintesi: la realtà esistenziale è complessa e articolata, ha molti piani che si sovrappongono e si intrecciano tra loro, e per di più noi, che dobbiamo giudicarla, ne facciamo parte, non la vediamo dal di sopra e dall’esterno: quindi non riusciamo ad ottenere una valutazione definitiva di peccato o meno.

In una simile posizione ci sono molte contraddizioni che la rendono insostenibile, tuttavia non è questo il luogo per occuparcene. Chiediamoci, piuttosto, cosa rimane della Dottrina sociale della Chiesa se tale visione dovesse riguardare – come è logico che sia – anche i peccati sociali.

Una prima conseguenza è che sia la legge morale naturale che la legge divina sarebbero inapplicabili alla vita sociale e politica. La loro applicazione nel giudizio morale e politico sarebbe sostituta da un “discernimento” inconcludente. Anche lo sfruttamento del lavoratore, la sottrazione di risorse alla propria nazione tramite i paradisi fiscali, il perseguimento di interessi privati negli atti pubblici, il lavoro minorile, le discriminazioni di stampo razzista … non si saprebbe se sono peccati o meno.

Chi non crede o crede in altre religioni può anche pensarla così, ma il cattolico no, perché – e questa è la seconda conseguenza – in questo caso Dio non ci entrerebbe per nulla in queste questioni, che potrebbero essere risolte solo con mezzi umani e materiali. Il cattolico invece sa che senza la religione vera che sana gli spiriti non si risolvono nemmeno i problemi materiali che riguardano il corpo. Benedetto XVI lo aveva ben detto nel discorso ai Bernardins a Parigi (12 settembre 2008): non si possono risolvere le questioni penultime senza le ultime, il provvisorio senza il definitivo, e i monaci sapevano che dissodando le anime si sarebbero poi dissodati anche i campi.

Ecco allora una terza conseguenza: se i problemi materiali sono solo materiali e se i sacramenti non servono a nulla per il bene della società e della nazione, la Dottrina sociale della Chiesa si riduce ad un insieme di consigli pratici, organizzativi, operativi per sistemare alla meno peggio le cose, ma non ha niente a che fare con la salvezza. Eppure Benedetto XVI, nella Caritas in veritate dice che “Senza la prospettiva di una vita eterna, il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro” (n. 11). E il discorso sulla vita eterna non può fare a meno del discorso sul peccato.

Se la Dottrina sociale della Chiesa appartiene alla “missione” della Chiesa (Cfr. Centesimus annus, n.  5) essa si inserisce nel mistero della salvezza cristiana che, senza il peccato, si riduce a salvezza solo mondana. Ecco allora che sempre più spesso gli interventi magisteriali riguardano tematiche orizzontali, come se la soluzione si trovasse a quel livello.

Una quarta conseguenza consiste nell’espulsione della profondità dell’animo umano dalle problematiche sociali. Negato il peccato, è come se tutti i problemi non nascessero nel cuore dell’uomo ma fuori di esso: nelle strutture, nelle ingiustizie, negli automatismi dell’economia, nei processi decisionali democratici, nell’anonimato delle forze in campo. La povertà economica spiegherebbe la povertà spirituale anziché il contrario. Molte ideologie e filosofie moderne hanno pensato proprio questo, e quando queste forze anonime sono state collocate da Freud dentro l’uomo stesso, sostituendo l’anima con la psiche, la persona è stata di fatto esautorata. Sempre la Caritas in veritate dice a questo proposito: “l’interiorità dell’uomo viene così svuotata … queste riduzioni hanno alla loro base una profonda incomprensione della vita spirituale” (n. 75).

Non so quanti vescovi la pensino come monsignor Lalanne. Mi sento di dire solo che un simile modo di vedere le cose è come una pietra tombale sulla Dottrina sociale della Chiesa.