Santi e defunti, quel tabù sul Purgatorio nelle letture
La liturgia eucaristica del 2 novembre non riguarda né i santi del paradiso né i dannati dell’inferno: riguarda invece quelle persone/anime non così malvagie da dover dimorare nell’inferno, ma neppure così sante da essere accolte in paradiso. Eppure le letture del lezionario non offrono adeguatamente dei riferimenti. Che nella Scrittura esistono.
Allo stato attuale della vita della Chiesa, tra i discepoli di Gesù Cristo «alcuni sono pellegrini sulla terra; altri, compiuta questa vita, si purificano ancora; altri infine godono della gloria contemplando chiaramente Dio uno e trino, quale è» (LG 49).
Il testo del Vaticano II inquadra bene le celebrazioni liturgiche del 1° e del 2 novembre: noi pellegrini sulla terra celebriamo la solennità di tutti i Santi e il giorno dopo commemoriamo tutti i Defunti. Se entrambi - Santi e Defunti - hanno in comune l’essere ormai transitati da questa vita, non hanno in comune la condizione attuale: i Santi vedono il volto di Dio, mentre i Defunti “si purificano ancora”. Ne segue che diverso è il nostro atteggiamento nei loro confronti: a) i Santi sono venerati, ci si affida alla loro intercessione, ci si ispira alla loro vita come a un modello, si desidera raggiungerli un giorno in cielo; b) per i Defunti non ricorrono espressioni simili, ma si dice che la Chiesa fin dai primi tempi «coltivò con grande pietà la memoria dei defunti» offrendo suffragi - in particolare il sacrificio eucaristico - poiché è santo e salutare il pensiero di pregare per loro (cf LG 50 e anche SC 8). In estrema sintesi, preghiamo “con” i Santi, mentre preghiamo “per” i Defunti.
Fin qui il Vaticano II. Sembra scontato che la liturgia uscita dalla riforma postconciliare avrebbe dovuto adeguarsi scegliendo delle letture bibliche e producendo delle orazioni e altri testi che esprimessero fedelmente quanto sopra. Così è accaduto per i Santi. Molto meno invece è accaduto per i Defunti.
La liturgia eucaristica del 2 novembre infatti non riguarda né i santi del paradiso né i dannati dell’inferno - di questi ultimi è possibile avere compassione, ma non pregare per loro -: riguarda invece quelle persone/anime non così malvagie da dover dimorare nell’inferno, ma neppure così sante da essere accolte in paradiso. È la condizione di gran parte dei buoni cristiani viventi, con la differenza che la morte tronca la possibilità di convertirsi, meritare, migliorare ecc., per cui la misericordia divina offre un modo/tempo di purificazione definitiva in vista di essere accolti in paradiso.
Ecco dunque ciò che la liturgia del 2 novembre dovrebbe esprimere: da una parte lo stato di purificazione dai peccati non mortali e dalle radici del peccato in cui versano le anime dei defunti; dall’altra una nostra preghiera che tenga conto della condizione di coloro per i quali si prega, evitando di restare nel generico o di approdare subito al traguardo finale - la salvezza definitiva in paradiso, la risurrezione - sorvolando l’itinerario per arrivarci, cioè la purificazione.
Anche se qualche orazione potrebbe andare bene per i Santi - ad esempio: «conferma in noi la beata speranza che insieme i nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova» -, nelle orazioni del 2 novembre sono discretamente presenti cenni alla misericordia per i defunti, alle colpe da lavare e dalle quali essere liberati, al perdono da ricevere. È però significativo che nella orazione sulle offerte del formulario II l’originale latino usi il verbo “purificare”, che non viene reso nell’equivalente italiano. Il risultato è che la “purificazione” non compare mai in nessuna delle orazioni del 2 novembre. Eh sì... perché “purificazione” conduce a “purgatorio”, del quale è meglio tacere...
Dove però casca l’asino è nella scelta delle letture. Il Lezionario è considerato a ragione uno dei più eccellenti libri liturgici postconciliari. Ciò non toglie la presenza ogni tanto di qualche puntino nero e purtroppo le scelte per il 2 novembre sono un concentrato di puntini neri. Ciò premesso, cominciamo una breve analisi della situazione.
La scelta del Vangelo sul giudizio in relazione alle opere di misericordia è veramente incomprensibile, visto che il testo si conclude con: «E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna» (Mt 25,46). Ma allora per chi preghiamo? Per i giusti che sono nella vita eterna? Non ne hanno bisogno! Per quelli andati al supplizio eterno? Non è possibile! Per altri? Ma questo brano evangelico non ne parla!
Ugualmente problematica è la ripresa del vangelo delle beatitudini, proclamate il giorno prima per i Santi: è vero che c’è un modo corretto di comprenderle - i Santi sono beati, i Defunti stanno purificandosi per diventarlo -, ma il popolo non è abitualmente recettivo di sottigliezze, per cui il rischio è che passi il messaggio che, visto l’identico vangelo per Santi e Defunti, più o meno Santi e Defunti si equivalgono. Se poi teniamo conto della disinvoltura con la quale si sceglie questo vangelo nelle esequie di persone la cui vita era abbastanza lontana dalle beatitudini, il gioco è fatto.
Invece, se dalla liturgia dei Santi c’era una lettura da replicare per la liturgia dei Defunti, era la seconda, che si conclude: « Chiunque ha questa speranza in lui (Dio), purifica se stesso, come egli è puro» (1Gv 3,3). Già... ma collocata al 2 novembre questa espressione porta al purgatorio, parola impronunciabile...
Altre letture del 2 novembre andrebbero/vanno benissimo per i beati del cielo: ad esempio Gv 6,37-40 con la promessa della risurrezione, Is 25,6a.7-9 con la prospettiva che Dio eliminerà per sempre la morte, Ap 21,1-5a.6b-7 con la visione della Gerusalemme del cielo dove Dio asciugherà ogni lacrima.
Nelle letture che restano si accenna sì ad angosce, prove, liberazione ecc., ma intanto si tratta di brevi cenni, poi il senso letterale riguarda questa vita e non il dopo morte. Certo, chi tiene l’omelia può spiegare che queste situazioni, in modo diverso, si prolungheranno dopo la morte per chi avrà bisogno di una purificazione. Ma, visti gli attuali chiari di luna, quanti omileti si prenderanno la briga di farlo?
Alla fine qualcuno si domanderà: perché sollevare questioni del genere? Semplice: perché ci sono dei versetti biblici con relativo contesto che, o alla lettera o in senso figurato, parlano della necessità di una purificazione dopo la morte. Sono citazioni che la tradizione e la teologia (classica, “prima del concilio”) ha selezionato costituendo un corpo di testimonianze.
Ecco le principali: nulla di impuro entrerà nelle cose divine e tra i santi di Dio (Sap 7,25; Is 35,8; 52,1; Ap 21,27), un misterioso fuoco purificatore della fede (1Pt 1,7), il sacrificio di Giuda per i defunti che avevano combattuto per la causa di Dio ma che furono trovati con addosso degli idoletti (2Mac 12,38-45), il fuoco che purificherà l’opera non sempre del tutto perfetta di certi apostoli di Cristo (1Cor 3,10-15). Soprattutto le due ultime citazioni offrono brani compiuti ed elaborati in argomento.
Soprattutto 2Mac 12,38-45 (il sacrificio di Giuda per i defunti), letto alla luce della redenzione di Gesù Cristo, è di facile comprensione e di sicura efficacia pastorale e non a caso era il pezzo forte della liturgia dei defunti “prima del concilio”. E a questo punto come non sospirare: si stava meglio quando si stava peggio? Per tacere poi sui tanti testi che parlano di perdono, ma di una espiazione da compiere - e «fino all’ultimo spicciolo» (Mt 5,26) -, da collocarsi di conseguenza dopo la morte se non è avvenuta prima. Dunque scelte diverse e più specifiche erano possibili e a disposizione, mentre i redattori del Lezionario hanno scartato non “qualcuno” ma “tutti” i testi dei quali ho fornito un elenco, destando il sinistro sospetto di voler riscrivere tutto daccapo.
Leone X il 15 giugno 1520 condannò la proposizione di Lutero secondo la quale «Il purgatorio non può essere provato da nessuna Scrittura canonica» (Dz 1487). Conseguentemente il CCC al n. 1031 insegna che «La Tradizione della Chiesa, rifacendosi a certi passi della Scrittura, parla di un fuoco purificatore» e ai nn. 1031-1031 cita di fatto: 1Cor 3,15; 1Pt 1,7; 2Mac 12,46; tutti testi inclusi nell’elenco riportato poco sopra ma ignorati dal Lezionario del 2 novembre. Dal che si deduce che i compilatori del Lezionario in questo caso non vivevano nel “mondo cattolico”, ma in un “altro mondo” evidentemente filoprotestante. Ci vorrebbe un aggiustamento, perché è semplicemente assurdo che un fedele che va a Messa il 2 novembre debba ricorrere al CCC per trovare le testimonianze bibliche che rendono ragione della preghiera di quel giorno, ma delle quali è stato privato dai compilatori del Lezionario. Ci vorrebbe una “riforma della riforma”, ma guai a pronunciare questa parola!
Insomma, «tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2Tm 3,16-17). Sì... purché le Scritture siano scelte e assemblate con criteri cattolici!