Rolando e il carnefice, misericordia nella verità
Oggi nella Pieve di San Valentino, dove è sepolto il corpo del 14enne seminarista Beato Rolando Rivi, ucciso dai partigiani rossi, avverrà un evento di portata storica: la figlia del comandante che premette il grilletto chiederà perdono per quel fatto. Un gesto unico, che mostra come la riconciliazione vera sia possibile solo quando si conosce la verità. Quante morti però sono rimaste ancora sotto la cappa della vulgata.
E’ davvero di portata storica l’evento che si svolgerà oggi 15 aprile in diocesi di Reggio Emilia. Per la prima volta nella Pieve di San Valentino di Castellarano, avverrà un incontro di riconciliazione tra i famigliari del beato Rolando Rivi, seminarista 14enne ucciso barbaramente da un comandante partigiano nel 1945 e la figlia di quest’ultimo.
L’evento è stato seguito dal comitato Amici di Rolando Rivi che sta curando nei minimi dettagli la giornata che vedrà la presenza anche del vescovo di Reggio Emilia Massimo Camisasca.
Un incontro storico dunque, che è anzitutto un momento di preghiera. E che viene a suggellare una riconciliazione piena a 73 anni di distanza da quei tragici fatti. La Nuova BQ seguirà la giornata di oggi nel corso della quale la signora Meris Corghi, figlia di Giuseppe Corghi, commissario politico del distaccamento Frittelli operante sulle montagne modenesi nel corso della Resistenza, racconterà del suo percorso di avvicinamento alla figura di Rolando Rivi.
In attesa di conoscere le modalità con le quali la donna è entrata a conoscenza di questo passato del padre, che per quel delitto scontò diversi anni di prigione prima di rifarsi una vita e una famiglia, giova fare qui solo una breve considerazione. Meris ha saputo soltanto alcuni anni fa, a seguito del clamore della vicenda della beatificazione del martire bambino, che suo padre era il responsabile di quel barbaro assassinio.
Sarà un racconto commovente, in cui idealmente la vittima e il carnefice si daranno finalmente la mano e che toccherà corde emotive profonde e che non potrà non fare riflettere sulla necessità della riconciliazione su una stagione del nostro passato che non è ancora stata definitivamente archiviata. Una stagione che gli storici faticano ancora a chiamare con il suo vero nome: guerra civile.
La diocesi ci ha tenuto a presentare la giornata come un grande e storico evento di riconciliazione. Una parola adatta a testimoniare quello che accadrà. Ma è proprio la riconciliazione l’approdo glorioso di un percorso che però è iniziato prima con un requisito indispensabile.
Meris infatti ha potuto chiedere perdono soltanto quando ha saputo la verità. Quella verità che attendono ancora le tante vittime della stagione resistenziale, che hanno perso la vita sulla base di un semplice sospetto o soltanto per inimicizia politica. Quella verità che da parte della vulgata resistenziale si preferisce occultare per non infrangere il mito della Resistenza buona. I vincitori che impongono la storia sui vinti, ma che, come dimostrato da quegli storici sprezzantemente definiti revisionisti, è stata una congerie di avvenimenti all’interno dei quali, oltre alle istanze legittime di giustizia e libertà per un popolo che era oppresso, si cercò da parte di molti partigiani comunisti di preparare il terreno ad una rivoluzione comunista.
Non è un caso infatti che i personaggi che più furono feroci nelle esecuzioni sommarie, siano stati proprio i commissari politici, partigiani rossi specializzati nell’indottrinamento dei resistenti alla causa comunista. E proprio commissario politico era Giuseppe Corghi quando, assieme al comandante del battaglione Delciso Rioli, decise di freddare al grido di “un prete di meno domani” il giovane Rolando, reo soltanto di indossare la veste talare e di mettere in guardia i coetanei dal pericolo di una rivoluzione comunista che con gli agguati spesso arbitrari di alcuni partigiani diventava sempre più chiara nella popolazione.
Oggi così, solo grazie alla verità sui fatti può arrivare la riconciliazione. Come segno perfetto che il perdono può essere concesso o richiesto soltanto quando si conosce la verità dei fatti. Perché non c’è misericordia se prima non si fa verità. Solo allora, questa, come dice il Vangelo, ci farà liberi.
Ma per una verità che esce allo scoperto e si trasforma in balsamo della pace e della riconciliazione, ci sono dieci, cento, mille verità che su quella stagione non verranno mai a galla. Ci vorrebbe un Chi sa parli generalizzato non rivolto ad un caso specifico, ma a tutto quello sterminato martirologio di vittime della violenza rossa, coperte da una coltre di nebbia e di convenienza politica: quanti semplici cittadini, segretari comunali, simpatizzanti fascisti che non alzarono mai un dito contro nessuno, vennero freddati e poi fatti sparire? Ma anche medici, farmacisti, agricoltori, gente semplice vennero uccisi solo sulla base di un sospetto o di un pregiudizio? E in quanti casi i colpevoli non vennero mai scoperti? La quasi totalità. O meglio, non saltarono mai fuori, coperti da una macchina della propaganda che aveva nel Pci e nei reduci dell'Anpi i suoi sacerdoti. E quante giovani maestre vennero stuprate perché semplicemente figlie del "padrone", il proprietario terriero più ricco del Paese?
Nella sola Campagnola Emilia venne trovata una fossa comune con decine di cadaveri. Nel cavoun (la grande cava) di quel pezzo sperduto di bassa padana furono individuati molti corpi grazie a una soffiata. I parenti poterono riconoscere i loro cari solo nel '91, grazie ad un orologio o brandelli di indumenti. Per loro non ci fu mai la consolazione della verità, e il loro dolore da cieco si fece ancor più livido di sbigottimento: i colpevoli di quell'eccidio, come di altri, non saltarono mai fuori. Coperti, appunto. E su di loro ormai i ricordi si stanno trasformando, con la morte degli ultimi testimoni, in oblio, allontanando per sempre ogni speranza di riconciliazione vera, proprio perché assente la verità dei fatti.
E quanti preti furono trucidati senza colpevoli accertati? Spesso tratti in inganno, morivano con il viatico nel taschino o, se riuscivano ad accorgersi del tragico destino che si stava per abbattere su di loro, consumarono l'Eucarestia poco prima della raffica di mitra.
Fare verità su quella stagione non è un’operazione culturale di revisionismo, né di occupazione ideologica di vessilli e insegne i cui proprietari ormai sono morti, ma è un moto che nasce da una coscienza finalmente redenta. Il modo migliore per operare quella riconciliazione che a tempo scaduto sta bussando alla porta della storia.