Reliquie e parati sacri: l'intreccio tra Vaticano e Met
Dietro l'oscena parata blasfema delle starlette del Met c'è una gigantesca operazione condotta da Vogue per una mostra del Met su moda e religione. Per allestire la quale molti ecclesiastici vaticani in auge in questo pontificato hanno ceduto in prestito paramenti sacri e reliquie di Papi, tra cui San Giovanni Paolo II con la scusa della povertà. Col placet di Ravasi e del solito Martin. Ritratto non di una Chiesa più povera, ma più poverina e mondana.
La Chiesa povera si spoglia delle sue ricchezze per arricchire il circuito della moda, ma non è una bella notizia. Sarebbe troppo facile derubricare a semplice gossip hollywoodiano la colossale sfilata di moda in stile blasfemo-kitch di starlette del cinema e della musica americana che hanno ostentato mise ispirate all’immaginario cattolico in occasione della vernice inaugurale del MetGala2018, il prestigioso evento benefico modaiolo organizzato dal Metropolitan Museum di New York. (GUARDA LA GALLERY)
Se si trattasse di dover mandare giù il magone di vedere una prosperosa Rihanna agghindata da papessa con tanto di mitria o di accettare il presepe napoletano in testa con il quale si è presentata Sarah Jessica Parker, si potrebbe anche derubricare il tutto al solito cattivo gusto hoollywoodiano che irride il sacro per i suoi scopi ultra mondani.
Invece l’evento ha fatto da cornice ad una mostra che vede protagonisti una quarantina di paramenti sacri provenienti direttamente dalla sagrestia della Cappella Sistina che dopo una trattativa durata due anni, ha ceduto in prestito fino a ottobre al Metropolitan Museum of Art a prezzi esorbitanti (a proposito, quanto?) pianete, dalmatiche, piviali e altri paramenti sacri appartenuti ai papi degli ultimi due secoli. La mostra si chiama Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination (Corpi paradisiaci: moda & religione nell'immaginario cattolico) e resterà aperta al Met fino ad ottobre.
Vestiario liturgico del passato? Molto di più: testimonianze della bellezza prodotta dall’uomo regalata a Dio e utilizzata non per il red carpet, ma per offrire il perfetto e il bello nel sacrificio perfetto e bello dell’altare. Paramenti benedetti con il solo obiettivo di essere utilizzati per il culto.
Quindi c’è molto di più del kitch nell’evento che è andato in scena domenica a New York. C’è una profanazione e una ridicolizzazione di oggetti che sono sacri e che, ormai musealizzati perché la Chiesa li ha sostituiti con "vili" casule di terital all’insegna della povertà, finiscono ora per arricchire il mondo del fashion con la compiacenza dei vertici vaticani.
La mostra infatti si compone di creazioni esclusive delle principali maison d’alta moda che sfruttano le forme e le linee dei paramenti sacri. E in una parte staccata, ma speculare, ci sono in mostra 40 paramenti sacri fatti arrivare direttamente dalla Città del Vaticano, dove il curatore Andrew Bolton e la boss di Vogue Anne Wintour hanno letteralmente contrattato con alti papaveri vaticani e dirigenti del museo del Papa i pezzi. Moda & paramenti sacri, un accostamento impossibile. Perché la prima serve per abbellire l'uomo, la seconda per presentarsi degni di fronte a Dio.
Ma a guardarci dentro si scopre che l’impegno dei vescovi e cardinali per aiutare i ricchi allestitori è stato davvero ingente. Un investimento colossale per quello che il direttore del Met ha definito “un vero e proprio pellegrinaggio”. Verso Cristo? Ma figuriamoci, verso un bello indefinito, semmai, inteso come estetica della vanità. A tenere a battesimo l’evento c’era persino il cardinale arcivescovo di New York, Timothy Dolan, il quale si è timidamente chiesto che cosa ci facesse lì, per poi concludere che “siamo qui perché al centro del cattolicesimo i valori sono verità, bontà, bellezza”. Insomma, parole impegnative, ma per un obiettivo mondano.
Ma sbaglierebbe chi pensasse che in fondo si sia trattato solo di un evento fashion, ancorché di dubbio gusto. No, dietro questa operazione c’è un coinvolgimento imbarazzante di alti papaveri vaticani da far impressione. Nomi in vista nel pontificato attuale di Papa Francesco che però non viene coinvolto perché lui «ha un altro stile, più povero», mentre viene coinvolto Benedetto XVI, definito dal New York Times “il Papa della moda”, chissà, forse perché quei paramenti così preziosi li ha usati non per se stesso ma per fare risplendere la liturgia di Dio. Però è un concetto a queste latitudini troppo difficile da comprendere.
Infatti, il primo nome che si incontra nella ricostruzione del complesso iter burocratico affrontato dalla coppia Bolton & Wintour in missione speciale per conto del business della New York così a la page, è quello di George Gänswein che viene presentato in quanto braccio destro di Benedetto XVI e Prefetto della casa pontificia. L’incontro avviene nel maggio 2017 ed è in quell'occasione che Bolton gli illustra il progetto: voi ci date i vostri paramenti sacri che non usate più e noi ci mettiamo a fianco le creazioni degli stilisti.
Ma le porte da aprire sono molte altre ancora. Per poter avere i preziosi parati da messa, la coppia deve fare una decina di viaggi a Roma. Bolton incontra così successivamente - secondo la ricostruzione del NYT - alti funzionari vaticani i quali gli danno l’autorizzazione a prendere a prestito i paramenti. Ed è qui che gli viene concesso l’accesso alla sagrestia della Cappella Sistina.
Nel corso degli incontri e delle trattative con la casa Vaticana l’equipe di Bolton entra in contatto con Arnold Nesselrath, uno dei curatori dei Musei Vaticani. E da lui si passa a Barbara Jatta, neo direttrice della collezione d’arte più famosa della Cristianità. La Jatta organizza per loro diversi tour nella sagrestia della Cappella Sistina.
A quel punto inizia la contrattazione vera e propria: Jatta chiede quanti parati servono, Bolton risponde circa otto, ma la Wintour dice che ne servono almeno il doppio. La direttrice dei Vaticani ride sarcastica. Alla fine riescono a ottenerne 40.
Ma i parati non sono nella disponibilità dei Musei: bisogna chiedere all’Ufficio delle celebrazioni del Sommo pontefice dato che teoricamente quei paramenti appartengono in toto al “corredo” papale che il cerimoniere Guido Marini custodisce gelosamente.
Che fare? Gänswein invita a fare una richiesta ufficiale a Marini il quale, ricevutala, la gira alla Segreteria di Stato, responsabile degli affari generali della Chiesa. Viene coinvolto anche il portavoce vaticano Greg Burke che informa che questa procedura non necessita dell’avallo del sommo pontefice.
Così si va in discesa. Bolton tornerà molte altre volte ancora a Roma per perfezionare il suo catalogo da inviare a New York e alla fine riesce a portare al Met persino la tiara papale di Pio IX con 19.000 pietre preziose, tra cui 18.000 diamanti. Arriverà a New York con la "sua guardia del corpo".
Tra i pezzi esposti ci sono: una dalmatica di Pio IX, una pianeta appartenuta a Pio XI, un piviale di Benedetto XV e persino le scarpe rosse di Giovanni Paolo II. Semplici indumenti? Non proprio: almeno per il beato Pio IX e San Giovanni Paolo II si tratta di reliquie per contatto, oggetti destinati alla devozione.
Arrivato in America Bolton prosegue con la sua tela di complicità. E qui trova James Martin, il gesuita noto alle cronache per il suo orientamento omoeretico, nominato l'anno scorso da Papa Francesco consulente del Segretariato per le comunicazioni del Vaticano. Martin lo tranquillizza sulle possibili lamentele a motto di: "Vedranno qualcosa di bello, e questo fa parte dell'immaginario cattolico". Vanità delle vanità tanto che Martin aiuta Bolton nella stesura del catalogo.
Fino a suggerirgli la mossa finale: il coinvolgimento del cardinale Gianfranco Ravasi, ministro vaticano della cultura, il quale vantandosi di conoscere parecchi stilisti accetta di buon grado di tenere a battesimo la mostra, tanto che a febbraio una delegazione del Met lo incontra. Con loro c'è anche Donatella Versace che si complimenta del rosso cremisi del porporato. E lui, con nonchalance le dice: "Perché non mi ha visto con il viola". Risate a gogo.
Il resto è storia d'oggi: l’oscena parata di Madonne e croci impresse su cosce e glutei tonificati dal pilates delle starlette: voyerismo, seni e deretani d'alta classe con rimando ai simboli cristiani più amati, simboli per i quali oggi in molte parti del mondo si muore ammazzati. Una parata oscena della quale adesso i vertici vaticani diranno di non aver saputo nulla perché solo collaterale alla mostra (come aveva detto lo stesso curatore mettendo le mani avanti). Una tesi difficile da sostenere visto che al MetGala2018 hanno partecipato anche i cantores della Cappella Sistina. Imperdibili le foto dei cantori dopo l'esibizione che ancora in talare e cotta si avvicinano per una foto con Rhianna & co. In una spuntano anche alcuni pueri cantores.
Quei parati però hanno visto la celebrazione della santa messa nel corso degli anni, quei parati per indossare i quali i sacerdoti dovevano recitare preghiere, perché fossero i primi a comprendere l'importanza dei gesti e degli indumenti, non certo per pavoneggiarsi con la moda come invece sembra fare qualche ecclesiastico di nuovo corso. Al momento di indossare la pianeta il sacerdote recitava: "O Signore, che hai detto: Il mio giogo è soave e il mio carico è lieve: fa che io possa portare questo in modo da conseguire la tua grazia. Cosí sia". Quelle pianete infine che, indosso ai martiri messicani o ai preti mediorientali, sono state lordate di sangue proprio durante la celebrazione della messa dai nemici di Cristo e dai tagliagole dell'islam.
Oggi per profanarle basta molto meno, ma comunque tanti soldi, che vengono poi girati nella cosiddetta Chiesa povera che svende i suoi tesori per un piatto di lenticchie di mondanità. Grazie a principi annoiati che nel clima generale si dilettano come monarchi rinascimentali nel lusso e nella voluttà.
E così, mentre il papa predica contro i lussi degli ecclesiastici, contro il pretino che si specchia nel negozio con il suo nuovo clergyman, i suoi uomini più vicini si abbandonano ai saldi di fine stagione della tradizione cattolica, che è costata molto più sudore e sangue di quello che verseranno loro nell'andare a visitare la mostra.
Riflessi di una gerarchia ecclesiastica che se avesse impiegato sul caso di Alfie Evans anche un decimo del tempo speso nel mettersi a disposizione del Met per sensibilizzare il red carpet, forse oggi racconteremmo un'altra storia. Una gerarchia che si disinteressa delle questioni di morale e di etica, della crisi della fede per baloccarsi con queste operazioni di cultura pop così asservita al principe di questo mondo, per paura di sembrare troppo retrogradi: l'evangelizzazione è zero, la mondanità è tutto.
Una Chiesa che si spoglia così distrattamente dei suoi tesori, della sua storia, delle sue devozioni, non è una Chiesa più povera, ma è solo una Chiesa più poverina, ignorante e impreparata a dissetare l'anelito di divino nell'uomo, vestendo panni di un falso pauperismo, che lasciando l'habitus della propria dignità, si consegna a una nudità impressionante e voluttuaria, la stessa che, crassa e opulenta, ha sfilato sul red carpet newyorkese.