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STORIE DI SPORT

Quel biscottone a forma di Tim Tebow che prega

Una legge impedisce al famoso quarterback antiabortista americano di tatuarsi il Vangelo sulla faccia. E allora lui, imperturbabile, risponde... facendo abbondante colazione

Cultura 28_01_2012
Il pretzel del "tebowing"

 

Ricordate Tim Tebow? Ricordate il magico quarterback che oggi gioca nei Denver Broncos e che quando stava con i Florida Gators "meravigliò" il mondo del football perché in partita si scriveva rimandi a versetti biblici sul volto, e che poi prese parte, con la mamma, a uno spot pubblicitario antiabortista realizzato dal think tank Focus on the Family e trasmesso, fra le polemiche, durante il Super Bowl del 7 febbraio 2010?

Quest’anno a Tim e ai suoi Broncos è andata male. Sabato 14 gennaio i “cavalli pazzi” di Denver sono stati pesantemente battuti 10 a 45 dai New England Patriots nella partita di play-off disputata al Gillette Stadium di Foxboro, nel Massachusetts. Stagione finita. Niente sogni di gloria per il XLVI Super Bowl che si svolgerà il 5 febbraio al Lucas Oil Stadium di Indianapolis. Il quarterback dei Patriots, Tom Brady, ha surclassato Tebow, che nel match ha pure riportato lesioni a costole, polmoni e torace.

Pazienza. I Broncos si rifaranno. Tebow è del resto già un’autentica leggenda della National Football League. Per le sue maschie prestazioni sportive, per i suoi funambolici voli in campo, per gli attacchi degni di un gladiatore, per il cuore sempre gettato oltre l’ostacolo? Sì, ma pure per la semplicità e il coraggio con cui non si vergogna, nemmeno davanti a milioni di tifosi e di telespettatori, a testimoniare la fede.

Una delle citazioni evangeliche "da faccia" preferite da Tebow è: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna». Una frase che per un colosso scampato da piccolino alla morte come lui, e per questo oggi combattente in campo con la palla ovale e ovunque per la vita nascente, è una bandiera. L’8 gennaio 2009, nella partita del 2009 BCS National Championship Game che i Gators vinsero 24 a 14 sugli Oklahoma Sooners al Dolphin Stadium di Miami Gardens, in Florida, se ne tatuò sotto gli occhi la sigla «John 3:16»; e quella sigla batté il record di ricerche effettuate su Google nelle 24 seguenti a un evento, totalizzando 90 milioni di richieste di gente che voleva sapere cosa Tim volesse tanto ardentemente comunicare all’universo mondo in diretta tivù.

Nel 2010 è venuta però una pusillanime norma sportiva che impone ai gladiatori del football il divieto di scriversi messaggi sul volto al posto della striscia antiriflesso. La chiamano "The Tebow Rule", fatta apposta per bloccare quei gesti plateali e puri del leggendario quarterback. Il quale però non si è per nulla afflitto. Fatta la legge, ha trovato l’inganno, e così ha semplicemente cambiato mezzo per far giungere al mondo il medesimo messaggio. Ora, da allora, non inizia incontro senza inginocchiarsi a pregare. Come Sylvester Stallone in una storica scena di Rocky, epperò Tim davanti a tutti. Tebow lo fa con una gestualità divenuta un classico: a terra piega un solo ginocchio, flette il busto lievemente in avanti e il volto se lo raccoglie orante nel palmo di quella manona capace di sparare il pallone come un proiettile di cannone. Un vero e proprio brand, insomma, subito imitato e ripetuto da una schiera di altri atleti di tutti gli sport.

La preghiera pubblica di Tebow è cioè contagiosa. Stadi e campi la vedono ripetersi ad appuntamenti fissi. Anzi, quella preghiera ha addirittura generato un neologismo della lingua inglese parlata negli Stati Uniti. Come da tempo è stato creato "to google" per dire "interrogare il motore di ricerca Internet", ora gli americani si sono pure inventati il "tebowing", ovvero il gesto di curvarsi in preghiera prima di un incontro sportivo. Il neologismo gioca intersecando il cognome dell’atleta, Tebow, e il verbo to bow, che significa appunto "chinarsi".

Se ne sono già fatti adesivi, spillette e t-shirt. E adesso ci si è messo pure un fornaio di Alpharetta, a 25 miglia da Atlanta, in Georgia. La Philly Pretzel Factory ha infatti pensato di rendere omaggio al grande Tim e a quel suo significativo, contagioso tebowing nazionale impastando e cuocendo una di quelle cose che fanno un vero americano (un must soprattutto allo stadio, nei pic-nic, nel tempo libero) e che come tutte le cose che fanno un vero americano sono importante dalle tradizioni del Vecchio Continente. Stiamo parlando del pretzel, che altro non che è il modo con cui Oltreoceano hanno fatto proprio il brezel bavarese, quel biscottone salato a forma di nodo d’amore che fa tanto Hänsel e Gretel. Negli States ce n’è pure la variante alla cannella. Accompagna splendidamente robusti boccali di birra, è speciale con spalmata sopra della senape dolciastra, ed è splendido tagliato nel mezzo e imbottito di speck (come si fa nel Tirolo) o di equipollenti nordamericani. Ecco, quello che ha cucinato il fornaio di Alpharetta è a forma di Tim in preghiera, il tibowing come pane quotidiano sportivo.

 

Sotto, una scelta di immagini di Tim Tebow e altri atleti raccolti nel tibowing.