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Quando san Bernardo decise di fermarsi a Milano

L’abbazia di Chiaravalle (Milano) ha origini, antiche ed è legata alla presenza in Lombardia di San Bernardo, fermatosi a Milano di ritorno dal Concilio di Pisa nel 1134. Di quella primitiva costruzione non rimane più nulla. Nei secoli seguenti essa fu oggetto di ampliamenti, campagne decorative e trasformazioni. 

Cultura 05_09_2015
L'abbazia di Chiaravalle a Milano

Sotto la calotta stellata della torre nolare di Santa Maria a Chiaravalle, ad una manciata di chilometri da Milano, gli Evangelisti, i dottori della Chiesa, angeli e santi introducono alla sequenza di santi e beati dell’ordine cistercense che occupano il tamburo della stessa cupola.Nel registro inferiore si dipanano le Storie di Maria, così come le racconta la Legenda Aurea, la raccolta medievale di biografie agiografiche scritte da Jacopo da Varazze. Sono le storie post Resurrectionem, legate, dunque, alla morte e all’Ascensione al cielo della Vergine. Esse rappresentano uno dei cicli pittorici più importanti di tutto il Trecento italiano. Gli studi condotti durante i più recenti restauri hanno confermato la presenza di due mani: quelle del Primo maestro di Chiaravalle, responsabile degli affreschi della zona superiore, tamburo compreso, e quelle di Stefano Fiorentino, a sentire Vasari il più dotato allievo di Giotto, artefice dei sottostanti episodi della vita di Maria. 

L’abbazia ha origini, però, più antiche ed è legata alla presenza in Lombardia di San Bernardo, fermatosi a Milano di ritorno dal Concilio di Pisa nel 1134. Era, probabilmente, l’anno 1135 quando venne fondato il monastero. Di quella primitiva costruzione non rimane più nulla. L’edificio attuale fu intrapreso solo successivamente e consacrato nel 1221. Nei secoli seguenti esso fu oggetto di ampliamenti, campagne decorative e trasformazioni.  Un restauro novecentesco riportò parzialmente alla luce il progetto originario della facciata, in cotto, a capanna, con archetti pensili che corrono lungo gli spioventi del tetto. Seicenteschi sono, invece, il nartece e il portale d’ ingresso sui cui battenti sono intagliate le figure dei SS. Roberto, Alberico, Stefano e Bernardo, sormontate dalla cicogna col pastorale e mitria, simbolo dei Cistercensi.  

Lo spazio interno è una croce latina suddivisa in tre navate da colonne cilindriche, la cui robustezza era funzionale, in passato, a sorreggere il peso della costruzione in questa zona acquitrinosa. A dispetto dell’iniziale sobrietà e povertà della chiesa, fortemente volute e prescritte dallo stesso Bernardo, nel corso del Seicento, seguendo i dettami del Concilio di Trento, vennero chiamati i fratelli Della Rovere, detti Fiammenghini, a decorare tutte le pareti, in origine spoglie. Nel transetto e sui pilastri si sviluppò, teatralmente, il racconto della storia gloriosa dell’ordine cistercense. In controfacciata fu rappresentato l’episodio più significativo: davanti alla figura simbolica della Chiesa romana, cattolica, apostolica, qui in vesti bianche, si inginocchiano l’antipapa Anacleto II e i milanesi scismatici, ricondotti sulla retta via dal Santo di Clairvaux che regge tra le mani il modellino dell’abbazia milanese.

Di pregevolissima fattura è il coro ligneo intagliato da Carlo Garavaglia negli anni ’40 del XVII secolo. In legno di noce, è composto da due file di stalli sui cui pannelli, diversi l’uno dall’altro, si sviluppano le storie della vita di San Bernardo. All’estremità del braccio destro del transetto una scalinata conduce i monaci nelle loro celle. Sulla sommità una dolcissima Madonna, la Madonna della Buonanotte, fu eseguita da Bernardino Luini nei primi anni del Cinquecento. Sullo stesso lato sud si sviluppa il chiostro duecentesco, con le colonnine annodate, simbolo dell’unione tra cielo e terra. Sulle gallerie, coperte da volte a crociera costolonate, si affacciano il refettorio e il capitolo, presso cui lavorò, sul finire del Quattrocento, il grande Donato Bramante. Dal chiostro si gode una visione eccezionale della torre nolare, che svetta altissima sopra il tiburio. I milanesi la chiamano affettuosamente “ciribiciaccola”.