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SCANDALO SANITA'

Prima grana per Zingaretti: la questione morale Pd

Con l'inequivocabile inchiesta sanità in Umbria e gli arresti eccellenti targati Pd, Zingaretti affronta la prima grana: la falsa superiorità morale Dem. Siamo di fronte a un’operazione verità che è per certi aspetti di portata storica, e che consente anche di rileggere pagine di storia giudiziaria del nostro Paese che qualcuno ha voluto archiviare troppo in fretta.

Politica 16_04_2019

Gli inquirenti non hanno usato troppi giri di parole. Il meccanismo corruttivo che muoveva ogni decisione nella sanità umbra è definibile come «sistema criminale» collaudato. A metterlo in piedi i vertici del Partito Democratico umbro e della Sanità locale. «La loro vera attività, il loro vero lavoro non era la politica, ma influenzare i concorsi pubblici». Parole supportate dagli atti dell’inchiesta, oltre 300 pagine di colloqui intercettati e ancora non depositati, che hanno portato alla luce l’intervento della «cricca» su almeno undici bandi, per l’assegnazione di una trentina di poltrone chiave nel settore della sanità.

Il pentolone non è stato ancora del tutto scoperchiato, ma s’intuisce che ad essere coinvolti sono più o meno tutti, governatrice compresa, che per ora, va precisato, è solo indagata.

Un terremoto politico-giudiziario che il nuovo corso dem guidato da Nicola Zingaretti probabilmente non riuscirà a fermare. I vertici regionali del partito sono stati subito commissariati. Era il minimo. Ma questo basterà a marcare le distanze, agli occhi dell’opinione pubblica, tra classe dirigente umbra e stato maggiore del partito a livello nazionale? Può essere che a Roma nessuno sapesse?

Le scuse dei vertici Pd nazionali somigliano a lacrime di coccodrillo. La situazione umbra è un po’ fotocopia di quella della Basilicata. Anche li’ gli scandali che hanno abbattuto la precedente giunta Pittella riguardavano un ramificato e collaudato sistema di clientele nell’ambito sanitario. Risultato: elezioni anticipate nel marzo scorso e vittoria del centro-destra, con il centrosinistra che per la prima volta dall’avvento della seconda Repubblica è finito all’opposizione.

Matteo Salvini fiuta una Basilicata-bis e dunque preme sull’acceleratore invocando le dimissioni dell’intera giunta umbra e l’immediata convocazione di elezioni anticipate. Che probabilmente il centrodestra vincerebbe.

Quello che però in pochi hanno evidenziato è il profondo significato dell’inchiesta umbra, al di là dei nomi altisonanti tra arrestati e indagati. La verità è che si è rotto una sorta di patto non scritto tra magistratura e politica. Per anni una parte delle toghe ha dato l’impressione di volgere le sue attenzioni soltanto verso giunte guidate dal centrodestra, mentre la sinistra ha per anni potuto sbandierare ai quattro venti una presunta superiorità morale. Con il prepotente avvento del giustizialismo grillino anche la sinistra è stata in qualche modo scavalcata nel rapporto con i giudici, e parte di essi hanno certamente simpatizzato e simpatizzano per il Movimento Cinque Stelle.

Il crollo di consensi registrato dal Pd e dalle altre forze di sinistra ha aperto la strada a una rivisitazione complessiva, anche dentro la magistratura, della lettura manichea tra corrotti di destra e onesti di sinistra. Quello schema è saltato, anche per il venir meno di alcuni condizionamenti locali. Ecco quindi spuntare fuori la verità: le giunte di sinistra, in modo ancora più scientifico e capillare, hanno occupato per decenni tutti i gangli vitali dell’amministrazione pubblica, anche nel delicato ambito della sanità, pilotando ogni mossa con metodi affaristico-clientelari, sprezzanti del merito e di quel principio di uguaglianza cui pure ispirano ogni loro proclama politico.

Siamo di fronte a un’operazione verità che è per certi aspetti di portata storica, e che consente anche di rileggere pagine di storia giudiziaria del nostro Paese che qualcuno ha voluto archiviare troppo in fretta. Prima fra tutte Tangentopoli. Il celebre discorso pronunciato da Bettino Craxi alla Camera il 29 aprile 1993, l’ultimo del leader socialista in un’aula parlamentare, assume un ritrovato sapore profetico, soprattutto per quella frase che tanto fece discutere all’epoca: "Non credo che ci sia nessuno in quest’aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro".

Il significato di quelle parole appare oggi ancora più evidente: tutti erano colpevoli rispetto al reato di finanziamento illecito ai partiti, anche i comunisti. Peccato, però, che per anni il pool di Mani Pulite e le altre procure abbiano guardato prevalentemente o esclusivamente in altre direzioni. E’ vero che la struttura burocratica del Partito Comunista, fondata su rigidi schematismi e su un’omertà condivisa tra i suoi dirigenti, si è rivelata maggiormente impenetrabile alle inchieste. Tuttavia, la storia si è incaricata negli anni di smontare pezzo per pezzo l’ipocrita costruzione moralistica dei comunisti dell’epoca, che giudicavano corrotti gli altri partiti, senza guardare in casa propria. Ora la sinistra sa che il fattore morale non potrà mai più essere fatto valere sul terreno della propaganda elettorale come vessillo di differenziazione dagli altri partiti. I piddini dovranno trovare altri convincenti cavalli di battaglia, se vorranno evitare un declino inesorabile, al centro come in periferia.