Preti gay ok, ma casti. La Germania ora sfida il Papa
La Chiesa tedesca adesso sfida anche papa Francesco, il suo grande sponsor e amico. Lo fa in tema di ordinazione delle persone con tendenze omosessuali. L'arcidiocesi di Paderborn decide che l'omosessualità non sarà un criterio di esclusione per l’ordinazione sacerdotale. "Purché accettino il celibato". Affermazioni in contraddizione con il magistero anche recente di papa Francesco.
La Chiesa tedesca adesso sfida anche papa Francesco, il suo grande sponsor e amco. Lo fa in tema di ordinazione delle persone con tendenze omosessuali; e questo a dispetto dei problemi che specialmente negli Stati Uniti, ma anche in Germania, sono emersi nel campo degli abusi correlati a questa tendenza. Nell’importante arcidiocesi di Paderborn è stato detto chiaramente che l'omosessualità non sarà un criterio di esclusione per l’ordinazione sacerdotale.
Il messaggio è stato dato in maniera molto ampio, con un’intervista alla televisione di Stato WDR. "Se si conformano al celibato, gli omosessuali saranno accettati per la loro ordinazione sacerdotale", ha detto Michael Menke-Peitzmeyer, rettore del seminario di Paderborn. "Dobbiamo distinguere tra l'orientamento omosessuale di una persona e la pratica omosessuale". In partica, quello che conta, ha detto mons Menke-Peitzmeyer, è che il candidato si impegni a vivere pienamente e fedelmente il suo celibato, qualcosa che, dopo tutto, obbliga ugualmente i sacerdoti eterosessuali. Anche se ora "Il fatto che qualcuno abbia relazioni omosessuali regolari è, credo, un criterio per escludere quella persona dal sacerdozio".
Questa dichiarazione di intenti va contro la pratica secolare ininterrotta della Chiesa, un divieto che è diventato formale con Benedetto XVI, dopo la prima ondata di scandali e di abusi clericali alla fine degli anni ’90. Nel 2005 un documento che relativo ai criteri di discernimento vocazionale riguardo le persone con tendenze omosessuali prima della loro ammissione al seminario e agli ordini sacri dava un messaggio negativo, e affermava che “La Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne. Non sono affatto da trascurare le conseguenze negative che possono derivare dall'Ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate”. Questa posizione è stata ripresa nel documento del 2017 sul Dono della Vocazione Presbiterale.
Ma evidentemente ai tedeschi questo non sembra adatto allo spirito dei tempi, e alla stagione in cui sembra che tutto si possa fare e dire, in particolare nel campo della sessualità e dell’omosessualità.
Tempo fa il vescovo di Essen, Franz-Josef Overbeck, aveva chiesto una rivalutazione dell'omosessualità da parte della chiesa e della sua teologia morale; e più di un esponente dell’episcopato ha lanciato messaggi possibilistici verso qualche forma di benedizione di coppie dello stesso sesso. Dunque, perché discriminare gli omosessuali radicati dal sacerdozio? Mons. Menke-Peitzmeyer considera irrealistico escludere i maschi con tendenze omosessuali dall’ ordinazione; nella sua intervista assicura che questo sarebbe un modo per confermare che l'omosessualità non è più considerata una patologia e, quindi, equivarrebbe a una "seconda liberazione" LGBT, questa volta all'interno della Chiesa.
Incurante di ciò che solo qualche mese fa il Pontefice ha detto nel libro intervista “La Forza della Vocazione”. Alla domanza: “Non è un segreto che nella vita consacrata e nel clero vi sono anche persone con tendenze omosessuali. Che dire su questo?”, rispondeva:
“È qualcosa che mi preoccupa, perché forse a un certo punto non è stato affrontato bene. Sempre sulla linea di quello che stavamo dicendo, ti direi che nella formazione dobbiamo curare molto la maturità umana e affettiva. Dobbiamo discernere con serietà e ascoltare anche la voce dell’esperienza che ha la Chiesa. Quando non si cura il discernimento in tutto questo, i problemi crescono. Come dicevo prima, càpita che forse al momento non siano evidenti, ma si manifestano in seguito. Quella dell’omosessualità è una questione molto seria, che occorre discernere adeguatamente fin dall’inizio con i candidati, se è il caso. Dobbiamo essere esigenti. Nelle nostre società sembra addirittura che l’omosessualità sia di moda e questa mentalità, in qualche modo, influisce anche sulla vita della Chiesa.
Ho avuto da me un vescovo abbastanza scandalizzato, che mi ha raccontato di essersi reso conto che nella sua diocesi, una diocesi molto grande, vi erano vari sacerdoti omosessuali, e che aveva dovuto affrontare tutto questo, intervenendo, prima di tutto, sulla formazione, per formare un altro clero diverso. È una realtà che non possiamo negare. Neanche nella vita consacrata sono mancati dei casi. Un religioso mi raccontava che, mentre era in visita canonica a una delle province della sua congregazione, era rimasto sorpreso. Vedeva che bravi giovani studenti e anche alcuni religiosi già professi erano gay. Egli stesso aveva dubbi sulla cosa e mi ha domandato se in questo vi era qualcosa di male. «In definitiva – diceva – non è tanto grave; è soltanto un’espressione di affetto». È un errore. Non è soltanto un’espressione di affetto. Nella vita consacrata e in quella sacerdotale non c’è posto per questo tipo di affetti. Per questa ragione, la Chiesa raccomanda che le persone con questa tendenza radicata non siano accettate al ministero né alla vita consacrata. Il ministero o la vita consacrata non sono il loro posto. I sacerdoti, i religiosi e le religiose omosessuali vanno spinti a vivere integralmente il celibato e, soprattutto, a essere perfettamente responsabili, cercando di non creare mai scandalo nelle proprie comunità né nel santo popolo fedele di Dio vivendo una doppia vita. È meglio che lascino il ministero o la vita consacrata piuttosto che vivano una doppia vita”.