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DOPO IL VOTO

Polonia, ora l'ago della bilancia sono i Radicali

Il movimento politico del miliardario Janusz M. Palikot prende di petto i "princìpi non negoziabili" e polverizza le speranze dei cattolici.

Attualità 11_10_2011
Janusz M. Palikot
con la collaborazione di Agnieszka Zurek,
del quotidiano polacco
Nasz Dziennik

 

Con quasi il 40% circa dei suffragi nelle elezioni svoltesi domenica 9 ottobre, il partito del primo ministro uscente Donald F. Tusk (PO) non ottiene un mandato di governo granitico, e questo soprattuto perché l'affluenza è stata solo del 48% e rotti. Per contro, il suo principale avversario, il partito Prawo i Sprawiedliwosc (PiS, Diritto e Giustizia) - guidato da Jaroslaw A. Kaczynski, e "temuto" perché definito conservatore ed "euroscettico" - ha raccolto sì quasi un terzo (nella sostanza) dei consensi espressi, ma ciò significa che si è dovuto accontentare di poco più del 30% di meno della metà dei voti esprimibili. Ora, tenendo presente che il PiS è l’unico partito di quelli entrati in parlamento che difende esplicitamente la vita umana dal concepimento alla morte naturale, e ricordando l’enorme mobilitazione in difesa dei "princìpi non negoziabili" dei mesi scorsi - il grande concorso di popolo, cioè, che ha cercato di far discutere al parlamento del Paese slavo l’abolizione totale della vigente legge sull’aborto e che, sconfitto in aula, ha sperato in un prova d’appello caricando del tema l’imminente confronto elettorale -, evidentemente in Polonia qualcosa nel raccordo fra società e politica, e nei rapporti di queste con la gerarchia ecclesiastica, non funziona.

A sollevare il dubbio sono ora diverse realtà organizzate proprio del mondo cattolico polacco. E così, vuoi per immaturità politica di certi suoi protagonisti, vuoi per l’effetto devastante di un torrido clima culturale che da tempo zavorra la società saturandola di modelli comportamentali ed etici improntati al relativismo più evidente - talora "semplicemente" dozzinale, talaltra livoroso in maniera coscientemente politica -, le grandi battaglie dei conservatori rischiano di trasformarsi in boomerang.
Non lo affermano compiaciuti, ma nondimeno lo dicono proprio alcuni di coloro che ci hanno creduto. Che infatti l’ago della bilancia politica del Paese sia adesso affidato a quel Ruch Palikota (RP, Movimento Palikot) che con un risultato attestato attorno al 10% dei suffragi, catalizza e getta nell’agone - da protagonista - la galassia radicale, GLBT, laicista e anticlericale rappresenta più che una novità. È un campanello d’allarme.

Se infatti a nessuno sfugge la fragilità strutturale del baraccone chiamato RP, ciò che già preoccupa molti è ciò a cui l’RP ha dato la stura, avendo il partito doppiato d’un fiato lo sbarramento del 5% posto all’ingresso in parlamento. Messo in piedi nel 2010 dal miliardario Janusz M. Palikot [nella foto], famoso pure per certe trovate di cattivo gusto (nel 2008, alla tivù, offrì una testa di maiale alla "camarilla" calcistica polacca impegnata in un battibecco con la FIFA sul tema della corruzione nello sport), l’RP porta in parlamento omosessuali e transgender, ma soprattutto vanta spavaldamente capisaldi programmatici quali la fine dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, la legalizzazione dell’aborto e i "diritti civili" per le persone omosessuali leggi "matrimonio" e cose così.

Con l’RP, cioè, viene ad assumere carne politica un fantasma che nella "Polonia cattolica" del postcomunismo si aggira da sempre, ma a cui la schematizzazione fino a oggi padrona della scena parlamentare del Paese ha impedito di emergere pienamente, costringendolo a chiedere asilo nei sottoscala di altri partiti.
L'"opzione Palikot" non è infatti un fulmine a ciel sereno. Vanta un precedente illustre - e un modello da imitare - in Jerzy Urban, già portavoce negli anni 1980 del governo comunista di Varsavia, che, dopo il crollo del regime, ha saputo "magistralmente" riciclare il comunismo ormai privo di appeal ideologico e di titolarità del potere in un nichilismo radicale emblematicamente rappresentato dalla testata di cui era editore, il periodico porno-satirico e fortemente anticlericale Nie ("No"). Del resto Urban, l’uomo che quando il comunismo ancora regnava imperterrito in Polonia apostrofava le Messe per la Patria celebrate dal beato don Jerzy Popieluszko come «le sedute dell’odio», è ricomparso in video domenica sera durante la maratona televisiva che ha assicurato i primi exit poll, ripreso dalle telecamere dentro la sede del'RP. Tenendo conto che Palikot viene dalle fila del PO - un partito che al suo interno conserva un po’ di tutto e il cui leader Tusk, al di là del buono spirito di alcuni suoi parlamentari, non è certo un campione dei "princìpi non negoziabili" -, non è difficile descrivere l’RP come il guado in cui s’incontrano il peggio del mondo liberale polacco e quel che resta dell’antico comunismo oramai senza più smalto.

Di mezzo c’è, e ci va, la Polonia. Il prossimo governo polacco potrebbe infatti vedere nascere una coalizione tutta nuova in cui il "mondo di Palikot" prenderà, accanto ai liberali di Tusk, il posto che nella precedente legislatura era del più o meno centrista Polskie Stronnictwo Ludowe (PSL, Partito dei contadini polacchi), conferendo così all’ala più anticattolica della politica polacca un ruolo decisivo nelle sorti del Paese.