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COMPAGNIA DI BANDIERA

Perseverare è diabolico. Non si salva Alitalia con lo Stato

Il ministro Toninelli propone di ri-nazionalizzare Alitalia. Eppure proprio il settore aereo dimostra come la liberalizzazione abbia aumentato l'efficienza e abbassato i prezzi. Perché scegliere una strategia che si è già dimostrata fallimentare? Per garantire condizioni privilegiate a un’impresa e a un piccolo gruppo di lavoratori più uguali degli altri

Economia 20_07_2018
Alitalia

Proprietà privata, libertà di impresa e responsabilità. Sono i tre cardini di un’economia di mercato ben funzionante. Quelli che spiegano perché questo modello economico abbia portato nell’arco di un secolo e mezzo a un livello di prosperità senza precedenti. Profitti e perdite che segnalano se le scarse risorse di cui disponiamo siano state utilizzate al meglio, ossia per soddisfare le esigenze dei consumatori, oppure no. Se i costi di produzione di un’impresa sono superiori a quanto i clienti sono disposti a pagare per i suoi prodotti è preferibile per la collettività che essa cessi di esistere e che altri produttori, più efficienti o anche solo più capaci ad anticipare le preferenze del pubblico, prendano il suo posto. L’alternativa è un sistema nel quale la proprietà delle aziende sia pubblica, non vi siano profitti né perdite, e la sopravvivenza aziendale non dipenda dalle scelte dei clienti ma sia affidata alle valutazioni arbitrarie del decisore politico. Abbiamo ampia evidenza del fallimento di questo modello. Ma, nonostante questo, la tentazione di riproporlo non è svanita come mostrano, da ultimo, le parole del ministro dei Trasporti Danilo Toninelli il quale ha annunciato la volontà di ri-nazionalizzare Alitalia perché “l’italianità è un punto fondamentale nel futuro della società”.

Il Ministro così facendo obbliga tutti i contribuenti italiani, che lo desiderino o meno, a diventare “azionisti” e a mettere mano una volta di più al portafoglio. Evidentemente il conto pagato finora non è giudicato sufficiente: si tratta di oltre dieci miliardi che negli ultimi dieci anni sono stati trasferiti nelle casse della compagnia aerea. E si tratta di un tentativo di ritorno al passato ormai fuori tempo massimo. Per lunghi decenni il settore del trasporto aereo è stato direttamente sotto il controllo dei governi nazionali. Ad essi spettava la scelta dei collegamenti da effettuare e delle tariffe da praticare. In ciascun Paese regnava incontrastata la compagnia di bandiera e nei collegamenti internazionali vigeva un regime di spartizione delle rotte tra i due vettori degli Stati interessati. Non era prevista nessuna possibilità di concorrenza da parte di altri soggetti: alte barriere proteggevano i monopolisti dalla minaccia dell’entrata nel settore di altri operatori. Le conseguenze di tale assetto sono risultate chiare al momento della deregulation del settore: prima negli Stati Uniti, e a seguire in Europa i cieli si sono progressivamente aperti. Nell’arco di pochi anni i prezzi sono crollati, l’offerta di servizi è cresciuta esponenzialmente e quello che era un “mercato” riservato solo alle persone più abbienti è diventato accessibile a larga parte della popolazione dei Paesi a maggior reddito.

Qualcuno tra i “dinosauri” ha saputo reagire ritagliandosi uno spazio nel nuovo assetto altri non ce l’hanno fatta e sono stati assorbiti da altri vettori. Alitalia è l’unica eccezione. Nonostante l’iniezione a più riprese di capitali pubblici, nonostante la generosissima cassa integrazione – fino all'80% dell'ultimo stipendio senza il tetto di mille euro che vale per tutti gli altri lavoratori per la durata di 7 anni - garantita a oltre 5mila lavoratori in esubero finanziata da uno specifico prelievo di 3 euro che grava su tutti i biglietti aerei, la società non è riuscita a tornare competitiva e la quota di mercato soddisfatta è andata via via riducendosi. Come ha evidenziato Andrea Giuricin, oggi meno di un passeggero su dieci che si sposta dall’Italia verso altri Paesi vola con l’ex monopolista nazionale: evidentemente pochi sono interessati al colore e al simbolo che appare sul timone dei velivoli e molti di più al prezzo dei biglietti. Ogni giorno l’azienda perde un milione di euro ed è verosimile che la Commissione Europea imponga la restituzione dell’ultimo prestito di 900 milioni.

Perché riproporre oggi una strategia che si è già mostrata fallimentare più volte negli ultimi dieci anni? Qual è l’interesse collettivo da tutelare? Davvero difficile scorgerlo. Si tratta semmai di garantire condizioni privilegiate a un’impresa e a un piccolo gruppo di lavoratori più uguali degli altri che sono impiegati in settori esposti alla concorrenza e che ancora una volta dovranno pagare il conto. Se, come tutto lascia prevedere, tra qualche anno ci ritroveremo un’altra volta nella condizione odierna, molto probabilmente il Ministro sarà già cambiato e punterà il dito contro il suo predecessore proponendo al contempo un altro mirabolante piano di salvataggio. Troppo difficile resistere alla tentazione di spendere i soldi altrui senza dovere farsi carico in prima persona delle conseguenze della propria decisione.