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EUROPA

Orfani di un atlantismo che non ha più senso

Già nel 2009 Obama considerava "obsoleto" il rapporto fra Usa e Europa, a cui preferiva la partnership con le nuove potenze emergenti nel Pacifico e nell'emisfero Sud. Con Trump la situazione non cambia, anche se (a causa dell'odio nei confronti del personaggio) la stampa la commenta con costernazione maggiore.

Esteri 30_05_2017
Il vecchio G7 ai tempi di Obama

Nel 2009 Obama aveva detto chiaro e tondo di ritenere il G7 ormai superato. Giudicando inoltre che l’area del Pacifico fosse ormai più importante per gli Usa dell’area dell'Atlantico, aveva perciò puntato a sostituire il G7 con il G20, del quale fanno parte anche i maggiori Paesi dell’Asia (e degli altri continenti dell’emisfero Sud). Incurante del peso per l’Europa di questa svolta strategica, il grande coro della stampa europea progressista aveva ciononostante continuato a squillare le trombe per Obama.

Con l’arrivo di Trump per gli orfani e le vedove inconsolabili di Obama non va più bene niente, nemmeno la sua rinnovata attenzione per l’Europa. Si si guarda invece alla realtà delle cose al di là del…fuoco di sbarramento degli ambienti che speravano nella presidenza di Hillary Clinton, ci si accorge che con Trump finisce sì l’”atlantismo”, ma non declina ma anzi riprende il dialogo tra Usa ed Europa.  L’ “atlantismo” è finito non perché è arrivato sulla scena Trump ma perché sono venute meno tutte le condizioni storiche che lo giustificavano: la guerra fredda è terminata da quasi trent’anni; gli Stati Uniti non sono più l’assoluta super potenza economica che erano alla fine della seconda guerra mondiale (e che restarono fino a circa la metà degli anni ’60 del secolo scorso); l’Europa non è più in macerie, l’Unione Sovietica è scomparsa, l’Europa orientale si è ricollegata con quella occidentale. In questo nuovo quadro storicamente non ci sono più né debitori né creditori morali. Ogni Paese deve perciò fare la propria parte assumendosi le responsabilità che gli competono. E’ questo che Trump ha detto con  inequivocabile chiarezza sia a Bruxelles in sede Nato che a Taormina. Tutto qui: niente di catastrofico dunque,  ma semplicemente un nuovo status quo  che ha pure dei suoi vantaggi. Può darsi che per qualcuno ciò possa sembrare un brusco risveglio, ma si tratta di un salutare ritorno alla realtà. E con il vantaggio che, quando gli Usa potevano giocare senza limiti la parte del gigante buono, diventava molto difficile prenderne le distanze quando i fatti contraddicevano questa loro immagine benevola. Da adesso in avanti invece se tutti pagano di tasca propria, tutti hanno anche il diritto/dovere di controllare la lista della spesa. 

Stando così le cose, la reazione scomposta dei benpensanti della stampa europea che conta non può che lasciare sconcertati: è un coro a priori di grida di sdegno e di dolore senza il minimo tentativo di approfondire i fatti e capirne i pro e i contro. Per la sua compattezza e per la sua sproporzione il fenomeno  sembra essere l’indice di qualcosa che lo eccede. Alla ricerca di un suo motivo faccio l’ipotesi che si ritrovino qui gli ultimi contraccolpi di un’onda molto lunga: quella della ricostruzione nell’Italia, nella Francia e nella Germania della stampa indipendente dopo gli anni del fascismo, del regime di Pétain e del nazismo. In tutti e tre questi casi, negli anni del dopoguerra del secondo conflitto mondiale, la stampa venne risanata dall’eredità delle dittature sotto l’ègida di grandi giornali americani vicini alle presidenze democratiche dell’epoca. Tra questi in primo luogo il New York Times e il Washington Post

Risale a quegli anni l’inizio della trasformazione di questi giornali e degli altri simili in “bibbia” della stampa progressista europea, e quindi della stampa europea in genere. Una venerazione che giunge al massimo nel nostro Paese, dove il Corriere della Sera, allora come oggi il principale giornale italiano, venne riscattato dai suoi molti anni di acquiescenza al fascismo addirittura sotto la guida diretta di un direttore proveniente dal New York Times. Nella medesima prospettiva  anche la nomina dei corrispondenti a New York e a Washington dei quotidiani italiani e della Rai era soggetta al placet delle presidenze americane dell’epoca. E’ allora che iniziano le “dinastie” di corrispondenti rigorosamente… a tinta unita di cui oggi Giovanna Botteri è l’estremo erede.

A tutto questo ambiente la sconfitta di Hillary Clinton sembra aver fatto perdere il ben dell’intelletto. I servizi sul recente viaggio all’estero di Trump fino alle cronache del G7 di Taormina ne sono una preoccupante conferma. Di tutto si è detto, fino alla mano nella mano oppure no di Trump e moglie e fino alla spinta oppure no al presidente del Montenegro, meno che della sostanza dei colloqui e degli accordi. Speriamo, lavorando sui fatti e sui documenti, di poterci capire qualcosa in tempo per il prossimo vertice, quello del G20 in programma ad Amburgo nei prossimi 7-8 luglio.