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VOTO IN REGIONE CAMPANIA

Omofobia, arriva la Scalfarotto alla vesuviana

Dopo l'Umbra, tocca alla Regione Campania approvare una legge contro il cyberbullismo, che maschera molti provvedimenti per affermare le teorie di genere e l'omosessualismo nelle scuole e nelle Asl. Soldi a palate per Arcigay e un osservatorio per intimidire chi si oppone. Sotto al Vesuvio la libertà è limitata. 

Educazione 04_05_2017
Il governatore Vincenzo De Luca

Dopo l’Umbria, tocca ora alla Regione Campania istituire una legge per il contrasto all’omofobia. Sotto il Vesuvio la Regione del vulcanico Vincenzo De Luca ha messo il contrasto a bullismo e cyberbullismo al centro della sua azione di governo. Ovviamente il cyberbullismo non c’entra nulla, sennò la legge approvata martedì dall’assemblea legislativa campana, sarebbe stata dedicata alla memoria di Tiziana Cantone, vittima, lei sì, di cyberbullismo. Invece dietro questa sigla apparentemente innocua si celano da tempo tutte quelle politiche gender oriented volte a reprimere, quando non punire, un dissenso circa l’imperante dittature del gender corretto. Non è un caso che non appena votata, i primi ad esultare siano stati quelli di Arcigay, per i quali la legge è stata scritta dato che è previsto un loro attivo coinvolgimento nell’applicazione.

Infatti gli estensori della norma sono riusciti ad inserire tra gli articoli di legge anche una sezione speciale sui casi di bullismo omotransfobico. E qui fare entrare tutte le attività della cultura gender friendly.

“Disposizioni per la prevenzione ed il contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo nella Regione Campania”, questo il nome completo della legge. Ma che cosa ci sarà dentro? E’ presto detto: il contrasto a tutte le forme di discriminazione in ambito scolastico e al bullismo omofobico; l’istituzione della Settimana Regionale d’Azione contro il Bullismo e il Cyberbullismo; un fondo speciale per gli interventi nelle scuole; l’istituzione del Comitato Regionale per la lotta al bullismo e al cyberbullismo con le associazioni del terzo settore; l’istituzione di programmi di formazione e supporto per i genitori. Ovviamente in tutte queste iniziative la parte da leone la farà Arcigay, che potrà entrare così nelle scuole con fondi stanziati dal governo regionale e quindi di tutti i contribuenti. Ma i militanti lgbt potranno anche far parte di un osservatorio che non ha avrà alcun valore legale, salvo segnalare e quindi esporre alla pubblica gogna mediatica tutti quei comportamenti ritenuti omofobici. Comprese anche le segnalazioni all’ordine dei giornalisti, dei medici e degli psicologi, cui siamo ormai abituati.

La legge è passata in scioltezza, con i voti di Pd e dell’opposizione 5 stelle (questo anche per chi ritiene che i grillini possano avere qualche cosa in comune con i cattolici) e adesso si procederà ad un secondo step: l’approvazione di una legge interamente dedicata all’omofobia. Solo che per fare questo bisognerà che la Scalfarotto, che giace al Senato dopo l’ok della Camera, venga licenziata definitivamente dal Parlamento. In quel caso la legge regionale potrà essere considerata inutile. Intanto però ci si attrezza e si fa azione di pressione nell’opinione pubblica.

Quando tutte le regioni si saranno trovate d’accordo su norme simili, allora sarà maturo il tempo per una legge nazionale che riordini, in chiave omosessualista, la materia. Se si procede con una legge al mese l’obiettivo non è così lontano.

Esulta e non poteva fare altrimenti l’Arcigay, contenta anche perché la Regione ha stanziato dei fondi per entrare nelle scuole.

“Il nostro intervento nelle scuole diventa sempre più importante e significativo. In questo ultimo anno siamo intervenuti e stiamo terminando alcuni interventi in oltre 20 scuole dell’area metropolitana di Napoli, alcuni strutturati attraverso progetti nazionali, altri attraverso collaborazioni locali con i singoli istituti. Questa legge rafforza il nostro impegno territoriale nelle scuole, perché possa essere diffusa una nuova cultura delle differenze e del rispetto a partire proprio dei giovanissimi, proprio dalle scuole”, dicono i militanti arcobaleno partenopei. E pazienza se il ministero dell’Istruzione non ha ancora sdoganato l’insegnamento gender tra i banchi. Intanto una scusa per parlarne si troverà sempre.

Protesta il comitato locale Difendiamo i nostri figli che denuncia come la Regione sia partita da dati fantasiosi come l’alto tasso di violenza omofobica e transfobica sotto al Vesuvio senza fornire alcun dato ufficiale.

“C’è da chiedersi se le famiglie campane potranno ancora scegliere liberamente il modello educativo per i propri figli o se dovranno temere l’intervento dei servizi sociali se la loro educazione non sarà in linea con l’agenda LGBT”, dicono dal Cdfn che teme così un indottrinamento di massa portato avanti da “campagne di sensibilizzazione ed informazione rivolte in particolar modo ai bambini, ai giovani”, “corsi di formazione per il personale scolastico e per gli educatori” e apposite “campagne di prevenzione”, alle quali naturalmente saranno “invitati a partecipare esperti dotati di specifiche competenze”, meglio se di associazioni giovanili LGBT, per promuovere “una strategia educativa che favorisca la comunicazione, la sensibilizzazione e lo scambio di esperienze tra pari”.

Anche le ASL avranno il loro ruolo. Saranno infatti tenute a destinare “appositi fondi del piano sanitario regionale”, sottraendoli ai servizi della Sanità campana già gravemente insufficienti, per “interventi di informazione, consulenza e sostegno per favorire la libertà di scelta circa il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere”, garantendo inoltre “l’accesso dignitoso a qualsiasi servizio o prestazione sanitaria”, senza per altro specificare a quali particolari prestazioni ci si riferisca, visto che tutti i residenti già fruiscono di quelli previsti dal servizio sanitario nazionale.

Ma secondo l’associazione pro family promotrice del Family day “non mancano nella legge articoli inquietanti, al limite della legalità e dell’intimidazione. Come l’impegno previsto per la Regione a rimuovere ogni potenziale ostacolo al libero e concreto esercizio della responsabilità genitoriale, da parte delle persone LGBT, teso a forzare il riconoscimento della pratica dell’utero in affitto, vietata dalla legge, magari attraverso la certificazione anagrafica di due papà o due mamme?”. 

“E come non intravedere una minaccia di ritorsioni, neanche tanto velata, nelle iniziative di prevenzione contro gli esercenti accusati di non aver soddisfatto le richieste dei clienti per motivi riconducibili all’orientamento sessuale o all’identità di genere, naturalmente a parere insindacabile dei diretti interessati? Come già avviene in altri Paesi, fioccheranno richieste risarcimento contro negozianti, artigiani e operatori turistici”.

Con questo provvedimento è evidente che si vuole impedire alle famiglie di educare liberamente i propri figli imponendo un’aggressiva strategia di manipolazione e di indottrinamento che comprende la scuola e tutti gli enti educativi e prefigurando interventi diretti contro le famiglie che non si sottomettano all’omologazione del pensiero unico. Ma c’è anche un altro aspetto inquietante: procurare finanziamenti con denaro pubblico a gruppi o associazioni di area lgbt, chiamati a organizzare la miriade di progetti, corsi, programmi, campagne di informazione e sensibilizzazione, sportelli, che la legge affida ovviamente ad “associazioni con comprovata esperienza nella promozione dei diritti dei minori e degli adolescenti” in merito all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Fondi, per di più, che non saranno stanziati dalla Regione ma che andranno a erodere i già miseri bilanci di Comuni, Scuole, ASL, sottraendoli a scopi istituzionali di ben altra rilevanza sociale.