Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santi Filippo e Giacomo il Minore a cura di Ermes Dovico
"POPULISMO"

Olanda, Wilders perde ma domina le elezioni

Elezioni olandesi al centro dell’attenzione da mesi, risoltesi con una conferma dell’esecutivo liberale di Mark Rutte. Nei mesi scorsi pareva che il PVV (Partito della Libertà di Geert Wilders), in testa nei sondaggi, fosse destinato a diventare il primo partito, sull’onda dell’indignazione e della paura per gli attentati islamici. Non lo è diventato, ma è cresciuto. E ha dettato le regole dalla campagna elettorale.

Esteri 17_03_2017
Mark Rutte (in primo piano) e Geert Wilders (sullo sfondo)

Elezioni olandesi al centro dell’attenzione da mesi, risoltesi con una conferma dell’esecutivo liberale di Mark Rutte. Nei mesi scorsi pareva che il PVV (Partito della Libertà di Geert Wilders), in testa nei sondaggi, fosse destinato a diventare il primo partito, sull’onda dell’indignazione e della paura per gli attentati islamici. Non lo è diventato, ma è cresciuto da 15 a 20 seggi. Vuol dire che sta consolidando la sua base ed è la seconda formazione politica del paese, con il 13% dei consensi. Non è un risultato da poco, anche se la stampa europea titola, come un coro unanime, sulla sconfitta di Wilders e sullo “scampato pericolo”.

Vince il VVD (il partito liberale) di Mark Rutte, il partito che fu di Fritz Bolkestein (il commissario noto per la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi in Europa) negli anni ’90 e che tuttora si presenta con uno dei programmi più liberisti d’Europa. Vince sull’onda del successo dell’economia in Olanda, con un bilancio in pareggio, una disoccupazione a livelli naturali e una crescita del Pil del 2%. Però il VVD vince in calo rispetto alle elezioni precedenti. Si aggiudica il 21% dei voti, tradotti in 33 seggi parlamentari sui 150 in palio, mentre nelle scorse elezioni del 2012 ne aveva ben 41. Alla sua sinistra cresce il partito D66, sempre di ispirazione liberale, ma più progressista ed europeista, con il 12% dei voti è la terza forza politica del paese. Contrariamente alla vulgata mediatica che vede nel voto in Olanda uno scontro fra “liberali e populisti”, le elezioni appaiono in realtà più come una faida nella casa liberale, con il VVD che tiene il comando sfidato i liberali di “destra” del PVV e quelli di sinistra, sociali, del D66. Rutte ha saputo conservare lo scettro perché ha condotto abilmente una campagna elettorale in equilibrio fra le due ali estreme. E’ stato determinato nell’affrontare la sfida lanciata da Recep Tayyip Erdogan, espellendo i ministri turchi e vietando le loro manifestazioni, pur correndo rischi molto grandi di rappresaglie. Si è mostrato contrario alla politica dell’immigrazione indiscriminata ed è contro il controllo comunitario della frontiera europea. E’ anche contrario all’esercito comune europeo. In questo modo ha eroso parte della base elettorale di Geert Wilders. Al tempo stesso si è sempre presentato come un fedele membro dell’Ue, con un paese modello che rispetta i parametri economici. E quindi si è accreditato presso gli europeisti, in patria e all’estero, come antidoto ideale all’anti-Ue Geert Wilders.

Al di fuori del mondo liberale, i cristiano-democratici del CDA, che uniscono protestanti e cattolici, reggono bene con il 12% dei voti, al pari di D66. Hanno condotto la campagna elettorale cavalcando anch’essi la battaglia identitaria, con molta enfasi sulle radici cristiane, l’inno nelle scuole e la critica nei confronti dell’Ue. Radici sì, ma principi non negoziabili ... un po' meno. Il CDA ha partecipato a tutti i governi dal 2002 al 2012. Ed evidentemente non ha fatto molto per reintrodurre nell’agenda i principi non negoziabili, dopo che nel 2001 sono state approvate le leggi (mai ritirate e anzi espanse) su eutanasia e matrimoni gay, per la prima volta in tutta Europa. 

A sinistra, i laburisti del Pvda sono stati letteralmente distrutti da queste elezioni: hanno preso un quinto dei voti che avevano nel 2012, passando dal 25% al 5% in soli cinque anni. I verdi della Groen Links, invece sono cresciuti al 9%, superando i laburisti e piazzandosi ad un dignitoso quinto posto delle forze politiche olandesi. Non è uno sfondamento, ma è un’ulteriore dimostrazione, dopo l’Austria, che nell’Europa centro-settentrionale sono i verdi, più che i socialdemocratici, ad incarnare al meglio le nuove pulsioni della sinistra anti-sistema, sono soprattutto loro a promuovere l’utopia di un’Europa unificata e senza frontiere e a sfidare la globalizzazione da sinistra, invece che da posizioni sovraniste.

Ma tornando a Wilders, il vero protagonista (anche suo malgrado) di queste elezioni: il suo messaggio forte, che include il divieto del velo e del Corano, la stretta sull’immigrazione e niente meno che l’uscita dell’Olanda dall’Ue, non è passato invano. Come si è visto, il suo partito continua a crescere ed è seconda forza del paese. La sua politica è una sfida per tutti, considerando che sia il VVD che il CDA hanno dovuto inseguirla sullo stesso terreno identitario, mentre D66 e i Verdi hanno dovuto puntare tutto sulla contrapposizione frontale a Wilders. Di fatto, il leader di una formazione minoritaria è riuscito a creare una nuova polarizzazione, costringendo gli altri a far campagna contro di lui, ma parlando sempre di lui. Erdogan, dopo le elezioni ha dichiarato che con Rutte cambia poco, perché è “nazista quanto Wilders”.