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IL LIBRO

“Nati guasti”. Cinque Passi al Mistero con Padre Botta

Il libro Nati guasti riporta fedelmente i ‘Cinque Passi al Mistero’, le catechesi del sacerdote oratoriano padre Maurizio Botta e le sue risposte alle domande di giovani e adulti. Per “avvicinare i lontani senza mai, neanche per un attimo, allontanarsi da Colui che sta al centro del suo cuore e dei suoi pensieri, Gesù Cristo”.

Cultura 06_03_2019

“Gli uomini si dividono in due categorie, quelli che credono al peccato originale e gli sciocchi”, scriveva Nicolás Gómez Davila. Per non rientrare tra le fila dei secondi, dovremmo umilmente prendere consapevolezza che “noi siamo questa impossibilità a fare quello che vorremmo, siamo una volontà di potenza sovradimensionata rispetto alle nostre possibilità, un desiderio di velocità sovradimensionato rispetto alla nostra lentezza. Noi siamo questa contraddizione vivente, chiamata dalla Chiesa ‘peccato originale’”. Per questo “abbiamo bisogno del Redentore sempre, perché se ogni istante della nostra vita non è liberato da Lui, rimaniamo sotto il giogo di una legge che non vogliamo ma da cui non riusciamo a liberarci e continueremo a sentire dentro un debito che non potremo mai saldare da soli”.

È questo il cuore di ‘Volere è potere?’, il primo dei ‘Cinque passi al Mistero’ raccolti da padre Maurizio Botta nel recente volume Nati guasti (San Paolo 2019, pp. 190). Si tratta di un libro che riporta fedelmente le catechesi del giovane e brillante sacerdote che predica nel solco del carisma di San Filippo Neri e risponde in maniera puntuale alle domande di giovani e adulti in dialogo con lui sulle ragioni della fede, secondo una formula vincente che, ormai da dieci anni, rende gremita la Chiesa di S. Maria in Vallicella a Roma. Come rileva Costanza Miriano nella Prefazione “padre Botta riesce nel miracolo di parlare ai lontani e anche ai lontanissimi, ma senza fare alcuno sconto nei contenuti, semplificando senza impoverire, traducendo senza tradire, rendendo potabile senza annacquare, avvicinando i lontani senza mai, neanche per un attimo, allontanarsi da Colui che, si sente a ogni frase, sta al centro del suo cuore e dei suoi pensieri, Gesù Cristo”.

Il primo passo da compiere consiste dunque nel liberarsi dall’illusione dell’autosufficienza che traspare nello stesso ‘mito del buon selvaggio’, “secondo il quale l’uomo è buono per natura ed è la società a corromperlo, per cui cambiando la società salveremo anche l’uomo”. La realtà dell’uomo però non è questa da quando egli ha preteso di sostituirsi a Dio, mangiando “quel frutto, quell’unico frutto e non tutti gli altri, che Dio avrebbe voluto riservarsi di staccare Lui stesso ogni volta e donare con amore, perché l’amore di quel dono diretto era l’unico antidoto. In Cristo questo era il progetto, non drammatico: farci dono, Lui, continuamente, della conoscenza del bene e del male, ma noi abbiamo allungato la mano per prenderla, una volta per tutte”. Assecondando il proprio delirio di onnipotenza, la creatura umana si trova piuttosto a sperimentare costantemente la propria impotenza. Dunque “l’uomo – prosegue il sacerdote oratoriano – non è buono, ha un cuore malato ed è questo guasto che lo danneggia, non ciò che viene da fuori. Ognuno di noi dovrebbe guardare a questa malattia che ha dentro di sé, partire da quella, da se stesso, invece di accusare sempre gli altri. L’uomo è abitato da questa contrapposizione tra desideri grandissimi, intelligenza acutissima e limiti: una lotta continua che lo porta a precipitare. Senza Cristo, l’uomo non ce la fa, non riesce”.

Se limite e finitezza contraddistinguono l’uomo in quanto tale, è “transumanesimo – puntualizza padre Maurizio – quando sogno di superare i limiti dell’umano”; così come è “scientismo quando ripongo nel progresso scientifico una sorta di fiducia messianica per la salvezza dell’uomo”. Perciò da una parte è necessario prender coscienza del fatto che “siamo dei nobili decaduti con pretese ingiustificate e sproporzionate rispetto a quel che siamo realmente: un ammasso di limiti incredibile, una bolla che con un niente può scoppiare”. Però dall’altro ciò non deve scoraggiare, perché il credente è chiamato a superare in forza della grazia divina il proprio limite in una maniera del tutto inedita. Infatti “il superamento del limite cristiano è quello che ti porta a vivere la vita di Dio dentro la carne: ‘Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’ (Gal 2, 20). È questo l’inaudito cristiano: noi siamo piccole creature qua e Dio è irraggiungibile là ma, uniti a Cristo, siamo inseriti nella vita eterna della Trinità”.

Allo stesso modo, nel ‘passo’ dedicato ai social e alla dipendenza da smartphone, padre Maurizio suggerisce come rimedi “un ‘digiuno’, che sia quotidiano o almeno settimanale, e la decisione d’intraprendere attività in cui ti privi volontariamente, anche quando dolorosamente, della connessione”. Imparando a trascorrere più tempo con se stessi infatti si valorizza quella dimensione preziosa del silenzio, che “Satana odia mortalmente e considera assai pericolosa perché è nel silenzio che può essere ascoltata la parola trasformante dell’amore”.

La catechesi sui temi del lavoro e del tempo libero prende le mosse da una constatazione, quella per cui il mercato globale è ormai ridotto “a un oligopolio di pochi e grandi che esclude i tanti e piccoli”, e da una considerazione, ossia che “il dogma dell’efficienza del mercato è una gran panzana, poiché il mercato non detta legge, sono gli uomini e la politica a dover scrivere le regole e a doverlo gestire”. Di qui, rispetto all’attuale modo di vivere la propria professione senza contemplare la possibilità di santificare la domenica, padre Maurizio non fa sconti ricordando che “se Dio ‘ci comanda’ il riposo – e non lo suggerisce, non ci rivolge un invito, non ci dà un consiglio, proprio lo ‘comanda’ – lo fa non solo per la nostra felicità, ma perché sa che una parte di noi, istintivamente, sarebbe portata a non viverlo”. È necessario allora modificare la propria “visione del tempo come ora d’aria rispetto a un lavoro vissuto, invece, come schiavitù guastatrice della festa” per vivere il proprio otium non quale “tempo ‘libero da’, ma come tempo ‘libero per’, in quanto la festa vera è il luogo dove decidi come utilizzare la tua libertà e porta con sé la logica del dono”. Una logica sicuramente da riscoprire e di cui sembra del tutto priva “la festa moderna, tutta individualistica, in cui ci si stordisce da soli e ci si ubriaca da soli, che è il contrario della festa cristiana la quale è sempre comunitaria”.