Mira il tuo pop, il rap stonato del vescovo a Fedez
Il vescovo di Noto e il rap per Fedez. Che ci possano essere valori positivi anche nelle canzonette non è in discussione, ma il poco che si salva non giustifica il tanto che corrompe. Di questo “cristianesimo umano” non ce ne facciamo nulla. Oggi siamo una perferia culturale, sempre pronti ad esaltarci per i rimasugli che i poteri del mondo ci lanciano.
Tempo fa avevo già parlato di Monsignor Antonio Staglianò, vescovo di Noto e propugnatore di una “pop theology”. Credo di averlo fatto con il rispetto che si deve alle persone, ma anche con la fermezza necessaria nella lotta delle idee. Ora, vorrei continuare ad occuparmene per spiegare perché penso (e non sono il solo) che la strategia che c’è dietro questo tipo di idee non è utile, è anzi deleteria per l’annuncio evangelico. Mi viene l’occasione da diversi articoli apparsi sugli organi di stampa.
L’Avvenire di Calabria ha pubblicato un articolo (12/4/2018) che dice: “Mons. Antonio Staglianó (Vescovo di Noto) durante la puntata de "La Vita in Diretta" del 9 Aprile 2018, al conduttore Marco Liorni dichiara di aver scritto una canzone per il rapper Fedez che spera di consegnarlo di persona al matrimonio che si celebrerà il 31 Agosto 2018 nella Cattedrale di Noto. La "Pop Theology" del Vescovo di Noto, ai giovani piace, e sicuramente è un buon metodo per avvicinarli alla chiesa”. (Contattato dalla Nuova BQ Staglianò ha poi chiarito che Fedez e Chiara Ferragni si sposeranno nel Comune della perla siciliana e non in Cattedrale ndr)
Ora, io non so cosa significa l’affermazione che questa “teologia” piace ai giovani e che questo è un buon metodo per avvicinare gli stessi alla Chiesa. Mi verrebbe da chiedere all’articolista (e al Monsignore): a quale idea di Chiesa li stiamo avvicinando? Perché non basta dire che tu stai avvicinando qualcuno a qualcosa per aver compiuto l’essenza di verità che dovrebbe e potrebbe essere implicita in quell’incontro, quando cioè uno dei termini dell’incontro viene presentato in un senso depotenziato. Certo bisogna sempre fare compromessi in un incontro, ma fino a che punto?
Ma prosegue l’articolo: “Poi, arriva l'annuncio ufficiale della pubblicazione sui digital Store, della canzone "Indimenticabile Sei", il cui testo è di Mons. Antonio Staglianó e la musica del dehoniano orante Antonio Cospito (già famoso in tutto il mondo per aver scritto la prima canzone per Papa Francesco). Inoltre, dalle dichiarazioni di Cospito, si evince la "viva" volontà di portare un testo del Vescovo di Noto, al prossimo "Festival di Sanremo" con un big della canzone italiana”.
La mia personale perplessità (e tristezza) è che si possa pensare che questo rincorrere il mondo possa servire per convertirlo e non invece per rafforzarlo. In Giovanni (17, 12-19) viene detto: “Quand'ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico queste cose mentre sono ancora nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato a loro la tua parola e il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità”.
Ora, nessuno vuole pensare che il semplice ascoltare musica pop possa pervertire le persone, ma non è un mistero che molti dei messaggi del mondo nel senso giovanneo sono proprio veicolati dai potentati e dalle lobbies politiche e culturali attraverso il mezzo della musica pop, che quindi andrebbe redenta e verso la quale bisognerebbe mettere in guardia proprio i giovani, non esser acriticamente accettata. A me sembra la decennale desistenza della Chiesa al mondo che si oppone proprio a quello che il Vangelo annuncia.
Questo correre appresso alla gioventù che per definzione “fugge” era stata già ben identificata da Romano Amerio: “La gioventù essendo la vita incipiente, bisogna che essa si rappresenti e che le venga rappresentato l’intero della vita, cioè il fine in cui la virtualità dell’incipiente deve adempirsi, la forma in cui la potenza ha da spiegarsi. La vita è difficile o, se si vuole, seria. (...) L’uomo non deve, come si suol dire, realizzarsi, ma realizzare i valori per cui è fatto e che esigono che egli si trasformi. Ed è curioso che mentre la teologia postconciliare frequenta il vocabolo metànoia, che vuol dire trasformazione della mente, faccia poi tanta forza sulla realizzazione di sé stesso. Seguire la pendenza è dolce, osteggiare il proprio io per modellarlo è aspro. Tale asprezza fu riconosciuta nella filosofia, nella poesia gnomica, nella politica, nel mito. Ogni bene si acquista o si conquista a prezzo di fatica. Gli dèi, dice il sapiente greco, hanno messo il sudore tra noi e la virtù, e Orazio: «multa tulit fecitque puer, sudavit et alsit» (Ars poet., 413) 150. (...) Oggi la vita è presentata ai giovani irrealisticamente come gioia, prendendo la gioia in isperanza, che serena l’animo in via, per la gioia piena che la appaga soltanto in termino. La durezza dell’umano vivere, dipinto un tempo nelle orazioni più frequentate come valle di lacrime, viene negata o dissimulata. E poiché con quello scambio la felicità viene figurata come lo stato proprio dell’uomo e dunque dovuto all’uomo, l’ideale è di preparare ai giovani una strada «secura d’ogn’intoppo e d’ogni sbarro» (Purg., XXXIII, 42). Perciò ai giovani pare ingiustizia ogni ostacolo da saltare e lo sbarro è riguardato non come prova, ma come scandalo. Gli adulti hanno ripudiato l’esercizio dell’autorità per voler piacere, giacché credono non potere essere amati se non carezzino e non piacciano. Conviene loro il monito del Profeta: «Vae quae consuunt pulvillos sub omni cubito manus et faciunt cervicalia sub capite universae aetatis» (Ezech., 13, 18)”.
In una risposta a Ragusa Oggi, che ne contestava alcune delle posizioni “aperturiste” di cui sopra, il Vescovo Staglianò affermava: “Personalmente non ho nessuna velleità di fare il cantante essendo piuttosto un predicatore. Lungi da me, dunque, anche solo il desiderio di andare a Sanremo. In quanto predicatore e scrittore di saggi teologico-pastorali, nonché di libri di poesie, sto da anni lavorando sul rapporto tra “musica e predicazione”, sviluppando tre registri di ricerca: il primo è la “cantillazione omiletica” come forma retorica non tanto per attrarre l’attenzione dei giovani ma per comunicare in maniera più diretta e profonda le verità del Vangelo in un’omelia; il secondo è la predicazione più ampia del Vangelo attraverso l’utilizzo delle canzonette conosciute dai giovani, come è ben spiegato da due mie opere uscite recentemente con Rubbettino (“Credo negli esseri umani cantando la buona novella pop” e “Pop Teology per giovani. Autocritica del cattolicesimo convenzionale per un cristianesimo umano”); il terzo è l’autocomponimento di testi e musica da far cantare possibilmente ai big”.
Ora, io non sono proprio sicuro che la “cantillazione omiletica” sia veramente così efficace come il presule afferma, anzi sono sicuro del contrario. Da musicista di Chiesa, mi sembra che per pretendere rispetto del ruolo del canto nella liturgia devo anche stare attento che siano rispettate le altre modalità espressive, come quella della predicazione che usa il parlato; la Messa non è un happening.
“La predicazione più ampia del Vangelo attraverso l’uso delle canzonette” è per me anche fuorviante. Ho visto Sua Eccellenza esibirsi durante l’omelia in alcune canzoni di big della musica leggera del panorama italiano, canzoni che comunicavano proprio quel messaggio di desolazione per il quale la Chiesa dovrebbe essere un’alternativa, non una piattaforma di lancio. Che ci possano essere valori positivi anche nelle canzonette non è in discussione, come ci possono essere (e ci sono) anche valori positivi in ideologie che sono in opposizione con il messaggio della Chiesa. Ma il poco che si salva non giustifica il tanto che corrompe.
Se poi Sua Eccellenza vuole mettersi a comporre canzoni pop, è nel suo diritto. Ognuno può avere gli hobbies e gli interessi culturali che crede. Ma se pensa che in questo modo convertirà un certo mondo culturale credo si sbagli di grosso. Molti che hanno tentato di correre appresso a certa modernità non hanno fatto altro che mostrare il fiato corto della Chiesa attuale. Fiato corto mostrato da un’altra risposta del Vescovo a Ragusa Oggi: “Stia poi certo che personalmente lavoro indefessamente per la mia amata Diocesi per la quale spendo tutto il mio tempo e le mie energie, checché possano osservare alcune persone dal cuore pieno di astio e di livore. D’altronde, da sempre il lavoro per il Vangelo è contrastato da colui che nel loro ultimo CD i Decibel chiamano l’Anticristo e il Nuovo Testamento chiama “Leone ruggente”. La saluto di cuore chiedendo sommessamente un atteggiamento meno malevole del suo giornale nei miei confronti e nei confronti del mio operato, sempre disponibile a ricevere qualsiasi suo giornalista che voglia interessarsi realmente di fatti e non di chiacchiere”.
I Decibel citati prima del Vangelo...può sembrare una noncuranza ma a me fa veramente un effetto strano. E in effetti il titolo del libri di Mons. Staglianò dice molto, “Pop Teology per giovani. Autocritica del cattolicesimo convenzionale per un cristianesimo umano”, questa opposizione fra il cristianesimo convenzionale (intende della Tradizione?) per raggiungere un “cristianesimo umano”, questa idea che a me ricorda molto quella della svolta antropologica di rahneriana memoria. E potrei dire che di questo “cristianesimo umano” non ce ne facciamo nulla, perché vorremmo sempre che ci venga mostrato il suo carattere divino, perché dell’umano abbiamo già abbastanza.
Un tempo la Chiesa era madre di cultura, un tempo i potentati economici si piegavano all’arte dei grandi che lavoravano per la Chiesa, la grande musica è nata anche grazie alla Chiesa. Oggi siamo una perferia culturale, sempre pronti ad esaltarci per i rimasugli che i poteri del mondo, ormai incontrastati, ci lanciano oramai indifferenti.