Mina sul davanzale, generazione in bilico
Oggi domina la generazione in bilico, quella che sta perennemente in equilibrio tra due o più scelte e non si decide mai perché crede di eternare se stessa sperando di non ingabbiarsi in una forma definita e definitiva di vita. Ma che è capace di stupire. Un libro di un'insegnante lo spiega bene.
Tempo fa i giovani erano ribelli per definizione. Poi venne la generazione interrotta e a seguire quella liquida, la generazione X (ma anche quella Y), i Millennians, la Generation Next e la Net Generation. Mancava all’appello la generazione in bilico, quella che sta perennemente in equilibrio tra due o più scelte e non si decide mai perché in tal modo, procrastinando in eterno la scelta crede di eternare se stessa, ossia spera di non ingabbiarsi in una forma definita e definitiva di vita da cui sarà impossibile far ritorno e di contro pensa che non decidendosi mai sarà per sempre libera.
E’ questo lo scenario di fondo di “Mina sul davanzale” (Itaca edizioni), romanzo della scrittrice ed insegnante Sara Allegrini in corsa per il premio Bancarellino 2018. Ma forse – e l'accento dubitativo è voluto per non bruciare la storia prima di averla letta – Mina non si riconosce appieno in questa generazione instabile e pericolante. Sta sul davanzale perché è solo un punto di osservazione privilegiato.
Il racconto prende spunto da un fatto realmente accaduto. A seguito del terremoto avvenuto in Umbria gli studenti di un liceo classico devono traslocare presso la sede di un istituto commerciale. Nella collisione di questi due mondi così diversi fa la sua comparsa Mina, la protagonista, figlia di una ragazza madre e che deve accudire una sorella disabile. Per questo motivo è costretta a malincuore ad optare per un diploma professionale che potrebbe darle un lavoro in tempi brevi. Ma la sua sensibilità, i suoi talenti – che spesso la portano a sentirsi straniera nella sua classe - anelano a ben altra formazione e a ben altri orizzonti. Poi un incontro con un ragazzo del Classico le spalanca quelle porte che sempre aveva desiderato aprire. Ma la realtà ben presto si impone con tutto il suo peso e Mina deve ricalibrare in sé molti suoi giudizi sugli altri e sul mondo, scoprendoli spesso come pre-giudizi. Questo le permetterà di crescere, ossia di conoscersi, accettarsi e superarsi. Ma ora facciamo parlare un po’ l’autrice.
Lei insegna. Quale potrebbe essere l’identikit dello studente tipo di oggi?
In ciò che leggo o scrivo, mi piace che l’ultima parola l’abbia la speranza, perciò inseguo i lieti fine. I ragazzi sono spesso, precocemente, pessimisti e disincantanti. Altrettanto spesso non sanno cosa vogliono, quali sono i loro talenti, cosa sarà di loro nel futuro. Gli adulti, come nelle mie storie, non sempre sanno essere punti di riferimento, né la scuola può sostituire la famiglia. Essere insegnante e scrittore permette di osservare, descrivere con lucidità e rispondere con positività alle domande di molti; alcuni lettori mi contattano per ringraziarmi della “guarigione” operata dalla lettura delle mie storie.
Passiamo al suo romanzo. Qual è il cuore della storia che ha voluto raccontare?
In merito a “Mina sul davanzale”, le giuste reazioni di questi giorni riguardo alle parole proferite con allarmante ingenuità dai presidi dei maggiori licei classici italiani sull’influsso negativo della presenza di stranieri e diversamente abili in classe, fanno comprendere l’attualità del tema del pregiudizio, che è al centro del libro. Il fatto che dà inizio alla storia, del liceo classico umbro, reso inagibile dal terremoto e per questo ospitato dall’istituto professionale, è veramente accaduto. Esiste, ed è ben radicato, il pregiudizio di chi frequenta le “scuole alte” verso chi sceglie una formazione di tipo professionale. Anche gli ultimi, gli stranieri e i cosiddetti disabili, che affrontano con pazienza e dignità le difficoltà di ogni giorno, hanno qualcosa da insegnare ai… monoabili acciecati dal pregiudizio. Il bene e il male sono mescolati assieme, ovunque, in qualsiasi ambiente, e solo uno sguardo libero e sinceramente in cerca della verità può riconoscere il Bello dietro anche a ciò che di attraente non ha nulla.
Al ristorante c’è il menù dei piatti. In un romanzo il menù è dato dai personaggi. Le chiedo qualche pennellata veloce per tratteggiare quelli più importanti.
Mina è una ragazza in cerca della perfezione, per questo è sempre scontenta di sé e degli altri. Assomiglia un po’ a me… prima che iniziassi a lavorare all’Istituto Professionale! Lì, facendo lo stesso percorso di Mina, ho capito che la perfezione non esiste, e che l’imperfezione, alla fine, mi piace molto di più! Nelson è un’antologia di alunni che ho conosciuto negli anni, gli occhi nascosti sotto a un berretto e corazzato di una felpa troppo grande; che toglie la pazienza al più santo degli insegnanti e, quando ogni speranza sembra ormai persa, stupisce. Ma solo per fare un dispetto al prof, chiaramente. E poi ci sono i prof, quelli “sempreverdi” che abbiamo conosciuto tutti: il cyborg concentrato solo sul programma da svolgere e quello che non va mai in classe. E, per fortuna, anche l’insegnante vocato che, consapevole di avere una missione e senza timore del ridicolo, si ingegna ogni giorno per portare in classe la bellezza nascosta dentro ai libri.
Un’istantanea del momento più saliente della storia.
È il momento in cui anche Nelson, da cui nessuno (Mina in primis) si aspetta nulla, fa qualcosa di buono. Che in realtà è molto più di qualcosa di buono: salva una vita e inizia a prendersene cura, mettendo in gioco anche la propria felicità e la reputazione. E costringendo Mina a mettere in discussione sé stessa e le sue certezze.
Assodato che non si tratta di una storia di suicidi, perché questo titolo?
Il davanzale è il bivio, il momento della scelta. Che dipende dagli occhi con cui si guarda la realtà: il davanzale può essere qualcosa da cui guardare in giù, verso la terra, facendosi vincere dai pensieri più neri, o un punto privilegiato per guardare in alto, e scoprire i colori e la bellezza del cielo.
Cosa dice chi l’ha letto?
Incontro centinaia di ragazzi e molti prof e, a prescindere dall’età dei lettori, qualcuno sorride, pensando si tratti di un libro comico e non credendo neppure per un attimo che gli episodi raccontati siano veri. Altri, che conoscono l’ambiente della scuola di cui parlo, vi riconoscono sé stessi o persone che conoscono. Molti mi dicono che è una storia che tutti dovrebbero leggere, per imparare a guardare con occhi diversi gli altri, provando a uscire da sé stessi e dai propri pregiudizi, smettendola di prendersi troppo sul serio. Ma la domanda migliore che mi viene immancabilmente posta, è cosa succede, dopo la fine del libro, ai personaggi, e se ci sarà un seguito. Perché Mina e Nelson hanno preso vita, sono diventati amici e sembrano così reali che i ragazzi si preoccupano davvero di sapere come prosegue la loro storia. E, per chi scrive, credo sia il miglior complimento.