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LADYFEST

Milano, ma quanto è bello pornificare questa città

La "Ladyfest" sbarca a Milano, in un centro sociale okkupato, con lezioni sulla sottomissione: quella sadomaso, non quella che intende Costanza Miriano. Fra sex toys fai-da-te e vetero-femminismo, un festival di cui non si sentiva il bisogno. 

Famiglia 08_06_2014
Femminismo

Oh, era ora. Finalmente anche l’Italia ha la sua Ladyfest, festival «queer e femminista di cultura indipendente», nato nel 2000 nella solita America, patria e madre di tutte le «libertà». È cominciata a Milano, nostra capitale «morale», venerdì 6 giugno u.s. con la durata dell’intero weekend. Sede, il Collettivo Zam, cioè una scuola comunale in disuso okkupata in attesa che l’imbarazzata giunta Pisapia la sgomberi (ovviamente, tramite polizia) perché pericolante. Imbarazzata? Sì, perché ci sono consiglieri, come quello del Sel, che invece plaudono alle iniziative libertarie dei centri sociali, in quanto riescono a parlare di «argomenti tabù» (tabù? nel 2014? ma ci faccia il piacere, diceva Totò).

Insomma, come ha scritto Chiara Campo sul «Giornale» anticipando l’evento, la Ladyfest è l’occasione giusta per le donne che vogliono apprendere l’arte della sottomissione. S’intende erotica, perché quella descritta da Costanza Miriano nel suo libro -questo sì tabù- Sposati e sii sottomessa è da bruciare in piazza, così come facevano i nazisti con le opere proibite. Pensate, la Miriano osava parlare di mogli e mariti tradizionali. La poverina, attardata su «moralismi fuori dal tempo» (copyright, il sopracitato consigliere Sel), avrebbe fatto meglio a dilungarsi sulla sottomissione politicamente corretta. Cioè, quella sessuale (essì, perché per quanto tu possa spremerti il cervello non c’è «liberazione» che non finisca in sex, drugs and rock’n’roll). Ma niente paura, alla Ladyfest milanese ci sarà tutto. Workshop ed esperti che insegnano il «bondage giapponese declinato al femminile» (che, se non andiamo errati, consiste nel farsi appendere nudi o seminudi legati come salami e magari con la mordacchia), come costruire dei sex-toys (in tempi di spending review è quanto mai utile il fai-da-te), «conoscere e sperimentare le tecniche sadomaso». Ci sarà stata la ressa.

La manifestazione è stata aperta da uno «speed debate» (boh) sulla «scelta della non maternità», tema assai caro al femminismo di quarant’anni fa ma sempre attuale. In mezzo a installazioni, banchetti e mostre, era previsto anche qualche corso a pagamento (10 €. ca) e a numero chiuso (supponiamo per eccesso di richieste). Interessante la sintesi con cui l’organizzazione ha propagandato la tre-giorni: «La Ladyfest pornifica (con la «p», ndr) Milano perché mette in gioco i corpi e il loro sfiorarsi nelle strade e nelle piazze. Si riappropria della città e legittima il piacere». La città, già indebitamente espropriata, sentitamente ringrazia della pornificazione (con la «p», ndr). I milanesi mica lo sapevano quant’era sexy il loro struscio, quanto fosse «ad alto tasso di sessualità non convenzionale» (così nel programma del Ladyfest) l’andare per vie e piazze. Noi, anzi, pensavamo che «il loro sfiorarsi» fosse un fastidio che nelle ore di punta implica anche spintoni e gomitate, cani che ti si infilano tra le gambe, guinzagli a molla che di colpo ti sbarrano il cammino, vecchietti troppo lenti, tamarri tatuati olezzanti Sudor n° 5, signorine di bassa statura che anche sotto la grandine portano l’ombrello in spalla alla Rossella O’Hara e ostacolano il passaggio.

Pensavamo che Milano fosse la città in cui tutti hanno sempre fretta e corrono pure sulle scale mobili. Pensavamo fosse la metropoli in cui il nanosecondo assume questa definizione: lasso di tempo che intercorre tra il semaforo che diventa verde e l’auto dietro che comincia a clacsonare. Ben venga, dunque, una sua pornificazione (con la «p», ndr) e la riappropriazione da parte di chi ne fu scippata, cioè la Ladyfest e i suoi addetti. La giunta arancione, come abbiamo detto, è però imbarazzata. Sì, perché, se da una parte è noto il suo sguardo benevolo nei confronti dei centri sociali, è altresì noto che la politica campa di voti, e quelli degli abitanti dei quartieri che attorniano gli edifici okkupati (che ormai sono legione), stufi di schiamazzi e degrado, alle prossime elezioni Pisapia li vedrà col binocolo. E si aggiunga l’area pericolante su cui ha insistito la Ladyfest: un altro consigliere (ma dell’opposizione) ha avvisato sindaco, prefetto e questore che «il palazzo ha problemi statici gravi». Certo, qualche persona legata e appesa a scopo didattico non avrà aggravato più di tanto la situazione. Ma - paventa il consigliere d’opposizione - c’è il rischio che qualcuno prima o poi si faccia male e ci scappi qualche martire della libertà d’espressione. E poi, che sarà mai uno sgombero coatto? L’esperienza milanese insegna che gli sgomberati vanno a okkupare da un’altra parte e si ricomincia. C’è solo da raccomandare loro maggiore oculatezza nella scelta dello stabile.