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ONU

Migranti, un patto globale inutile

A dicembre in Marocco si svolgerà una Conferenza sotto l'egida dell'ONU per sottoscrivere il "Patto globale per una emigrazione sicura". Ma si tratta di princìpi già recepiti e quattro Paesi - Usa, Australia, Ungheria e Austria - hanno già dichiarato che non aderiranno.
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Esteri 04_11_2018

Il 10-11 dicembre a Marrakech, in Marocco, si svolgerà una conferenza intergovernativa, convocata sotto gli auspici dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per discutere e sottoscrivere un accordo che prende il nome di “Patto globale per una emigrazione sicura, disciplinata e regolare”. Sarà il momento conclusivo di un percorso iniziato nel 2016 quando all’Assemblea generale dell’Onu, su sollecitazione dell’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama, è stata presentata la “Dichiarazione di New York per i rifugiati e gli emigranti”, un documento firmato all’epoca da 193 stati.

Per la prima volta, si complimentava il segretario generale dell’Onu Antonio Gutierres, un summit di capi di stato e di governo era stato convocato per parlare di flussi di rifugiati ed emigranti. L’evento, espressione “della volontà politica dei leader mondali di salvare vite, proteggere i diritti, condividere a livello mondiale le responsabilità, in funzione di un atteggiamento più umano e coordinato”, poteva considerarsi una pietra miliare, uno spartiacque in materia di gestione delle migrazioni internazionali e una opportunità unica di creare una risposta globale a vasti movimenti di rifugiati e di emigranti. Il Patto globale che ne è derivato consiste in un documento di 34 pagine, strutturato in 23 obiettivi e 54 punti. È il primo accordo intergovernativo – evidenzia l’Onu – che si occupa in maniera olistica e globale delle migrazioni internazionali in tutte le loro modalità e dimensioni.

Da anni ormai le Nazioni Unite presentano ogni loro conferenza internazionale e ogni documento che ne scaturisce come la pietra miliare di qualcosa, e non è mai vero. Il Patto globale non fa eccezione. Come d’altra parte il testo da cui prende le mosse – la Dichiarazione di New York – si limita per lo più a ribadire principi e intenti già recepiti, anche se non da tutti e non sempre rispettati, a partire  dai diritti umani: “Grazie al Patto globale – si legge nel preambolo – garantiamo il rispetto e la tutela dei diritti umani di tutti gli emigranti, a prescindere dal loro status e durante ogni fase del ciclo migratorio. Inoltre riaffermiamo l’impegno a eliminare ogni forma di discriminazione, incluso il razzismo, la xenofobia e l’intolleranza nei confronti degli emigranti e delle loro famiglie”.

Tra gli obiettivi, al primo posto c’è una “accurata e disaggregata raccolta di dati”, seguita dalla riduzione dei fattori che costringono a emigrare; e poi: favorire un reclutamento di forza lavoro etico e trasparente, che assicuri condizioni di lavoro decenti, salvare vite umane, affrontare e ridurre la vulnerabilità nella migrazione, rafforzare il contrasto internazionale al contrabbando di emigranti, usare la detenzione di emigranti come ultima estrema misura e trovare delle alternative, assicurare che gli emigranti accedano ai servizi di base, creare le condizioni perché gli emigranti e le diaspore contribuiscano pienamente allo sviluppo sostenibile in tutti i paesi, fornire accurate e tempestive informazioni in ogni fase dell’emigrazione, migliorare la protezione consolare, l’assistenza e la cooperazione durante tutto il ciclo migratorio, mettere gli emigranti e le comunità in grado di realizzare piena inclusione e coesione sociale, eliminare ogni forma di discriminazione e promuovere un dialogo pubblico fondato su prove per modellare la percezione della migrazione …

Come ricorda il preambolo, il Patto globale, come altri accordi e trattati sottoscritti sotto l’egida dell’Onu, non ha valore vincolante e d’altra parte chi non lo rispettasse, avendolo sottoscritto, difficilmente potrebbe essere costretto a farlo.

Tuttavia quattro stati hanno già annunciato che non intendono aderire al Patto in cui vedono un nuovo tentativo di imporre limitazioni agli stati sovrani. Nella sostanza inoltre temono l’asserzione di un “diritto all’emigrazione” e non intendono avallarla.

I primi a defilarsi sono stati gli Stati Uniti quasi un anno or sono. Il 3 dicembre l’allora ambasciatore Usa all’Onu Nikky Haley ha annunciato la decisione del presidente Donald Trump spiegando: “L’America è orgogliosa della propria eredità di immigrati e della sua lunga leadership morale nel fornire sostegno agli emigranti e ai rifugiati in tutto il mondo. Tuttavia le nostre decisioni in materia di politiche migratorie devono sempre essere prese dagli americani e da loro soltanto. Decideremo il modo migliore di controllare le nostre frontiere e a chi permetteremo di entrare nel paese”.

Poi è stata la volta dell’Australia. Il ministro dell’interno Peter Dutton ha dichiarato che il suo governo non intende firmare un accordo che sacrifica le sue politiche di protezione dei confini nazionali: “Non cederemo la nostra sovranità – ha affermato – io non permetterò a degli organismi non eletti di dare ordini al popolo australiano”.

Dopo l’Australia, anche l’Ungheria ha scelto di non firmare. A luglio il ministro degli esteri Peter Szijjarto ha motivato la decisione dicendo che il Patto globale è una minaccia per il mondo e va contro gli interessi del suo paese:  “parte dal presupposto che l’emigrazione sia un fenomeno positivo e inevitabile, mentre noi lo consideriamo un fatto negativo dalle conseguenze estremamente gravi”.

Il 31 ottobre l’Austria ne ha seguito l’esempio: “Secondo noi alcuni punti del patto sono molto discutibili, ad esempio il fatto di mettere sullo stesso piano richiedenti asilo ed emigranti economici” ha spiegato il cancelliere Sebastian Kurz.

L’Italia non si è ancora pronunciata.