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BERGAMO

Messa del prete gay, il tabù di una scomunica doverosa

Come annunciato da più di un mese, don Giuliano Costalunga ha "celebrato" una messa che ha fatto dell'Eucarestia una farsa. Con lui anche alcuni ex parrocchiani. Segno che il diktat omoeretico si sta trasferendo anche ai fedeli. Che fare? Un grave atto sacrilego nei confronti dell'autore della vita è stato compiuto. Ma scomunica e riparazioni sono parole ormai tabù per vescovi che invece preferiscono far finta di nulla limitandosi solo a prendere le distanze. 

Editoriali 10_09_2018

La casula è rigorosamente arcobaleno e in prima fila c’è Paolo, che ha “sposato” a Gran Canaria l’8 luglio scorso. Don Giuliano Costalunga l’aveva annunciato per tempo che avrebbe celebrato una messa illegittima e illecita in quel di Bergamo come riferisce dettagliatamente il Corriere di Bergamo che pubblica anche alcune foto. Non per nome e conto della chiesa Cattolica, dai cui uffici è separato a causa della sospensione a divinis comminatagli dopo la vicenda delle nozze con il suo uomo. Ma per conto della Chiesa vetero cattolica americana di Bergamo, che ovviamente non è in comunione con Roma, ma che dei riti e delle fede cattolica scimmiotta questo e quello salvo però aprire ai gay persino la celebrazione della liturgia.

In fondo non c’è da stupirsi che don Giuliano prosegua nella sua folle corsa celebrando messa, per la cronaca basta leggere i resoconti giornalistici di giornata. Ma è dalla cronaca che si apprendono alcuni dettagli che non possono non impensierire e non far pensare al grave scandalo che si è perpetrato, anzitutto a danni dell’Eucarestia. Se è vero, come è vero, che don Giuliano è ancora prete, dato che aveva tempo fino al 2 agosto per chiedere la dispensa e conseguente riduzione allo stato laicale. Ma non l’ha fatto e la diocesi di Verona ha dovuto procedere d’ufficio. Solo che la riduzione allo stato laicale, che don Giuliano ha ribadito di non voler chiedere, non è ancora arrivata.

Per questo motivo don Giuliano ha celebrato una messa illegittima dal punto di vista canonico, in quanto sospeso a divinis, ma valida dal punto di vista sacramentale, essendo lui ancora sacerdote, come detto dal vescovo Giuseppe Zenti anche recentemente (“Sei mio prete”). Così l’Eucarestia celebrata non è altro che una scimmiottatura del corpo e sangue di Cristo. O meglio: è il fare dell’Eucarestia una farsa, come ebbe a dire più volte il suo vescovo anche in via informale non più tardi di un mese fa al nostro giornale.

E’ evidente che non c’è niente di più grave. La sua nuova condizione di sospeso a divinis gli proibisce la celebrazione dei sacramenti sia in pubblico che in privato. Facendo quello che ha fatto a Bergamo, don Giuliano ha compiuto una farsa dell’Eucarestia, si è messo contro l’assoluto di mistero di Dio qual è Gesù Eucaristia. Mostruoso e diabolico. Vuol dire aver perso del tutto il senso morale e, ancor prima, il senso di Dio.

Eppure, che don Giuliano avrebbe celebrato quella farsa era annunciato da più di un mese. Che cosa ha fatto la Diocesi di Verona, dopo avergli concesso tempo fino al 2 agosto scorso per chiedere la riduzione, per impedirglielo? E’ molto probabile che la pratica di riduzione allo stato laicale non sia ancora arrivata, ma è evidente che, anche fosse arrivata, la sfida lanciata da don Giuliano impegna molto di più le categorie procedurali del diritto canonico. Che cosa hanno fatto la chiesa di Verona, e conseguentemente la Chiesa di Bergamo, che sapeva si sarebbe svolto nella sua diocesi un atto così blasfemo per impedirlo? Davvero bisogna continuare con la consolante e pilatesca strategia del “non possiamo farci niente”? Del “in fondo è la sua vita…?”

No, la messa omoeretica e blasfema di don Giuliano è una ferita anzitutto a Gesù Eucarestia, che andrebbe riparata al più presto in ragione anzitutto dell’autore della vita, ma anche per una non trascurabile porzione di popolo cristiano che da quella celebrazione potrebbe trarre un nocumento spirituale.

Stando alle cronache infatti, a Bergamo sono arrivati anche alcuni ex parrocchiani di don Giuliano. “Vi hanno detto che se venivate sareste stati tutti scomunicati”, ha ironizzato il sacerdote con un sorriso tra il sarcastico e il diabolico. Poche macchine, si racconta di appena quattro. Ma comunque provenienti da quella comunità che il vescovo Zenti aveva incontrato in luglio ribadendo che in realtà nessuno si fosse affezionato a tal punto a don Giuliano da seguirlo nel suo “folle volo”. Invece si vede che qualcuno c’era e come capita ai sacerdoti che vengono spostati di parrocchia, anche da Selva di Progno è partito un comitato in rappresentanza della vecchia comunità per accompagnare nella sua nuova avvenuta l’amico sacerdote. Solo che la nuova avvenuta che don Giuliano sta percorrendo è in un’altra Chiesa. Verso un nuovo abisso.

Che cosa avranno recepito di quella falsa celebrazione le anime veronesi che vi hanno partecipato? E chi si prenderà cura di loro per ribadire che anche il solo partecipare a quella “farsa dell’Eucarestia” è stato un contribuire ad allargare la ferita nel costato di Gesù? Forse è il caso che il vescovo Zenti non lasci perdere questo ennesimo scandalo per ribadire il grave errore nel quale sono caduti anche gli ex parrocchiani di don Giuliano. E per scomunicare ufficialmente quel sacerdote che adesso in virtù della sua condizione ancora ambigua di prete-non prete, proclama da amboni abusivi che Gesù non ha mai condannato l’omosessualità. Basterebbe ricordargli Luca 10.12 (“Vi assicuro che nel giorno del giudizio gli abitanti di Sòdoma saranno trattati meno severamente degli abitanti di quella città”). Il che vuol dire che Sodoma non sarà giudicata teneramente.

Non basta? Una scomunica, parola ormai tabù e scandalosa sarebbe per lo meno il segno che la Chiesa che don Giuliano ha avuto come madre gli sta dando l’ultima chiamata prima di un giudizio che prima o poi arriverà. Ma i vertici ecclesiali non sembrano intenzionati a parlare in questi termini nè a intervenire immediatamente per condannare quanto accaduto.

Un prete allo sbando trascina con sé anime che pericolosamente si mettono sulla china della legittimazione delle pratiche omoerotiche al motto di parole all’acqua di rose come “Gesù amava tutti”. Non dire nulla, non fare nulla e nulla dire per ribadire il gravissimo sacrilegio compiuto a Bergamo è un arrendersi ancora una volta a una deriva, quella dell’omosessualismo clericale che ormai detta legge.