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IL PAPA ALLA PAV

Meno aborto, più ambiente e poveri: è la nuova bioetica

Con la lettera del Papa alla PAV muta il registro dottrinale sui temi morali: la persona umana vivente corredata di una propria dignità non rappresenta più il paradigma morale di riferimento per discernere il bene dal male, ma è sostituita dall’esistenza, una congerie di fatti e condizioni come l’immigrazione o la fratellanza universale. Povertà e ambiente ritenute più importanti di aborto ed eutanasia perché la giustizia sociale ha maggior peso della giustizia naturale.

Editoriali 16_01_2019
Il Papa con il vescovo Paglia

Il Santo Padre il 6 gennaio scorso ha scritto una lettera a Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita (PAV), in occasione del XXV anniversario dell’istituzione della medesima Accademia.

Nella lettera, resa pubblica ieri, vi sono sicuramente alcuni spunti interessanti e condivisibili, ma non mancano alcune riserve. Data la lunghezza della lettera siamo costretti a tralasciare molte riflessioni, volendo solo soffermarci su quello che, a nostro giudizio, pare essere il cuore di questa missiva: la nuova missione della PAV. Aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, maternità surrogata, sperimentazione sugli embrioni, clonazione, contraccezione et similia non devono più rappresentare le materie di interesse principale della PAV, bensì sono altri gli orizzonti verso cui l’Accademia dovrà spingersi. Un cambio di direzione già annunciato il giugno scorso in occasione della XXIV Assemblea Generale della PAV.

La nuova identità della PAV, voluta da Giovanni Paolo II per dare risposta a quesiti morali di carattere bioetico, è oggi ampiamente confermata da Papa Francesco. Infatti i temi toccati nella lettera sono, tra i molti, le “relazioni familiari”, la “convivenza sociale”, la “diffidenza reciproca”, la “competizione esasperata”, la “violenza”, la “famiglia umana”, la “guerra”, il “godimento materiale”, “il sistema del denaro e l’ideologia del consumo”, la “divisione, l’indifferenza, l’ostilità” tra i popoli, il “compromesso mondano”, “i poveri e i disperati”, gli anziani e i giovani (“È urgente che gli anziani credano di più ai loro ‘sogni’ migliori; e che i giovani abbiano ‘visioni’ capaci di spingerli a impegnarsi coraggiosamente nella storia”).

Le tematiche però al centro della lettera del Papa e che devono quindi essere parimenti al centro degli sforzi della PAV sono altre: l’ambiente, il concetto di un nuovo umanesimo e la fraternità universale. In merito a quest’ultimo aspetto il Pontefice così si esprime: “Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. […] La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo”.

Tralasciamo qualsiasi commento al fatto che la modernità, ammesso e non concesso che abbia mai fatto promesse buone, non ha adempiuto a promesse ben più rilevanti di quella che interessa la fraternità e che indicare come nuova frontiera del cristianesimo “la forza della fraternità” pare voler dimenticare che la frontiera del cristianesimo è, a detta della dottrina cattolica, di altra e ben più elevata natura ed è sempre la medesima: la salvezza degli uomini. Tralasciando appunto queste riflessioni, ciò che rileva è l’uso delle espressioni “umanesimo” e “fratellanza universale” dato che sono termini alieni al portato culturale cattolico perché il loro contenuto, così come sedimentato dalla storia, non è cattolico. Vero è che potrebbero ricevere diversa accezione, però occorrerebbe specificare tale accezione. Ma, detto ciò, sarebbe comunque preferibile ricorrere all’infinita e ricchissima terminologia della teologia e morale cattolica che, in secoli di studio, ha cesellato termini precisi e inequivocabili ad uso e consumo dei fedeli. E così a posto di “umanesimo” si poteva usare “antropologia cattolica”, perché nell’umanesimo al centro c’era l’uomo e non Dio, e a posto di “fraternità universale”, dal sapore tanto illuminista, si poteva usare l’espressione “figli di Dio”.

Ma che fine hanno fatto nella missiva del papa le tematiche proprie della bioetica, quelle su cui la PAV ha indagato per anni? C’è un solo passaggio della lunga lettera in cui si parla di aborto e eutanasia, laddove Papa Francesco apprezza l’impegno della PAV allorquando in più occasioni si è spesa per “la denuncia dell’aborto e della soppressione del malato come mali gravissimi, che contraddicono lo Spirito della vita e ci fanno sprofondare nell’anti-cultura della morte”. Ma subito dopo il Pontefice si affretta a chiarire che ora la mission della PAV si deve occupare (anche e soprattutto) di altro: “Su questa linea occorre certamente continuare, con attenzione ad altre provocazioni che la congiuntura contemporanea offre per la maturazione della fede, per una sua più profonda comprensione e per più adeguata comunicazione agli uomini di oggi. […] La prospettiva della bioetica globale, con la sua visione ampia e l’attenzione all’impatto dell’ambiente sulla vita e sulla salute, costituisce una notevole opportunità per approfondire la nuova alleanza del Vangelo e della creazione”. Ritorna il concetto di bioetica globale: mettiamo in secondo piano aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, etc. e privilegiamo i temi sociali e ambientali.

La priorità del tema ecologista è comprovata da questi passaggi dove, addirittura, pare che l’ecologismo sia la fonte dei doveri morali: “Una nuova prospettiva etica universale, attenta ai temi del creato e della vita umana, è l’obiettivo al quale dobbiamo puntare sul piano culturale”. Curioso notare che il tema della vita umana viene dopo quella del creato. Forse perché la persona riceve valore dal fatto che è anch’essa creatura al pari di animali e piante? Pare, ma è solo un giudizio intuitivo, che la seguente affermazione, assai problematica per più motivi, vada in questa direzione: “La differenza [sic] della vita umana è un bene assoluto, degno di essere eticamente presidiato, prezioso per la cura di tutta la creazione”.

Un’altra prova che il registro dottrinale sui temi morali è mutato viene dal seguente periodo: “San Giovanni Paolo II registrava i gesti di accoglienza e di difesa della vita umana, il diffondersi di una sensibilità contraria alla guerra e alla pena di morte, una crescente attenzione alla qualità della vita e all’ecologia”. Dunque, tralasciando il fatto che citare in modo così parziale (ed anche partigiano) Giovanni Paolo II tradisce non poco il suo pensiero, pare che la difesa della vita umana sia strada percorribile solo se si è contrari alla guerra (anche a quella giusta?), alla pena di morte (anche a quella giusta?) e se ci si batte per la qualità della vita (che è sì un bene, ma non certo assoluto, altrimenti si spalancano le porte all’eutanasia, all’aborto e alla fecondazione extracorporea) e per l’ecologia.

In breve la lettera del Papa mette in luce due novità in tema di bioetica. Innanzitutto la PAV forse dovrebbe cambiare nome: non più Pontificia Accademia per la Vita, ma Pontificia Accademia per l’Esistenza. Infatti sembra che la persona umana vivente corredata di una propria dignità non rappresenti più il paradigma morale di riferimento per discernere il bene dal male e che sia stata sostituita dall’esistenza, ossia da una congerie di fatti e condizioni (l’immigrazione, la guerra, la fratellanza universale, il povero, l’anziano, il giovane, etc.) che diventano fonte da cui trarre i giudizi morali. Una impostazione antimetafisica perché rappresenta una declinazione teorica della cosiddetta fenomenologia etica: la prassi genera i principi etici. Schiacciato dunque sul piano orizzontale, l’uomo è essere vivente al pari degli altri esseri viventi e quindi i criteri di giudizio etico devono essere quelli dell’ecologismo.

In secondo luogo le tematiche classiche della bioetica si eclissano a favore di altri temi che nulla, o ben poco, hanno a che fare con la bioetica. Le motivazioni che soggiacciono a questa eclissi, in sintesi, possono essere le seguenti (qui per un’analisi un poco più approfondita). In primo luogo povertà, disagio sociale, ambiente etc. vengono ritenute materie più importanti di aborto ed eutanasia perché la giustizia sociale ha maggior peso della giustizia naturale. In secondo luogo le tematiche classiche bioetiche sono fortemente divisive, portano allo scontro e questo mal si concilia con una Chiesa intenta prevalentemente a gettare ponti e ad abbattere muri.