Macron non rende onore all'eroe Beltrame
Nel suo discorso per la morte di Arnaud Beltrame, il gendarme morto per salvare gli ostaggi nell'attentato di Trèbes, il presidente Macron non cita neppure la fede cattolica dell'eroe. Per il presidente, infatti, l'unica divinità per cui val la pena di sacrificarsi è la Francia.
Perché il sempre tollerante Impero romano ha mandato a morte in modo spietato per tre secoli i cristiani? Perché hanno rifiutato di idolatrare lo Stato e chi lo governava. Dio è Dio e solo lui deve essere adorato. Agli idoli muti e sordi, frutto delle nostre mani e della nostra storia, non possiamo rendere culto.
Perché dico questo? Per curioso che possa sembrare il ricordo dell’Impero romano e della sua persecuzione anticristiana mi è venuto in mente leggendo il solenne discorso pronunciato da Macron il 28 marzo all’Hotel des Invalides in onore del “colonnello della gendarmeria” Arnaud Beltrame. L’eroe del supermercato di Trèbes.
I discorsi ufficiali in genere sono pieni di retorica. Pura muffa. Stantii. Quello di Macron no: un discorso “in marcia”, svelto, concreto, eppure pieno di solennità. Di una solennità operativa, fattiva e, quindi, diciamo così, godibile. In un mondo che ha perso speranza e senso, il discorso del Presidente orienta verso un senso, un senso superiore: “Lo dico alla gioventù francese che si dispera nella ricerca di qualcosa che ai nostri giorni sazi la fame di assoluto”. “L’assoluto è qui, di fronte a noi”, dice Macron.
Di quale assoluto parla? Ça va sens dire, della Francia.
La Francia, questa divinità marciante nelle parole di Macron è, a suo giudizio, l’unico idolo che dia senso al sacrificio estremo, quello della vita: “Sì, la Francia merita che le venga donato il meglio. Sì, l’impegno a servire e proteggere può essere elevato al massimo sacrificio. Sì, questo ha senso e dà un senso alla nostra vita”. “Essere pronto a donare la propria vita perché nulla è più importante della vita di un cittadino, questa è l’intima energia della trascendenza che portava [Beltrame] in sé. E’ stata questa grandezza che ha sbalordito la Francia”.
Nel lungo e asciutto discorso di Macron non c’è posto per altra “trascendenza” che non sia quella dello stato, che non sia la Francia. Eppure Arnaud Beltrame si converte a 33 anni, si battezza e si cresima a 36 e da allora “non ha mai nascosto l’allegria della fede ritrovata”, come testimonia il monaco Jean Baptiste, suo padre spirituale. Che tipo era Beltrame? Un tipo che aveva preso come modello San Giuseppe, che a casa aveva un posto dedicato alla preghiera, che ricordava con passione le glorie della Francia cristiana, che 4 giorni prima di morire ha scritto una lettera in cui manifestava la sua “adesione incondizionata e fervente a tutta la fede cattolica e alla sua tradizione”.
Di questo Beltrame nel discoro di Macron non c’è traccia: il nome di Beltrame “è divenuto il nome dell’eroismo francese, l’incarnazione di quello spirito di resistenza che è l’affermazione suprema di ciò che siamo, degli ideali per cui la Francia ha sempre combattuto, da Giovanna d’Arco al generale De Gaulle”.
Come non tiene in nessun conto il posto della fede nella vita di Beltrame, così Macron dimentica che la pastorella di 17 anni guida l’esercito francese alla vittoria non per un ideale, ma per obbedienza a una voce. La voce dell’arcangelo Michele che le ordina di scendere in difesa di Orléans e di Carlo VII. Per obbedire a questa voce la pulzella va dritta dritta al rogo ripetendo fino all’ultimo il nome dell’amato. Di quell’amato di cui Macron non conosce il nome. Non sa che è esistito, né sa che una schiera di francesi l’ha seguito sulla strada che ha indicato: “amatevi come Io vi ho amato”.
Macron è, oggi, la più pura espressione dell’idolatria di stato.