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IL CASO ALFIE

Lo Stato e il dovere della felicità a danno della libertà

Possibile che il Paese del liberalismo sia anche il luogo in cui si mina il diritto alla vita di un bimbo? Sì, perché si è imposto allo Stato di tutelare i “diritti positivi”, come la felicità dei cittadini. Una trappola quasi diabolica. Perché curarsi della libertà, quando lo Stato può darti benessere se solo rinunci ad un pezzetto di quella libertà? Così il benessere di Alfie consiste nel condurre una vita votata ai piaceri fisici. Se non può, allora deve morire: è nel suo “miglior interesse”.

Vita e bioetica 20_04_2018
Thomas Evans

Caro direttore,

In questi giorni ci siamo interrogati molto sulla vicenda di Alfie Evans. Uno degli aspetti più apparentemente paradossali di questa storia è che il paese in cui è nato il liberalismo moderno – il Regno Unito – sia anche il luogo in cui si mina il diritto alla vita di un bimbo. Il diritto alla vita è giustamente annoverato tra i primi diritti indisponibili in tutte le dichiarazioni dei diritti umani ed in tutti i testi classici del liberalismo. In generale, nessuno può privare un essere umano della propria vita – anche se in alcune legislazioni si ammettono eccezioni come la legittima difesa e la pena di morte, che non hanno a che fare con il caso di Alfie.

Valgano due esempi: quello di John Locke e quello di Thomas Hobbes, fondatori di due teorie dello Stato molto diverse tra loro. Per Locke “lo stato di natura ha una legge di natura che lo governa, che è obbligante verso ciascun uomo” e “la ragione, che si identifica con quella legge, insegna a tutti gli uomini (allorché la consultano) che, essendo tutti eguali e indipendenti, nessuno deve danneggiare nessun altro nella propria vita, salute, libertà e proprietà” (Due Trattati sul Governo, II). Nei passaggi successivi, Locke ritiene addirittura che nessuno possa privarsi della propria vita!

Hobbes, che pur assegna poteri quasi illimitati allo Stato (il ben noto “Leviatano”), scrive che “se il sovrano comanda a un uomo (ancorché giustamente condannato) di uccidersi, ferirsi o mutilarsi, o di non resistere a chi lo aggredisce, o di astenersi dall'uso di cibo, aria, medicine o qualsiasi altra cosa senza la quale non possa vivere, quest'uomo ha nondimeno la libertà di disubbidire” (Leviatano, II).

Tutte queste indicazioni sono recepite nelle più importanti dichiarazioni dei diritti umani. Ogni essere umano ha diritto alla “vita, libertà e ricerca della felicità” (Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776), alla “vita, libertà e proprietà” (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, agli inizi della Rivoluzione Francese), alla “vita, libertà e sicurezza personale” (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948).

Come è possibile che lo Stato britannico, per mezzo dei suoi giudici, giunga ora ad imporre la morte ad un bimbo nel “miglior interesse” di quest’ultimo? La risposta sembra semplice: perché sono tutti impazziti. E non è lontana dal vero, in effetti, perché la permanenza nell’errore da parte di molti sta rasentando la follia. Ma se vogliamo combattere una battaglia culturale davvero efficace, dobbiamo comprendere la logica che ci ha condotti fin qui.

A mio avviso, una svolta decisiva è giunta nel momento in cui si è imposto allo Stato di tutelare i cosiddetti “diritti positivi”. I diritti che ho prima citato sono tutti negativi. Dire che ciascuno di noi ha diritto alla vita equivale ad affermare che nessuno – neppure lo Stato – può privarci della vita. Dire che ciascuno di noi ha diritto alla libertà equivale ad affermare che nessuno – neppure lo Stato – può privarci della libertà. E così via.

Nondimeno, gli Stati moderni si sono posti anche il compito di tutelare altri diritti: quelli al possesso di qualcosa o al raggiungimento di un certo stato. Ad esempio: il diritto al lavoro, quello alla casa, o quello al reddito (come si propone da alcuni anni). E, più in generale, un non ben definito diritto alla felicità o al benessere dei suoi cittadini. Tali diritti sono appunto positivi.

Ora, la tutela e la promozione dei diritti positivi da parte dello Stato sembra essere un atto innocente e ben gradito. Chi non sarebbe lieto di ricevere dallo Stato una casa, un lavoro e un reddito?

Eppure, nei diritti positivi si cela una trappola quasi diabolica. Se io ho il diritto a godere di un certo benessere, lo Stato ha il dovere di garantirmi quel benessere. Ma per garantirmi un certo benessere, lo Stato deve definire: (a) in cosa consista più precisamente il mio benessere; (b) quali sono le situazioni che lo realizzano (che devono essere predisposte dallo Stato con le sue risorse); (c) quali sono le situazioni che lo impediscono (che devono essere eliminate dallo Stato, eventualmente anche tramite la coercizione).

In aggiunta, i “vecchi” diritti negativi sembrano impallidire di fronte alla concretezza dei diritti positivi. Perché curarsi della propria libertà, quando lo Stato può metterti in una condizione di benessere se solo rinunci ad un pezzetto (più o meno grande) di quella libertà?

Ed eccoci ad Alfie. Il benessere di Alfie – stabilisce lo Stato – consiste nel condurre una vita votata al maggior numero possibile di piaceri fisici e al minor numero possibile di dolori fisici. La situazione di Alfie, però, impedisce di realizzare questo genere di benessere. Dunque, Alfie deve morire: è nel suo “miglior interesse”, la sua vita non è utile al progetto di benessere sanzionato dallo Stato. E così sia.

Chiaramente, la tutela dei diritti positivi da parte dello Stato apre spiragli sempre più ampi al totalitarismo. Lo Stato, volendo garantire a ciascuno di noi una certa condizione positiva, si prende la briga di stabilire cosa dobbiamo desiderare e cosa non dobbiamo desiderare, come dobbiamo realizzare i nostri desideri e come non dobbiamo realizzarli. Insomma, lo Stato si prende la briga di decidere delle nostre vite.

Noi abbiamo la missione di dire un secco “no!” a questa tendenza. Dobbiamo farlo anche quando lo Stato promette di tutelare i beni che ci stanno a cuore. Dietro quella promessa, infatti, si nasconde il ricatto del Potere, che ci strapperà lentamente quei beni e li fagociterà, lasciandoci sempre più soli ed inermi. Lo dobbiamo fare per Alfie.