Lennon e i bambini sottozero per l'egoismo degli adulti
La storia di Lennon, affetto da una patologia genetica e ucciso a dieci anni secondo i rodati protocolli eutanasici inglesi. E la evidente necrofilia degli ospedali che tengono il corpicino in una speciale "culla" termica per settimane. Una forma macabra e falsa di elaborazione del lutto. Coerente con l'eutanasia dei bambini sacrificati sull’altare del maggior interesse degli adulti sia da vivi che da morti.
Oltremanica fiorisce il culto della morte. Lennon era un bambino inglese affetto da una rara malattia genetica e per questo ucciso a 10 anni dal Servizio sanitario inglese. Nel Regno Unito ci sono moltissimi casi come quello di Lennon. Non se ne parla per una semplice ragione: i genitori non si oppongono e quindi non si crea il caso mediatico. Quando invece il Servizio sanitario inglese trova sulla sua strada genitori testardi come quelli di Charlie Gard, Alfie Evans e Isaiah Haastrup la vicenda diventa di pubblico dominio.
Torniamo a Lennon. Genetic Alliance, un gruppo di associazioni di famiglie che hanno figli con patologie genetiche, chiede alla mamma di Lennon di raccontare la sua storia in occasione dei 70 anni del Servizio sanitario inglese. “Non posso non lodare la cura e la compassione che Lennon, Ian ed io abbiamo ricevuto nelle ultime ore della vita di Lennon – scrive la mamma di quest’ultimo - Non dimenticherò mai le lacrime che gli rigavano le guance quando il medico arrivò alle tre del mattino e rimosse il tubo del ventilatore che teneva in vita Lennon”. Ecco descritta in un paio di righe un perfetto protocollo eutanasico. E fin qui, ahinoi, nulla di nuovo sotto il sole.
Poi la lettera prosegue e descrive cosa è successo dopo la morte di Lennon. Ad una prima lettura si rimane disorientati perché interdetti. Alla seconda nasce l’orrore e il disgusto perché si è compreso bene cosa la mamma di Lennon, evidentemente stordita dalla disperazione per la perdita del figlio, va raccontando: “Ho sempre desiderato che la fine fosse al Keech Hospice. Alla fine non abbiamo potuto portare Lennon al Keech. Ma gli staff del Keech Hospice e dell’Addenbrookes hanno spostato le montagne e Lennon è arrivato nel suo luogo di serenità appena 12 ore dopo la sua morte. Il personale lì lo ha amato e si è preso cura di lui nei giorni e nelle settimane successivi alla sua morte, proprio come lo avrebbe amato e curato nelle sue ultime ore. Lo hanno lavato e vestito con il suo abbigliamento da paggio. Hanno parlato con lui mentre gli lisciavano i morbidi capelli. Siamo stati in grado di andare al Keech e visitarlo. Nei primi giorni mi sono seduta con lui, gli ho tenuto la mano e gli ho parlato. Ho appoggiato la testa sul suo petto e singhiozzato”. Avete capito bene: per settimane il cadavere del piccolo è stato preso in cura dal personale del Keech e dai genitori.
Pubblicata la lettera, sul web sono comparse storie simili. Charlotte e il marito perdono la piccola Evelyn, affetta anche lei da una patologia genetica. Il cadavere rimane nell’hospice pediatrico di Martin House per 12 giorni durante i quali i genitori l’hanno lavata, le hanno cambiato il pannolino, le hanno persino cambiato sovente gli abitini e portata in giro in carrozzina. Poi l’hanno trasferita a casa, cullandosela per altri quattro giorni prima del funerale.
Ma, prima di rispondere alla domanda “Si sono bevuti tutti quanti il cervello?”, dobbiamo rispondere ad un quesito di carattere tecnico: come è possibile prendersi cura di un cadavere per settimane? Grazie alla Cuddlecot, sostanzialmente una culla refrigerata che ritarda il processo di decomposizione. Pare che le Cuddlecots siano consigliate dagli ospedali pediatrici inglesi da alcuni anni. La dott.ssa Michelle Hills, consulente in medicina palliativa pediatrica presso la Martin House, spiega: le cuddle cots “hanno avuto un grande impatto positivo sulle famiglie. Aiutano i genitori a creare ricordi. La maggior parte dei genitori accetta questa opzione, è una cosa abbastanza normale. Alcune famiglie vogliono spingere i loro piccoli nella carrozzina che hanno comprato, portarli a casa nella nursery che hanno preparato”.
Sulla stessa lunghezza d’onda l’agenzia inglese di pompe funebri Roftek Ltd Flexmont che ha inventato questa bara sottozero: “Affrontare la morte di un bambino è chiaramente un evento incredibilmente difficile per genitori ed ai genitori in lutto dovrebbe essere data la possibilità di trascorrere del tempo post-morte con il loro bambino. Fornire alle famiglie questo tempo attraverso l’uso di CuddleCot è incoraggiato a livello internazionale. Gli ospedali sono sempre più criticati se non usano CuddleCots”. E aggiungono: “I prodotti Flexmort sono utilizzati in tutto il mondo e abbiamo un contratto nazionale con gli ospedali Nhs del Regno Unito. I prodotti di stoccaggio del corpo [sic] di Flexmort hanno rivoluzionato il concetto di stoccaggio mobile del corpo rendendo possibile che il defunto venga raffreddato ‘con dignità’”.
Dunque dopo il concetto di morte dignitosa ora abbiamo anche il concetto di post-mortem dignitosa o di raffreddamento dignitoso.
Affrontiamo ora la domanda relativa all’uso del cervello come un drink pre dinner. Innanzitutto lo “stoccaggio mobile del corpo” è espressione assolutamente congrua con il processo eutanasico. Prima si scarta il bambino perché prodotto difettoso e poi c’è il processo di stoccaggio e smaltimento della merce fallata. In secondo luogo, la Cuddlecot è espressione plastica dell’incapacità di accettare la morte come evento naturale della vita. Come si procura artificiosamente la morte attraverso l’eutanasia, così altrettanto artificiosamente si tenta di tenere in vita il cadavere di un bambino, mossi da indicibile disperazione. E’ quasi il tentativo folle di procrastinare l’evento morte che in realtà è già avvenuto. Si vuole perpetuare l’esistenza al di là delle soglie dove regnano le tenebre, ma in realtà l’unico effetto che si ottiene è lo straziante prolungarsi di un funerale senz’anima, di una lugubre e raccapricciante veglia. Con l’eutanasia si anticipa la morte, con la Cuddlecot si vorrebbe poi posticiparla. Prima si uccide e poi quasi si vorrebbe resuscitare il defunto.
Terza riflessione: i bambini di cui sopra vengono uccisi non per il loro bene, ma per l’interesse degli adulti. Parimenti queste piccole bare non sono state ideate nel rispetto della dignità del bambini, ma sono state concepite pensando unicamente agli adulti. E’ solo nella speranza di lenire il loro dolore che il piccolo non viene lasciato andare, ma deve rimanere lui morto tra i vivi. Sacrificato sull’altare del maggior interesse degli adulti sia da vivo che da morto.
Ultima riflessione: un tempo gli ospedali tenevano in vita le persone, ora le tengono morte. Dicevamo che al di là della Manica fiorisce il culto della morte. Infatti alcuni ospedali pediatrici non solo ammazzano i bambini, ma amano così morbosamente la morte da celebrarla anche dopo, tenendo il cadavere in corsia. Se i genitori, pur non potendo giustificare la loro scelta, trovano alcune attenuanti nel loro dolore annichilente, per i medici e per chi ha inventato queste macabre culle non ci può essere comprensione alcuna. Qui si tratta di una forma sofisticata di necrofilia, di passione malata della morte. Nel celebre film Psyco di Hitchcock, il protagonista, Norman, teneva in casa il cadavere ormai mummificato della madre. Ora questo avviene nelle corsie degli ospedali. L’orrore dell’infanticidio si perpetua nell’agghiacciante – è proprio il caso di dirlo – rito della criconservazione dei corpicini delle piccole vittime. Sono ormai le coscienze ad essere state ibernate.