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Le Metamorfosi, quei miti che raccontano l'uomo di oggi

Nelle Metamorfosi, Ovidio racconta di personaggi mitologici che stanno ancora cercando se stessi, immaturi e inaffidabili, l’amore, il desiderio di soddisfazione fisica, l’hybris di uomini che osano sfidare le divinità e che, infine, viene punita, l’invidia e l’ira che si traducono spesso in duelli. Temi e storie poi riprese da tutta la letteratura e che ci parlano dell'uomo di oggi. 

Cultura 16_12_2018

Le Metamorfosi sono pressoché contemporanee all’Eneide, scritte solo vent’anni dopo, eppure così differenti, espressione di un poeta che non si fa più portavoce del potere costituito, del programma di cambiamento morale e politico voluto dall’imperatore Augusto. 

Nell’Eneide il protagonista Enea è il personaggio che più di ogni altro incarna la tradizione romana, il mos maiorum, la pietas ovvero la riverenza nei confronti di quanti ci sono superiori, gli dei, i genitori, il comandante, la religio ovvero la ritualità e la fides cioè la lealtà e la fedeltà. Virgilio lo rende interprete del tentativo di Augusto di far scordare il tragico periodo delle guerre civili. L’imperatore promosse quella pax che da lui avrebbe preso il nome. 

Ovidio compone, invece, un poema epico, in esametri dattilici, per certi versi antitetico all’Eneide: non più un solo eroe, ma una miriade di personaggi legati insieme solo dal tema delle metamorfosi; non più un protagonista dall’identità granitica e dai forti ideali, ma più spesso personaggi che stanno ancora cercando se stessi, talvolta ancora immaturi e inaffidabili; non più un centro narrativo, ma una trama cangiante e imprevedibile. L’amore, il desiderio di soddisfazione fisica, l’hybris di uomini che osano sfidare le divinità e che, infine, viene punita, l’invidia e l’ira che si traducono spesso in duelli si alternano nel poema in quindici libri, da cui deriva il titolo Metamorphoseon libri XV.

Dall’origine del mondo alle quattro età dell’uomo, dalla gigantomachia al diluvio universale, dalla vicenda di Apollo e Dafne al mito di Giove ed Europa, e poi Tantalo, Sisifo e Issione, la Medusa, le Muse, Teseo e Arianna, le fatiche d’Ercole, il sacrificio di Ifigenia, la Guerra di Troia, il peregrinare di Ulisse, la storia di Enea, Cesare e Augusto: sono solo alcune delle storie raccontate da Ovidio che sottolineano come nelle Metamorfosi compaia una sorta di summa del mondo classico, un’occasione unica di scoprire il tentativo dell’uomo antico di indagare la realtà e di spiegarla attraverso il mito. 

Le Metamorfosi sono un ricettacolo di tutti i grandi miti greci e latini, uno dei più grandi repertori di simboli del mondo antico, grande repertorio d’immagini e di personaggi per la fantasia degli scrittori di ogni epoca. Non a caso Dante pone Ovidio tra i grandi di tutti i tempi, nel Limbo, dopo Omero e Orazio, subito prima di Lucano: 

Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire:
quelli è Omero poeta sovrano;
l’altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio è ‘l terzo, e l’ultimo Lucano.

In base al Dante Dartmouth Project, database diretto da Robert Hollander, che raccoglie settantotto commenti alla Commedia redatti dall’epoca di Dante fino ai giorni nostri, i riferimenti alle opere di Ovidio nel poema dantesco sono addirittura superiori a quelli relativi all’Eneide:  duecentosessantaquattro luoghi danteschi sono collegabili ad Ovidio nell’Inferno, centosettantanove nel Purgatorio, centoventitré nel Paradiso. Sono numeri davvero impressionanti.

Non sarà certo un caso che il Paradiso si apra con due miti ovidiani: l’episodio di Marsia, sconfitto e scorticato da Apollo, e la trasformazione di Glauco in divinità marina. Marzia e Glauco sono emblemi rispettivamente della presunzione umana e della grazia divina. Già all’inizio della terza cantica Dante focalizza così l’attenzione tra le due posizioni antitetiche che il poeta ha evidenziato nel canto I dell’Inferno: la superbia che si traduce in desiderio di autonomia e il riconoscimento che l’uomo ha bisogno di essere salvato da un Altro. Gli stessi miti ovidiani sono ripresi più volte all’interno delle tre cantiche assumendo significati differenti: si pensi ai miti di Fetonte e di Dedalo e Icaro oppure alla storia di Giasone che nel terzo Regno diventa emblema del viaggiatore baciato dal successo, paragonato a Dante stesso, come nel canto XXXIII del Paradiso

L’influenza delle Metamorfosi sarà notevole in tutto l’arco della letteratura. I miti raccontati solleticheranno la creatività di artisti di ogni epoca. Non è certo Ovidio l’inventore dei miti, ma la rielaborazione e la rilettura da lui condotte renderanno immortale la memoria di quelle storie. Ne vogliamo una prova? Pensiamo soltanto all’influenza del mito di Adone nella letteratura, nell’arte e nella musica del Rinascimento e del Barocco. Venere s’innamora del bellissimo Adone suscitando la gelosia e l’ira di Marte che lo fa assalire da un cinghiale. Una volta morto, Adone viene trasformato in anemone e dalle lacrime di Venere sorgono delle rose. Il nome «Adone» diventerà per antonomasia sinonimo di «giovane bellissimo». Nel Seicento Giovan Battista Marino scriverà il poema L’Adone (1623), uno dei più lunghi mai scritti nella storia della letteratura (più di quarantamila versi) a partire dal mito raccontato da Ovidio in una settantina di versi. Shakespeare scriverà il poemetto Venus and Adonis (1593). Nell’ambito musicale C. Monteverdi musicherà il libretto di P. Vendramin, rappresentato a Venezia nel 1639.

Un altro mito assai celebre è quello di Narciso, figlio del fiume Cefiso e della ninfa Liriope. La madre aveva consultato l’indovino Tiresia per scoprire se il figlio avrebbe visto la vecchiaia. La risposta fu: «Se non conoscerà se stesso». Il bellissimo ragazzo aveva fatto innamorare di sé tutte le ninfe, anche Eco, cui era rimasta solo la possibilità di replicare le ultime sillabe di un discorso, a causa dell’ira di Giunone che si era con lei vendicata del fatto che la ninfa avesse più volte coperto e favorito gli amori di Giove. Eco si consumò d’amore per Narciso, le ossa si tramutarono in pietra, rimase solo la voce. Un giorno una vittima del disprezzo di Narciso lo maledisse: «Che possa innamorarsi anche lui e non possedere chi ama!».  La dea Nemesi (la vendetta) acconsentì alla richiesta. Fu così che Narciso vide la propria immagine riflessa nell’acqua e s’innamorò di quella, ignaro che fosse la sua stessa immagine. Narciso si consumò d’amore e di dolore, reclinò il suo capo stanco sull’erba verde. Anche negli Inferi Narciso non smise di contemplarsi nelle acque del fiume Stige. Il suo corpo in Terra non fu più ritrovato. Al suo posto si vide un fiore giallo nel mezzo e tutto circondato di petali bianchi. 

La parola «narcisismo» descrive una complessità di atteggiamenti diversi che hanno in comune la tendenza all’ammirazione e all’amore di sé che porta all’incapacità di amare l’altro. Il mito di Narciso descrive il destino di distruzione e di morte che attende un uomo e una civiltà che siano in maniera egocentrica e autoreferenziale incapaci di riversare l’amore sugli altri.