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"IL CROLLO? COME I RESPINGIMENTI"

Le metafore sballate di Avvenire

La personale battaglia di Avvenire contro le politiche del governo in fatto di respingimenti arriva a coinvolgere persino il crollo del ponte Morandi. Come? "I duecento metri di vuoto sono i metri di separazione tra i popoli, tra il tradimento delle esperienze di solidarietà e la chiusura ermetica allo straniero". Una metafora sballata e strumentale che offende le vittime e mostra l'intento ormai ideologico e politico del quotidiano dei vescovi sul caso clandestini. 

Editoriali 20_08_2018

Se venisse istituito un premio alla miglior strumentalizzazione giornalistica sul caso Genova, Avvenire potrebbe candidarsi a vincere il primo premio. In questi giorni ne abbiamo sentite davvero tante da parte della grande stampa: direttori improvvisati ingegneri, cronisti nella parte della pubblica accusa e redattori con la lingua facile verso i Benetton. Ma la figura del profeta della coscienza di popolo questa proprio ci mancava.

Secondo tale Mauro Armanino, missionario in Niger e blogger per il Fatto Quotidiano, ma prestato alla causa del “dagli al governo fascista” anche su Avvenire, il crollo del ponte di Genova non è altro che una metafora del fatto che abbiamo tagliato i ponti con il sud del mondo. La colpa? Eccola: respingimenti e divieti di sbarco. Il nome di Salvini non c’è, ma basta fare due più due per trovarlo.

Ecco dunque che cosa scrive Armanino: Abbiamo tagliato i ponti col Mediterraneo. Mare nostro, mare-muro, mare chiuso, mare armato e infine mare tradito. Con respingimenti, divieti di sbarco, operazioni di dissuasione tramite la Guardia costiera libica e con campi di detenzione/concentramento migranti gestiti e finanziati in conto terzi, il ponte si è spezzato”.

Solo un’evocazione leggera? Mica tanto. Ecco come prosegue: “Ed è quanto è accaduto a Genova, col ponte Morandi. I duecento metri di vuoto sono i metri di separazione tra i popoli, tra la Costituzione del Paese e la realtà vissuta, tra il tradimento delle esperienze di solidarietà e la chiusura ermetica allo straniero. Il ponte tagliato sul torrente Polcevera è una metafora delle nostre separazioni. Non saranno le mere soluzioni tecniche a rimetterlo in piedi e neppure la ricerca delle responsabilità penali. Il ponte da ricostruire è quello delle coscienze e dei legami da ristabilire con la nostra storia e con l’altro”.

Se si trattasse di un compito in classe basterebbe vergare di rosso con un bel 4 lo scritto semplicemente perché fuori tema, ma si tratta di un articolo del giornale dei vescovi, che lo ha pubblicato senza la benché minima revisione critica. Ne dobbiamo concludere che anche Avvenire pensa che a far crollare il ponte sia stata la politica muscolosa di Salvini nei confronti di immigrati clandestini quali sono quelli che affollano le nostre coste ormai da un lustro e più?

Metaforica, s’intenda. Comodo trincerarsi dietro stantie iperboli e logore figure retoriche per far passare il concetto ormai ossessivo che questo governo del quale non condivide la linea, ha tutte le colpe del mondo, compresa anche quella del crollo di un ponte in cemento armato. Si rischia di passare dal ruolo di cane da guardia, come dovrebbe fare un giornale, a quello di mastino del capoclan di turno per interessi di bottega.

Ma dato che qua si gioca di retorica, non si può non evidenziare come l’ossimoro mentale con il quale Avvenire porta avanti la sua linea editoriale personale contro il governo fascioleghista abbia toccato livelli di ideologia parrossistici. Una volta si diceva: piove, governo ladro. Oggi, grazie a queste campagne di strumentalizzazione dovremmo dire: crolla, Salvini fascio.

Come si faccia ad affiancare anche solo idealmente due cose impossibili da sovrapporre (una migrazione epocale grazie al sistema dello schiavismo che svela dietro di sé politiche scellerate di ripopolamento dell’Europa e il crollo di un ponte per la mancanza di controllo/monitoraggio/cura dei suoi gestori) è davvero opera, questa sì, che richiede un’alta perizia ingegneristica. Oltre che la faccia tosta di pretendere che questa sia la linea dei vescovi italiani. 

E' questa l'unica cosa che si può dire ai famigliari delle 42 vittime? Prendetevela col governo cattivo? 

Se non è questo uno strumentalizzare un fatto di cronaca tragico per fini esclusivamente politici e di bottega, che cosa potrà mai esserlo? Sarebbe come sostenere l'ardita tesi che il crollo del ponte di Genova è metafora del fatto che a volte nella mente degli uomini di oggi saltano i ponti delle connessioni cerebrali per comprendere un fenomeno. Che poi, a pensarci bene, per qualcuno potrebbe anche essere vero...