La violenza gender ai bambini passa dalle fiabe
Il prossimo tabù da infrangere è la creazione di bambini trans. Si incarica di questo una professoressa svedese che ha scritto un libro di un cavallo che si crede un cane. Un'operazione pericolosissima perché porta a sdoganare anche al pedofilia. Ecco perché.
Ammettiamolo. L’omosessualità è stata ormai ben digerita dai più, a parte il solito sparuto gruppo di cattolici radicalizzati. Ed anche la transessualità è ormai percepita come fenomeno normale, tanto quanto la neve d’inverno sulle montagne. Forse qualche fastidio in più la dà invece l’idea che ci siano bambini transessuali. Questo dovrebbe essere il prossimo tabù da infrangere a detta della docente universitaria svedese Susanne Pelger: «Il tema delle coppie omosessuali è diventato ormai mainstream, mentre quello dei bambini transgender è ancora tabù nella società». Già avevamo avuto modo di dimostrare che quando qualche genitore manifesta preoccupazioni in merito all’identità sessuale del figlio, quelli che hanno davvero dei problemi sono i genitori e ciò che deve destare preoccupazione non è tanto e prima di tutto il comportamento dei figli, bensì il tipo di educazione impartita dai genitori.
Rimanendo in tema di preoccupazioni la prof.ssa Pelger si sta battendo per un causa (ig)nobile. Non solo vuole far accettare la transessualità ai bambini, ma vuole indurli a diventare baby-trans. Il mezzo per soddisfare questo intento è sempre il solito: le fiabe. Ecco allora che la Pelger ha dato alle stampe un libro illustrato dal titolo Hästen & Husse (Il cavallo e la casalinga) destinato ai bambini dagli zero ai tre anni e che sta avendo una certa diffusione in Svezia. La Svezia è il paese dove ti multano se sbagli il pronome di un transessuale e dove i bambini e le bambine all’asilo vengono indicati dal pronome neutro “hen”.
La fiaba Hästen & Husse racconta di due personaggi. Da una parte abbiamo un cavallo che si crede un cane. Eccolo allora scodinzolare, rosicchiare ossi, inseguire gatti, giocare a palla e porgere alla padrona il guinzaglio speranzoso che lo porti fuori a fare un giretto. L’altro personaggio è la padrona, che in realtà è un lui che quando fa ritorno a casa si mette la gonna e il rossetto e lavora a maglia. A margine: se la fiaba avesse raccontato che a mettersi rossetto e gonna era una donna e non un transessuale, subito tutti avrebbero gridato allo “stereotipo di genere”, aggravato dal fatto che la donna era pure una casalinga. Inoltre, a rigore e secondo il politicamente corretto, un transessuale che vuole fare la donna, dovrebbe comportarsi da uomo, non credete? Altrimenti scadrebbe negli usuali stereotipi sessisti. I soliti cortocircuiti ideologici.
Torniamo a Il cavallo e la casalinga. L’espediente narrativo presente in questa fiaba è evidente e la Pelger non vuole certo tenerlo nascosto: se i bambini vedono che un cavallo può comportarsi senza problema alcuno come un cane, parimenti potranno accettare che un maschietto si possa comportare come una femminuccia. Perlomeno, aggiungiamo noi, il cavallo non si comporta da cagna. E’ già qualcosa.
Molti di voi conosceranno, almeno per sentito dire, il titolo di un famoso libro dell’altrettanto noto neurologo Oliver Sacks: “L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello”. Il titolo rimanda ad un caso clinico capitato realmente al dott. Sacks. Un signore, che di professione faceva il musicista, era affetto da un disturbo neurologico che gli rendeva impossibile riconoscere l’identità delle cose, ossia assegnare agli oggetti e persone il loro significato oggettivo. E così un giorno aveva scambiato la testa della moglie per un cappello. Ed era talmente convinto che la testa della consorte fosse un cappello che, di fronte allo stesso Sacks, aveva cercato di calcare il capo di lei sulla propria testa, come fosse stato un borsalino. Altra peculiarità di tale disturbo stava nel fatto che il musicista era assolutamente inconsapevole di questo suo disordine cognitivo. Conduceva una vita quasi normale, a parte una costellazione impressionate di gaffe e di incidenti a volte pericolosi (provate voi a scambiare il rasoio per lo spazzolino).
Ecco, per la psichiatria chi non riconosce la realtà per quello che è, di certo ha qualche problema. E così se io mi credo Napoleone sicuramente ben pochi saranno disposti a rispettare la mia identità fittizia. Non così invece accade per i sostenitori della teoria del gender i quali, al pari del musicista che scambiava la moglie per un cappello, scambiano il sesso maschile con quello femminile e viceversa, ma a nessuno verrebbe in mente di farli distendere sul lettino di uno psichiatra. C’è poi da aggiungere che anche loro, al pari del signore di cui sopra, sono arciconvinti di stare nel giusto e quindi non si accorgono del loro errore – vogliamo essere indulgenti – di percezione. Costoro però non vengono definiti pazzi, ma difensori delle libertà civili.
Coerenti con questo disturbo percettivo tutta la realtà inizia a modificarsi ai loro occhi. E in tal modo un cavallo può non solo comportarsi come un cane, ma esserlo per davvero se l’animale ci crede abbastanza. Di questo passo potremmo buttarci dalla finestra se pensiamo di essere uccelli e vivere 300 anni se crediamo di essere una quercia. In bocca al lupo (che si crede un agnello).
L’operazione ben poco fiabesca della Pelger è pericolosa non solo perché inocula nelle immacolate menti dei bambini-neonati il germe della follia genderista, ma perché spalanca le porte anche alla pedofilia. La docente svedese spiega che, dopo aver raccontato la fiaba de Il cavallo e la casalinga, chiede ai bambini “se gli uomini possono mettersi il rossetto e portare la gonna”. I piccoli “mi hanno risposto: ‘Sì’. Ognuno è come si sente di essere. Questa è la cosa migliore”. La Pelger quindi sosterrebbe questa tesi bislacca: se un bambino ti dice che il transessualismo è cosa buona, allora lo è davvero, dato che i bambini sono le creature più innocenti che esistono e non possono mentire. Ma l’innocenza può essere violata, come ha fatto la Pelger. Infatti i bambini prendono per oro colato ciò che viene raccontato dai grandi. Se raccontate loro che esiste l’unicorno, quasi tutti i bambini ci crederanno. Ma questo non vuol dire che esista davvero l’unicorno.
Qui sta la chiave per aprire alla pedofilia: l’affidamento dei bambini verso i grandi per validare le condotte degli adulti sui bambini stessi. Detto in modo meno criptico, se puoi convincere i bambini a credere che non c’è niente di sbagliato nel fatto che un uomo si comporti da donna, puoi anche convincerli che non c’è niente di sbagliato nel fatto che un adulto li tocchi.
Forse è tempo di tirare fuori dal baule le vecchie fiabe sugli orchi.