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VERSO LA GIORNATA DELLA BUSSOLA

La verità dei Vangeli, una sfida che attraversa la storia

Esce in questi giorni per l'editrice Ares la nuova edizione di "Ipotesi su Gesù", il primo libro di Vittorio Messori che lo ha reso famoso in tutto il mondo. Pubblicato nel 1976, ha venduto oltre un milione di copie in Italia ed è stato tradotto in 22 lingue. Vittorio Messori parlerà del significato di questo libro domenica 6 ottobre alla Giornata della Bussola, nella Comunità Shalom - Regina della Pace a Palazzolo sull'Oglio (Bs). Qui pubblichiamo l'introduzione a questa nuova edizione.
- UN LIBRO CHE HA RILANCIATO L'APOLOGETICA, di Rino Cammilleri

Cultura 03_10_2019

Mentre scrivo sono passati 43 anni dall’uscita di questo libro e le ristampe si sono succedute sino a ora. Una longevità editoriale che credo abbia una ragione, se si riflette sul fatto che il tema che qui si affronta (l’esame storico delle radici del cristianesimo, per sondarne la solidità) è e sarà sempre attuale.

Sempre gli uomini si confronteranno con il Vangelo, ponendosi innanzitutto la domanda fondamentale: «Vero o non vero? Mito o storia?». Credo venga da ciò la «tenuta» di queste pagine, quale che sia il loro valore. Tra l’altro, il perdurare del desiderio, se non bisogno, di una simile ricerca mi è stato confermato in questi mesi.

Cercherò di spiegare come e perché, partendo necessariamente da lontano, dal 1976. In quell’anno, il libro uscì presso l’editrice Sei di Torino, erede della tipografia Salesiana fondata da san Giovanni Bosco per dare lavoro ai suoi giovani e per contrastare con gli scritti la cultura anticlericale allora egemone. In quel 1976, ero giornalista professionista a La Stampa di Torino e facevo parte del piccolo gruppo addetto al settimanale Tuttolibri che, come da titolo, si occupava di ogni opera che venisse pubblicata in Italia, e godeva del prestigio di un quotidiano che allora era superato, per diffusione, solo dal Corriere della Sera.

Il mio lavoro mi portava a frequentare tutti gli editori, grandi e piccoli, ben lieti di avere con me buoni rapporti. Puntavano, com’è comprensibile, alla recensione dei loro volumi su quel periodico di grande impatto. Ipotesi su Gesù era la mia prima prova libresca ma, nella situazione oggettivamente privilegiata in cui mi trovavo, avrei avuto porte aperte ovunque nel mondo dell’editoria, anche in quella più grande e più laica, malgrado i contenuti esplicitamente cattolici di quelle mie pagine.

E, invece, scelsi la Sei: innanzitutto per una mia personale devozione verso san Giovanni Bosco e, poi, per amicizia verso quell’azienda, la prima dove avessi lavorato dopo la laurea e dove, entrato come redattore, ero divenuto presto responsabile dell’ufficio stampa. Non fui deluso: quella storica Casa era nota soprattutto per i suoi libri di testo scolastici ma, in quanto tale, aveva una vasta rete per la diffusione e la distribuzione di ogni tipo di libro.

Ebbene, dopo decenni e dopo un numero sorprendente di copie vendute (e di traduzioni all’estero), di recente ho cominciato a ricevere telefonate ed e-mail: persone che si lagnavano perché volevano acquistare Ipotesi su Gesù ma non lo trovavano. Sulle prime pensai che fosse ancora una volta in ristampa, ma poi seppi che la Sei aveva deciso di concentrarsi soltanto sulla scolastica, unendosi a un’altra antica Casa dello stesso settore, La Scuola di Brescia. Dunque, il catalogo delle «varia», dov’erano anche le mie Ipotesi (assieme ad altri quattro miei libri) era stato soppresso.

Quando nel mondo editoriale si è saputo che i miei volumi erano liberi, ci sono state varie proposte per ripubblicarli. Ma, anche stavolta, ho preferito un editore di medie dimensioni, apprezzato nell’ambiente anche laico, malgrado sia esplicitamente e fermamente cattolico.

Della Ares, Cesare Cavalleri è stato il fondatore e ne è ancora, dopo decenni, l’instancabile direttore – lo è anche dell’autorevole mensile Studi cattolici – ed è da sempre, per me, un amico fidato. Del cambio di editore ho approfittato per rileggere queste mie Ipotesi, intervenendo solo marginalmente, con limature che lasciano sostanzialmente integro il testo originale. Nel quale mi riconosco ancora, senza dubbi né pentimenti: grazie a Dio, i 43 anni trascorsi non hanno intaccato la mia fiducia nella veridicità dei Vangeli. Anzi, l’approfondimento degli studi mi ha confermato la verità del grido appassionato di Riccardo di San Vittore, il grande teologo benedettino, col quale termino il libro. Un grido che mi pare sintetizzare la conclusione del mio lavoro di scavo nel mistero del Cristo: «Signore, se il nostro è un errore, sei tu che ci hai ingannati!».

In questa nuova edizione c’è un unico intervento rilevante: la rinuncia al secondo capitolo, dal titolo Un Dio nascosto e scomodo, la sola parte del libro in cui oggi – dopo tante altre letture e riflessioni – mi riconosco solo in parte. Invece di intervenire con modifiche, ho preferito saltare quelle pagine, distribuendo nelle seguenti ciò che mi sembrava ancora valido. Ho rinunciato così a proporre ai lettori tesi sostenute dal pure amato Blaise Pascal che, alla rilettura, mi sono sembrate troppo segnate dalla foga del convertito recente, quale ancora ero io quando scrivevo queste Ipotesi. Pascal stesso era un convertito da poco tempo e, abbagliato dal Cristo riscoperto, giunse a scrivere che, per chi ha per sé il Vangelo, «tutta intera la filosofia non vale una sola ora di fatica». O anche: «Dio d’Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non dei filosofi e dei sapienti».

Estremismi che, allora, convinsero anche me: mi ci volle del tempo prima di scoprire come tutto il cristianesimo, nella sua versione cattolica (che è la mia come, del resto, quella del geniale Blaise) si regge sull’et-et, sul «questo ma anche quello», spesso sull’unione dei contrari, trasfigurati in sintesi. Come mi disse Jean Guitton (uno dei maestri cui devo molto, anche soprattutto per questo libro): «Sono cattolico perché voglio tutto, non voglio rinunciare a nulla». Dunque, occorrono insieme filosofi e teologi, sapienti e credenti. Non a caso, nei programmi didattici per i seminaristi cattolici, lo studio della filosofia precede obbligatoriamente quello della teologia.

Chi volesse approfondire questo aspetto importante della fede (l’et-et, non l’aut-aut), potrà procurarsi una sorta di piccolo catechismo in cui mi sono azzardato e che ho pubblicato con il titolo Qualche ragione per credere (Ares 2008). Comunque, l’aver tolto qui quel capitolo non pregiudica affatto tutto il resto di queste Ipotesi che sono essenzialmente un lavoro da storico.