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CRONACA

La strage di Milano spazza via il mito della sicurezza

Vendetta contro chi l'aveva rovinato, un'esplosione di follia che ha provocato tre morti all'interno del Palazzo di Giustizia di Milano. Con il gesto clamoroso di Claudio Giardiello ancora una volta l'imponderabile ha fatto irruzione nella vita quotidiana mettendo a nudo il limite di una società che pretende di costruire sistemi sicuri.

Cronaca 10_04_2015
Il soccorso ai feriti al Tribunale di Milano

Un giudice, Fernando Ciampi; un avvocato, Lorenzo Alberto Claris Appiani; un coimputato, Giorgio Erba: sono le tre vittime causate dall’esplosione di follia di Claudio Giardiello, che ieri in tarda mattinata ha sparato a ripetizione nei locali di Palazzo di Giustizia a Milano per vendicarsi – ha detto lui – di chi lo aveva rovinato. Altre persone sono rimaste ferite, tutti in un modo o nell’altro coinvolti nel processo per bancarotta fraudolenta in cui era imputato Giardiello, imprenditore edile che ha visto fallire due sue società negli ultimi anni.

Una follia che viene da lontano, se è vero che una delle vittime e un altro testimone erano stati suoi avvocati che poi avevano rinunciato uno dopo l’altro ad assisterlo data l’inaffidabilità del personaggio. «Ingestibile, faceva di testa sua e combinava danni»; «Paranoide, era convinto che tutti volessero fregarlo», sono le descrizioni che hanno fatto di lui un suo ex avvocato e il socio di Claris Appiani. Il profilo è dunque chiaro, anche se non è ancora dato sapere quale sia la causa e quale l’effetto tra follia e disavventure economiche. Ma questi sono in fondo dettagli, e infatti fin dal primo momento le polemiche si sono concentrate sul tema sicurezza, tralasciando per il momento gli assurdi tentativi di addossare la responsabilità dell’accaduto a chi delegittima la magistratura. 

In effetti non può non lasciare sconcertati che qualcuno possa entrare nel Tribunale – dove tutti i visitatori devono passare attraverso il metal detector - armato fino ai denti, uccidere più persone in diversi luoghi del Palazzo, poi uscire e inforcare lo scooter. E meno male che è stato bloccato dalla polizia poco dopo, a 30 km da Milano, nel piccolo centro di Vimercate, davanti a un centro commerciale dove – ha detto il ministro dell’Interno Angiolino Alfano – intendeva colpire un altro suo vecchio socio che non si era presentato in tribunale: la strage poteva avere un bilancio ancora più pesante.

Il tema sicurezza, dunque. Come è stato possibile un episodio del genere, provocato perdipiù da un semplice cittadino, non un commando che aveva studiato attentamente il luogo? Dalla ricostruzione sembra che Giardiello sia passato dall’ingresso riservato ad avvocati e magistrati esibendo un tesserino falso ed evitando quindi il normale controllo. Sicuramente qualcosa non va nei sistemi di sicurezza se è così semplice falsificare un tesserino, e qualcosa andrà certamente rivisto, ma il dibattito che si è subito innescato ha messo in mostra una tipica ossessione della nostra società, quella della sicurezza appunto.

È un tema ricorrente: basti pensare al recente disastro aereo della Germanwings provocato da un pilota in profondo stato di depressione, o anche alle ricorrenti catastrofi naturali, terremoti compresi. «È una tragedia che non doveva accadere», è il giudizio che ogni volta viene ripetuto e che fa da premessa alla caccia al colpevole, a chi non ha fatto il suo dovere.

Sia ben chiaro, tutto il possibile deve essere fatto per ridurre i rischi e proteggere le persone, ma quello di cui stiamo parlando è il mito della sicurezza, che è diventato una espressione tipica della nostra cultura post-cristiana. Volendo cancellare Dio e volendolo sostituire con la tecnoscienza, si vive nell’illusione di un mondo sicuro, in cui nulla ci può e soprattutto ci deve accadere. Si vaneggia di azioni a rischio zero. Salvo poi farsi prendere dalla paura quando un incidente, una tragedia, un imprevisto ci mettono davanti alla realtà. È oltretutto un mito che si è ormai esteso a ogni aspetto della nostra vita: tutto possiamo fare a nostro piacere, basta usare le tecnologie che ci mettono in sicurezza, vedi ad esempio l’illusione del “sesso sicuro”. In realtà è proprio questo mito che paradossalmente abbassa i livelli di sicurezza, perché siamo portati ad assumere atteggiamenti irresponsabili e pericolosi fidandoci della tecnologia che ci salva.

Molto più realistico – e sicuro - tenere conto che il rischio è una dimensione ineliminabile della nostra esistenza, fare i conti con il fatto che un evento per quanto improbabile non è impossibile, che anche il migliore sistema di sicurezza creato dall’uomo nulla può contro l’imponderabile. È proprio questo che vogliamo escludere, ed è proprio questa evidenza che ogni volta ci si ripresenta puntuale. L’uomo - ma anche la natura – ha sempre un aspetto che ultimamente sfugge a questa volontà ossessiva di tenere ogni aspetto della vita sotto controllo. L’unica vera forma di realismo è – mentre si fa tutto il possibile per rendere meno probabili danni e incidenti – affidare la nostra vita nelle mani di Dio, l’unica vera sicurezza che abbiamo. 

E a questo proposito non possiamo non notare un secondo aspetto a questo collegato, ovvero l’aumento dell’insicurezza causato dal processo di secolarizzazione che stiamo vivendo. Tornando all’episodio di Milano, tanti avvocati hanno dichiarato alla stampa che in realtà nessuno controlla i tesserini all’ingresso del Palazzo di Giustizia: basta far vedere che il tesserino c’è e nessuno controlla la corrispondenza tra la foto sul documento e i connotati della persona che lo esibisce. Cioè c’è una diffusa irresponsabilità nei controlli. Anche qui entra in gioco certamente il fattore umano, ma soprattutto si nota un progressivo venir meno della responsabilità nei confronti degli altri e non è problema che riguardi solo il Tribunale di Milano.

Il caso Schettino, il già citato caso Lufthansa-Germanwings, il ponte in Sicilia che crolla subito dopo l’inaugurazione, solo per citare i casi più recenti; ma anche la costruzione al risparmio di case e strutture che non reggono ai terremoti, l’incuria del territorio che si trasforma in tragedia ogni volta che piove più del solito, per non parlare dell’aumento vertiginoso della pirateria stradale (compresa l’omissione di soccorso) che sta spingendo il Parlamento a introdurre il reato di omicidio stradale per arginare il fenomeno. Dovunque intorno a noi la realtà ci parla di una crescente superficialità e negligenza da parte di persone che pure sono responsabili della sicurezza e della vita di tante persone.

Cosa c’entra la secolarizzazione? Semplice: la responsabilità che viviamo nei confronti dell’altro, l’attenzione che prestiamo ai bisogni delle persone che ci circondano, l’impulso a proteggere le persone che ci sono affidate – seppure sono sentimenti inscritti nel cuore dell’uomo – trovano però la loro massima espressione laddove è vissuto concretamente l’amore al destino dell’altro. Non è un caso che scuole, ospedali, istituti di accoglienza e di ospitalità, opere di carità siano il frutto abbondante di una civiltà cristiana. Ci sentiamo tanto più responsabili quanto più abbiamo coscienza della Paternità che ci accomuna, del valore sacro e irriducibile della vita dell’altro. In una società dove si teorizza l’individualismo, dove si persegue la rescissione di ogni legame, dove la vita umana viene calpestata fin dal suo sorgere, ci si deve necessariamente aspettare che si perdano i sentimenti umani. E il dovere di proteggere gli altri soccomba davanti ai propri interessi immediati. Così accade anche che si privilegi la lettura della Gazzetta al controllo accurato dei documenti.