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UNA RIFLESSIONE

La santa inquietudine di Paola Bonzi

 «Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te». Questa famosissima frase di Sant’Agostino ci illumina nella comprensione dell’esistenza di Paola Bonzi (clicca qui), di cui ieri sono stati celebrati i funerali nella cappella dell’Ospedale Mangiagalli di Milano.

Editoriali 13_08_2019

 «Ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te». Questa famosissima frase di Sant’Agostino ci illumina nella comprensione dell’esistenza di Paola Bonzi (clicca qui), di cui ieri sono stati celebrati i funerali nella cappella dell’Ospedale Mangiagalli di Milano. Non per niente prima della messa è stato ricordato che Paola soleva dire, riferendosi alla sua morte, «finalmente quel giorno sarò in pace». La pace di chi riposa in Dio dopo aver consumato tutta la vita nella Sua attesa, di chi ha lavorato instancabilmente nel mondo divorato dalla nostalgia della Casa eterna.

L’inquietudine è in questo cuore che non si dilata mai abbastanza per abbracciare e rispondere a tutto il bisogno di Dio che nel mondo c’è. In 34 anni Paola, con il suo Centro di Aiuto alla Vita alla Mangiagalli, ha permesso di salvare oltre 23mila bambini; 23mila vite che sarebbero state spazzate via dall’aborto. Un risultato eccezionale si potrebbe dire, e certamente lo è, ma per Paola era nulla in confronto al bisogno. Ma anche ne avesse salvati 230mila sarebbero stati ancora un nulla, il suo cuore sarebbe voluto arrivare ovunque, salvare tutti i bambini in pericolo. E ridare speranza alle loro madri. Ma anche avesse strappato all’aborto tutti i bambini del mondo, non sarebbe ancora bastato perché il bisogno dell’uomo, quel bisogno per cui il Figlio di Dio è venuto fra di noi, è ancora più della vita del corpo. Non poteva essere in pace, Paola, conoscendo quel mare di sofferenza.

«Di sofferenza e di perdizione», come dice la giovane Jeannette ne “Il mistero della carità di Giovanna d’Arco” di Charles Peguy. Quella Jeannette a cui tanto ha somigliato Paola, consumata nel donarsi agli altri. Come spiega la sua amica Hauviette, rivolgendosi a Jeannette: «Fare del bene agli altri ci farebbe del bene, a noi altri, se solo ne facessimo. Ma a te nulla fa del bene. Tutto ti fa del male. Tutto ti lascia insaziata. Ti consumi, ti consumi, sei consumata di tristezza, sei carica di tristezza, tu hai, mia povera cara, tu hai una febbre, una febbre di tristezza, e non guarisci, non guarisci mai. Hai una grande febbre. Sei impastata di tristezza. La tua anima è impastata di tristezza». E Jeannette vuole incontrare una santa suora, Madama Gervaise, che «è in convento: lei deve sapere perché il buon Dio permette che ci sia tanta sofferenza. Tanta sofferenza e tanta perdizione».

Ora Paola ha conosciuto finalmente il senso di questo mistero di sofferenza, il suo cuore inquieto è approdato al suo luogo di riposo. Ma lascia a noi il compito di vivere la stessa santa inquietudine, di consumarci nel desiderio di rispondere al bisogno più profondo di ogni uomo, di non essere sazi del bene che possiamo fare.

Il giudizio finale, che al funerale di Paola veniva evocato nella lettura del Vangelo, non sta nella somma di cose fatte, ma nella coscienza che tutto quello che si fa è per Gesù, per la sua gloria, a sua imitazione. L’inquietudine di Paola, che ne fosse cosciente o meno, è stata immedesimazione nell’amore con cui Cristo desidera che ogni uomo sia salvato.

È quanto di più grande possiamo desiderare anche noi e non c’è opera - di carità e non solo - che sia veramente efficace se non dentro questo orizzonte.