La nuova vecchia lottizzazione della Rai
Nessuna novità nella selezione delle alte cariche della Tv di Stato. Così come il "manuale Cencelli" è stato applicato per la spartizione delle poltrone in Cassa depositi e prestiti, Ferrovie dello Stato, Autorità per l’energia e altre società, anche in Rai nessuna selezione trasparente, ma solo figure scelte con criteri partitici.
In molti si erano illusi che le cose finalmente sarebbero cambiate. E’ amaro dirlo, ma la Rai rimane lo specchio di un’Italia inchiodata alle stucchevoli liturgie della lottizzazione e della pedissequa applicazione del “Manuale Cencelli”. Nelle nomine pubbliche Lega e Cinque Stelle stanno dimostrando di voler cambiare solo i nomi, non le logiche e i metodi di attribuzione degli incarichi. L’appartenenza continua a fare premio sulla competenza e nei rispettivi elettorati del Carroccio e dei pentastellati cominciano a serpeggiare, neppure troppo nascosti, malumori e delusioni.
La speranza di un reale cambiamento nei costumi e nelle pratiche di gestione della tv pubblica sembra sfiorire, dopo che milioni di italiani il 4 marzo avevano dato fiducia a forze politiche portatrici, almeno a parole, di una visione alternativa a quella dominante fino alla scorsa legislatura.
Le spartizioni di poltrone in Cassa depositi e prestiti, Ferrovie dello Stato, Autorità per l’energia e altre società sono le stesse compiute dai partiti che hanno preceduto chi ora governa il Paese. Nulla è cambiato. Ma almeno per quanto riguarda la Rai c’era da sperare che Lega e Cinque Stelle dimostrassero di essere diversi dagli altri, dopo i roboanti proclami dei mesi scorsi. La posta in gioco è infatti assai nobile: il diritto dei cittadini di ricevere un’informazione trasparente, corretta ed equilibrata. E invece le ricostruzioni giornalistiche delle ultime ore documentano le tappe di una trattativa a oltranza incentrata sulla divisione di poltrone che prescinde completamente dai curricula, dalle esperienze professionali, dall’onestà intellettuale e dalla brillantezza di visione dei singoli.
I designati non brillano per quello che hanno fatto ma rilevano per la loro vicinanza a uno dei due partiti di governo o a uno dei leader di quei due partiti. Esattamente come succedeva nella tanto vituperata Prima Repubblica, che però quasi sempre almeno sapeva scegliere figure di alto profilo. Nessuna procedura di selezione meritocratica, nessuna comparazione di curricula, nessuna trasparenza nei criteri di scelta. Tutti messi li’ a rappresentare, meglio sarebbe dire tutelare, gli interessi di qualcuno, non degli italiani che pagano il canone e meriterebbero una programmazione realmente pluralista e rispettosa della ricchezza del corpo sociale.
Non si discute il profilo di Fabrizio Salini, manager capace ed esperto, che diventerà amministratore delegato, né quello di alcuni consiglieri d’amministrazione votati in Parlamento. Riserve si possono esprimere sull’opportunità di affidare la presidenza della Rai a un sovranista euroscettico che nel recente passato ha contestato con vari tweet perfino il capo dello Stato, Sergio Mattarella. Non a caso Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia sono titubanti sulla sua designazione e si preparano ad alzare barricate in commissione di vigilanza.
Tra gli oltre 200 curricula presentati alle Camere per la candidatura a consigliere d’amministrazione figuravano quelli di esperti del settore dei media nelle sue varie specializzazioni: economia e finanza, diritto, sociologia, tecnologia. Non è stata fatta alcuna valutazione per bilanciare i differenti apporti in termini di competenze, ma si è puntato esclusivamente su persone di fiducia, più o meno etichettate politicamente e comunque di area, e più attente al prodotto che non al servizio pubblico nella sua essenza. Sarebbe stato un ottimo risultato per la maggioranza giallo-verde poter offrire ai cittadini lo scenario di una valutazione meritocratica delle figure alle quali affidare per i prossimi tre anni la gestione della Rai.
Invece nulla di tutto questo. Solo lottizzazione, con la tentazione di affidare a esterni la direzione di reti e tg, mortificando la professionalità degli oltre 1700 giornalisti che lavorano nell’azienda di via Mazzini. E’ possibile che tra le risorse interne non ci sia nessuno all’altezza del ruolo di direttore? Ci rifiutiamo di crederlo. Peraltro sarebbe un bel segnale promuovere qualche interno, dimostrando che il cursus honorum in Rai ha anche dei profili meritocratici anziché quelli, finora sin troppo in voga, della raccomandazione politica.
Siamo dunque d’accordo con il Ministro e vicepremier Luigi Di Maio quando annuncia una crociata contro i raccomandati in Rai. Ma viene da chiedersi: chi dovrà cacciare i raccomandati? Altri raccomandati?