Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Caterina d’Alessandria a cura di Ermes Dovico
PAKISTAN

La morte di Asma e la religione usata come un'arma

La vita di una donna vale poco in Pakistan. Quella di una donna cristiana ancora meno. Asma Yaqoob, 25 anni, è stata uccisa per essersi rifiutata di convertirsi all’Islam e sposare un musulmano. A ucciderla l'uomo che la voleva in moglie contro il suo volere e contro la sua fede cristiana. 

Libertà religiosa 25_04_2018

La vita di una donna vale poco in Pakistan. Quella di una donna cristiana ancora meno. Asma Yaqoob, 25 anni, è stata uccisa per essersi rifiutata di convertirsi all’Islam e sposare un musulmano. Il 17 aprile si trovava a casa di una famiglia per cui lavorava come domestica, a Sialkot. Con lei c’erano suo padre e un fratello, arrivati per domandare notizie sulla salute della padrona di casa. Quando qualcuno ha bussato alla porta d’ingresso, Asma è andata a vedere chi era. Poco dopo l’hanno sentita urlare e tutti si sono precipitati fuori. Hanno fatto in tempo a vedere un uomo che stava scappando. Asma era avvolta nelle fiamme. Trasportata all’ospedale di Sialkot e poi al Mayo Hospital di Lahore, dotato di una unità grandi ustionati, è deceduta il 22 aprile. Aveva riportato ustioni sull’80% del corpo.

L’autore dell’omicidio è un uomo di 30 anni, Rizwan Gujjar, amico di un fratello di Asma. Proprio frequentando il ragazzo l’aveva conosciuta e aveva deciso di chiederla in moglie. Al suo rifiuto non si era rassegnato e anzi si era fatto insistente. La sera prima dell’aggressione, l’aveva raggiunta nella casa in cui lavorava – Asma ha avuto il tempo di raccontare prima di morire – e le aveva detto che non aveva scelta, doveva assolutamente convertirsi all’Islam. Sarebbe passato a prenderla la mattina dopo per portarla dal giudice e celebrare il loro matrimonio. Ancora una volta lei aveva risposto che era cristiana, non intendeva rinunciare alla sua fede e per questo non l’avrebbe sposato.

Quando il giorno dopo è andata ad aprire la porta se l’è trovato davanti deciso a punirla. Prima le ha gettato addosso dell’acido, poi l’ha cosparsa di cherosene e le ha dato fuoco. Dopo una breve caccia all’uomo è stato arrestato. In un primo tempo pare abbia detto che si era trattato di un incidente, ma poi ha confessato. Dovrebbe essere giudicato in breve tempo. Rischia la pena capitale.

“Mia figlia è una cristiana protestante convinta – ha raccontato la mamma di Asma, Parveen Akhtar – ha respinto a lungo le richieste di Gujjar e si è spesso lamentata del suo pessimo comportamento”. Napolean Qayyum, un militante del Pclj, Pakistan center for law and justice, intervistato da un quotidiano pakistano ha detto che la comunità cristiana locale è fiera del fatto che Asma sia rimasta salda nella fede e abbia rifiutato di abiurare, nonostante le pressioni subite: “Questa ragazza coraggiosa è di una famiglia molto povera e tuttavia  ha resistito ai tentativi di costringerla a convertirsi all’Islam. È una buona cosa – ha aggiunto – che la polizia abbia non solo arrestato il suo assassino, ma sia anche riuscita a strappargli una confessione perché nella maggior parte dei casi, invece, la polizia viene incontro ai colpevoli quando le vittime sono ragazze che appartengono a religioni di minoranza”.

Come esempio, Qayyum ricorda il caso della piccola cristiana di 13 anni che l’11 aprile è stata violentata da un musulmano a Sharaqpur, non lontano da Lahore. Tre ragazzi facevano la guardia mentre il quarto la violentava. Nessuno di loro finora è stato arrestato e soltanto dello stupratore è stata rivelata l’identità. La polizia, alle rimostranze del Pclj, ha replicato che non c’era motivo di renderne noti i nomi dal momento che i tre ragazzi non hanno commesso il reato e non si devono neanche ritenere complici. La madre della ragazzina ha rivelato che la famiglia riceve pressioni per un accordo extragiudiziale: “ci vogliono mettere a tacere offrendo del denaro – ha detto ai giornalisti – ma abbiamo deciso di non accettare. Quei ragazzi musulmani hanno rovinato la vita di mia figlia, non avremo pace finchè non sarà fatta giustizia”.

Attentati, aggressioni, false accuse di blasfemia colpiscono la minoranza cristiana. Le  associazioni che difendono i diritti umani, in particolare quelli delle minoranze religiose, hanno ragione ad accusare polizia e giudici di favorire i colpevoli. Delle 400 persone fermate nel 2014 per aver torturato e poi arsi vivi in una fornace due coniugi accusati ingiustamente di aver bruciato alcune pagine del Corano, cinque sono state condannate a morte, otto a due anni di carcere: sentenze ancora non eseguite. Un centinaio sono state scagionate nel 2016, altre 20 all’inizio di aprile. Degli assassini di Mashal Khan, lo studente linciato a morte da un centinaio di compagni il 17 aprile 2017, perché ritenuto colpevole di aver pubblicato su Facebook commenti offensivi su Maometto, accusa poi rivelatasi infondata, 26 sono stati prosciolti e altri 57 hanno ottenuto di ricorrere in appello. In sua memoria, nel primo anniversario della morte, circa 300 persone hanno raggiunto il Press Club di Lahore portando manifesti con su scritto “Siamo Mashal Khan”.

Intervistato da AsiaNews, Ziaullah Hamdard, ex docente della Abdul Wali Khan University alla quale era iscritto Khan, ha detto di aver rivolto un appello al governo affinchè aiuti la famiglia: “Sono rimasto sconvolto alla vista del suo omicidio – ha dichiarato – tra l’altro il governo aveva annunciato di voler intitolare un’università in suo onore, ma stiamo ancora aspettando”. Il professor Hamdard ha lasciato l’insegnamento e si dedica a campagne sociali: “La follia predominante nella nostra società deve finire – dice – la religione viene usata come arma. Stiamo conducendo una guerra civile. Prima gli imam proclamavano le fatwa, ora gli studenti fanno altrettanto. Coloro che rivendicano i propri diritti sono etichettati come traditori e spie”.