La Chiesa milanese rapita dal fascino del Ramadan
Milano pullula di iniziative che aprono al Ramadan nelle parrocchie. E' la moda dell'Iftar, la cena rituale che rompe il digiuno. Alla Comasina col parroco c'è anche l'imam per "un'esperienza spirituale". E la diocesi organizza una cena all'Incoronata. Intanto a Torino il vescovo in moschea dice: "Mi sento a casa". Ha ancora senso l'evangelizzazione?
-QUANTI ATTENTATI DURANTE IL MESE SACRO di Stefano Magni
Il fascino indiscreto dell’Islam sta diventando per molti cattolici sempre più invasivo. Può succedere che nella foga dell’”interreligionismo” molte parrocchie e persino diocesi italiane si mescolino a tal punto ai musulmani da non distinguersi più. Nelle parrocchie milanesi quest’anno si sta imponendo, ad esempio, la moda del’Iftar, la cena che rompe il digiuno del Ramadan, come noto mese sacro all’Islam.
Le cronache hanno raccontato di Ramadan in oratorio. Un titolo che non è piaciuto al parroco di San Bernardo alla Comasina, ma che a ben guardarci dentro non è poi così sbagliato. “Sabato sera nella parrocchia di piazza Gasparri si è celebrato l'Iftar della Misericordia, organizzato dal circolo Acli della Comasina con la presenza di un imam e del parroco”, si legge sul Giornale.
Si apprende così che la rottura del digiuno è stata ospitata dalla parrocchia della Comasina con un programma che ha previsto una riflessione sui «perché del digiuno», i «bambini che recitano il Corano», la preghiera «Al Maghreb» e una cena condivisa con i profumi arabi e sapori dell'Africa.
Ma come stanno le cose? Al telefono, una suora responsabile dell’oratorio, minimizza: “Nessun Ramadan – spiega alla Nuova BQ la religiosa – si è trattato soltanto di una cena di chiusura del corso di italiano che la parrocchia organizza per le donne musulmane. Il Ramadan non c’entra nulla”.
Ma la presenza dell’Imam? “Chieda al parroco, non so”. E il parroco all’inizio si dice stupito del clamore: “Una notizia falsa, che abbiamo già smentito, non vedo perché debba tornarci sopra – ci spiega don Aurelio Frigerio –, il clamore c’è stato perché la cosa è stata strumentalizzata politicamente da alcuni esponenti di Forza Italia”.
Così il parroco spiega la genesi di quell’incontro “assolutamente normale”. “C’è stata una cena di persone che in parrocchia collaborano tra di loro, si conoscono e condividono diverse attività tra cui la scuola di italiano. E’ successo che alcune donne di religione islamica hanno pensato di offrire alle volontarie cattoliche della parrocchia il pasto, come segno di condivisione e di conoscenza”.
Appunto. E l’imam che c’entra? “Dato che ero presente io come parroco, le donne hanno pensato di invitare anche il loro Imam. Ci è sembrata una bella idea. Noi abbiamo detto la nostra preghiera e loro hanno detto la loro”.
Insomma, sembra che si sia trattato né più né meno che di una cena della conoscenza dal vago sapore interreligioso. Ma allora perché tanto strepito? Perché si sono tirati in ballo il Ramadan e l’iftar che del Ramadan segna la cena serale e rituale che rompe il digiuno prescritto?
La risposta arriva proprio dal parroco: “Queste signore hanno inteso di offrire un’esperienza di Iftar, che è stato un dono che le nostre donne sono state ben liete di accogliere. Le polemiche politiche non hanno fatto altro che svalutare un’esperienza spirituale”.
Esperienza spirituale, dunque. Iftar, Ramadan. Semmai non si comprende perché il parroco abbia gridato allo scandalo non appena qualcuno ha denunciato la pericolosa commissione tra le fedi che la Chiesa, attraverso un documento risalente al 1993 definisce una “pericolosa confusione”.
Proprio così. Già in quell’anno, che sembra ormai un secolo, i vescovi italiani licenziavano un documento chiamato Orientamenti pastorali per l’immigrazione. Alla voce l’incontro con l’Islam si legge: Le comunità cristiane, per evitare inutili fraintendimenti e confusioni pericolose, non devono mettere a disposizione, per incontri religiosi di fedi non cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto cattolico, come pure ambienti destinati alle attività parrocchiali.
Chiediamo così al parroco come si concilia questo divieto, i vescovi dicono espressamente “le comunità non devono…”, con la serata del Ramadan in parrocchia. Ma la risposta è molto pronta: “Ho ricevuto una telefonata del responsabile per i rapporti interreligiosi della Diocesi che si è congratulato per questa serata. Quindi, io seguo il mio vescovo. Come si concilia tutto questo lo chieda al mio vescovo”, taglia corto.
Già il vescovo. Si scopre infatti che proprio sabato 2 giugno l’Arcidiocesi di Milano promuove nientemeno che un Iftar ufficiale, con tanto di pubblicazione sul sito della Chiesa di Milano. Appuntamento al calar del sole dalle 19.45 alle 21.30, “nel cortile interno della parrocchia dell’Incoronata (corso Garibaldi 116, Milano), per vivere insieme l’Iftàr, la rottura del digiuno di Ramadan, un momento di amicizia e un’occasione per riflettere sul valore del digiuno nelle Religioni”. Curioso che “dopo la preghiera dei musulmani e la cena, la serata si concluderà con un momento di silenzio”. Insomma, la buona notte in parrocchia non la darà più la compieta, ma il muezzin.
Quello che accadrà all’Incoronata con tanto di un’ufficialità della Diocesi non è altro che la punta dell’iceberg di un fenomeno in cui Islam e Cattolicesimo si avvicinano a tal punto da diventare indistinguibili. Anzi, da diventare l’uno completamente annacquato e l’altro una gradevole e dolce imposizione nel segno del multiculturalismo alla faccia del principio di reciprocità.
Iniziative simili si ripeteranno anche a Sesto San Giovanni, dove da dieci anni va avanti la collaborazione tra la parrocchia e l’imam locale e nella chiesa di San Bernardino in via Lanzone per un Iftar promosso dalla Comunità di Sant’Egidio.
Questo per quanto riguarda Milano. Ma a Torino le cose non vanno meglio. Nei giorni scorsi l’arcivescovo Cesare Nosiglia, sempre in occasione del Ramadan, ha visitato per la prima volta la moschea di via Genova consegnando un messaggio alla locale comunità musulmana. Non è l’unico vescovo che compie il gesto, lo hanno fatto anche gli ultimi papi, ma è forse il primo vescovo che ha avuto l’ardire di esclamare: «Mi sento un po’ a casa. Questo è un luogo di spiritualità e cultura, qui si prega molto e la preghiera porta sempre un messaggio d’ amore». Chi, cosa e come si prega, evidentemente non è determinante. Men che meno chiedersi a questo punto che cosa significhi oggi la parola evangelizzazione. Ma forse anche questo è un concetto superato.