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LO SCONTRO

Industria contro Internet, la nuova lotta di classe

Nel mondo sviluppato si sta delineando il quadro di uno scontro storico che per peso e per dimensioni è analogo a quello tra capitale e lavoro che riempì di sé i secoli XIX e XX. E' lo scontro fra il mondo dei nuovi servizi, legati a Internet e il mondo della manifattura che resiste. Le presidenziali americane sono state il primo banco di prova di questa battaglia epocale.

Editoriali 25_02_2017
La New Economy secondo il Time

Nel mondo sviluppato si sta delineando il quadro di uno scontro storico che per peso e per dimensioni è analogo a quello tra capitale e lavoro che riempì di sé i secoli XIX e XX.  Si fronteggiano due alleanze. Da un lato quella che ruota attorno ai padroni di Internet, al web e a tutti i servizi, ai nuovi monopoli e ai centri di potere sovranazionale che ne sono derivati. Dall’altro la massa di coloro che vivono della manifattura, dei prodotti caratterizzati, dell’arte nel senso più ampio della parola, del vecchio e nuovo artigianato. Insomma di tutto ciò che implica la materia e che presuppone la stabilità in ogni sua forma, materiale o immateriale che sia. Al  fianco di questa massa c’è poi l’esercito di disoccupati, di sotto-occupati e di giovani derubati del futuro che il primo dei due blocchi sta creando in tutti i Paesi di più antica industrializzazione.  

E’ un  fenomeno cui la recente campagna presidenziale americana ha dato per la prima volta evidenza e rilevanza politica. Nella circostanza tutte le multinazionali del web, da Google a Microsoft, a Facebook a tutti i grandi gruppi che producono computer, telefoni portatili e così via si sono apertamente mobilitati contro Trump. Non da adesso ma da sempre il grande capitale negli Stati Uniti, come dappertutto, ha le sue preferenze politiche. Fino all’ultima campagna presidenziale tuttavia queste preferenze consistevano in aiuti materiali, mai invece in aperte dichiarazioni di sostegno. A conferma invece del fatto che siamo ora di fronte a uno scontro epocale, l’anno scorso abbiamo visto per la prima volta dei grandi gruppi industriali partecipare in quanto tali alla campagna elettorale schierandosi a testa bassa contro uno dei candidati.   

E’ lo scontro tra due modelli produttivi. La questione però non è solo economica essendo in parte anche il riflesso di due diverse visioni del mondo.  E’ chiaro che dell’attuale gigantesco progresso della tecnologia dell’informazione e della comunicazione, ICT, partecipa oggi qualsiasi attività umana. La differenza tra i due modelli non consiste dunque nell’impiego o meno dell’ICT, quanto nel ruolo che le si assegna. Se si fa di essa un mezzo o un fine, se la si conserva nel suo ruolo di servizio o invece se ne fa il centro dell’esperienza umana.

A grandi linee il primo dei due modelli si basa sulla progettazione, sul commercio e sul controllo monopolistico dei sistemi telematici e di tutte le loro possibili applicazioni, offerti in modo indifferenziato a un mercato globale che già ora equivale a circa metà della popolazione mondiale e che mira a raggiungerla tutta.  Questa settore impiega relativamente pochissima gente, molto ben pagata, cui si chiede di non pensare ad altro e di essere del tutto sradicata da ogni punto di vista. E’ il mondo di cui in California la Silicon Valley è la rappresentazione plastica. Questo spiega perché i grandi di questo mondo e le loro fondazioni siano vessilliferi e giganteschi finanziatori e promotori della banalizzazione dell’aborto, della filosofia del “gender” e di ogni cosa sia utile alla trasformazione dell’umanità in una massa indifferenziata di consumatori privi di ogni legame; idealmente senza famiglia, senza terra, senza identità, senza fede, senza passato e in fin dei conti anche senza futuro. E’ la gelida pace, peraltro impossibile, cantata da John Lennon nella sua celebre Imagine

Fermo restando il controllo monopolistico planetario della produzione, dello sviluppo e della vendita dei sistemi e delle loro applicazioni, secondo questo modello tutto il resto si va a far fare e a comprare dove costa meno e finché costa meno, pronti a spostarsi in ogni momento dove più conviene lasciando di qua e di là fabbriche vuote e gente senza lavoro. E’ una macchina che procede nel mondo come una gigantesca mieti-trebbia con davanti a sé masse sempre più esigue di giovani che si sbracciano con la speranza essere invitati al banchetto come produttori, o anche solo come consumatori; e con dietro di sé masse sempre più vaste di gente di ogni età spremuta e abbandonata. La globalizzazione è una realtà di fatto, quindi non se ne può prescindere. Però la si deve governare. Trump magari non è la soluzione, ma ha il merito di essersi posto il problema. Per questo ha vinto le elezioni malgrado lo schieramento contro di lui della quasi totalità del giornalismo americano, che crede di stare trionfalmente sopra la mieti-trebbia mentre invece è già nelle sue macine.