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PEDOFILIA

"Inaccettabile l'appoggio del Papa al vescovo cileno"

Un sacerdote scrive un durissimo atto d'accusa sul vescovo Barros, finito nello scandalo pedofilia, ma difeso dal Papa e mostra perché il caso Cile non è ancora chiuso. "Da tre anni informiamo Nunziatura e Vaticano, ma non siamo mai stati ascoltati. Le testimonianze ci sono". Le critiche all'episcopato di aver anteposto alla salvezza delle anime la convenzienza del potere.

Ecclesia 28_01_2018
Il vescovo Barros

Il Papa ha lasciato da più di una settimana il Cile, ma nel Paese andino tiene ancora banco la vicenda del vescovo di Osorno Juan Barros, finito al centro di polemiche a causa della sua vicinanza ad un sacerdote della diocesi pesantemente coinvolto in atti di abusi sessuali. Le parole di Francesco – ribadite anche nel viaggio di ritorno sull’aereo papale – sulla mancanza di prove per procedere formalmente contro Barros hanno indispettito il cardinal O’Malley, ma anche buona parte del clero cileno. Perché? Per comprenderlo è necessario cercare tra le pieghe di questa vicenda ecclesiale chi ha cercato in tutti i modi di informare la Santa Sede sull’inopportunità di inviare Barros come vescovo della diocesi.

E proprio nei giorni scorsi ha tenuto banco sui giornali cileni una lettera aperta di un sacerdote che conosce molto bene la vicenda ed è stato uno dei primi ad accusare pubblicamente Barros. Si tratta di Peter Kliegel, sacerdote della stessa diocesi di Barros che ha consegnato al quotidiano El Mostrador una lettera ai vescovi dalla quale traspare lo psicodramma di una diocesi intera che ha vissuto il dramma della pedofilia e contemporaneamente l’inerzia dei vertici ecclesiastici nell’affrontarlo.

“Sento la necessità di rivolgermi a voi vescovi dopo questi giorni intensi della visita del Santo Padre”, ha esordito.

Kliegel, ha 52 anni di messa nella città di Osorno. Una città la cui diocesi “negli ultimi tre anni ha vissuto una crisi enorme” che la accomunano a quell’ospedale da campo di cui parlava il Santo Padre nel 2014.

E ha proseguito: “Fratelli vescovi, la mia coscienza di cristiano mi obbliga a parlare con onestà e sobbarcandomi il dolore e i sentimenti di molti fedeli, mi ero imposto il silenzio, ma la discrepanza tra le parole e i comportamenti della gerarchia è arrivata a tal punto che non è più concesso accettarla.

In questi tre anni, la Nunziatura e il Vaticano, attraverso molte segnalazioni, non ci ha mai dato una risposta. Ci siamo stati ascoltati e nemmeno il Santo Padre lo ha fatto. Sento che siamo stati trattati come pedine. Non ho il diritto di giudicare nessuno, ma non prendere in considerazione le voci delle vittime di abusi sessuali e non prendere le misure conseguenti è gravissimo. Alle vittime bisogna credere, sia quelle che si sono incontrate con il Papa privatamente sia quelle che lo hanno fatto pubblicamente. Considerare una calunnia una testimonianza da parte di una vittima, affermata in un giudizio pubblico, è gravissimo. Soprattutto se viene dalla bocca del cardinal Errazuriz (il cardinale Arcivescovo di Santiago ndr.)”. Secondo il sacerdote con questo comportamento si non si sono offesi solo alcuni laici, ma è stata colpita fortemente la comunità diocesana e la Chiesa di tutta la nazione”.

Poi dopo aver citato il discorso di Francesco nel Palazzo della Moneda, nel quale manifestava dolore e vergogna per il danno irreparabile causato ai bambini da parte di ministri, il prete ha accusato il vescovo Juan Barros di essersi rifugiato per tutto il viaggio papale “ma in questi tre anni non è mai stato capace di incontrare don Juan Carlos Cruz, vittima di Karadima, per un dialogo chiarificatore in presenza di noi sacerdoti e diaconi. Un vescovo desaparecido, fa star male questo”.

E ancora: “Un pastore che evita le situazioni scomode e critiche non ha a cuore il suo gregge. Mi è per questo incomprensibile e inaccettabile l’appoggio del Santo Padre a un pastore che si comporta così. Una Chiesa che si è autodefinita esperta in umanità ha l’obbligo morale di applicare criteri di maggiore evidenza”.

Ma Barros, sempre stando a questo duro atto d’accusa, manca anche di molti criteri per poter esercitare il suo ruolo di pastore tanto che la sua nomina viene definita “sottovalutata” perché “l’ambiente storico nel quale il nostro vescovo si è mosso per più di 30 anni è lo stesso ambiente che ha lodato pubblicamente come edificante e nel quale una guida pederasta ha provocato danni alla nostra Chiesa gettandola nello scandalo”.

Questo Kliegel rimprovera a Barros: “Non aver visto niente in 30 anni indica incapacità di uno sguardo del mondo reale, uno sguardo critico sulla realtà dei fatti”. E – sempre sulla verità dei fatti – ha imputato a Barros di aver presentato in maniera errata la situazione della diocesi, come traspare dalla lettera del Papa recentemente resa pubblica. Come? “Voi vescovi avevate chiara conoscenza della situazione personale e storica dell’attuale vescovo di Osorno e di che cosa si aspettava la diocesi intera. Ma avete deliberatamente preservato il santo padre da una fatale equivoco, sapendo che il Papa si può sbagliare, come lui stesso ha ammesso in un’intervista”.

Perciò l’autorità della Chiesa ha invece “puntato più sulla convenienza del potere amministrativo che alla regola aurea della pastorale: salvare le anime. Questo fa star male” perché “la dignità è un diritto umano inalienabile, lo stesso Papa lo ha registrato nelle nostre coscienze. Seguire questa premessa è un obbligo morale”.

Le parole di questo sacerdote aprono uno squarcio su quello che è accaduto in Cile e spiegano per quale motivo la difesa d’ufficio di Barros fatta da Francesco sia stata considerata inaccettabile. E forse, grazie a questo atto d’accusa, si potrebbe fare maggiore luce sulle responsabilità effettive e agire poi di conseguenza.