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MEDIO ORIENTE

In attesa della reazione israeliana che tutto l'Occidente frena

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Il governo israeliano deve decidere come rispondere al bombardamento iraniano del 13 aprile. Tutti gli alleati di Israele frenano la rappresaglia, temendo l'escalation. 

Esteri 17_04_2024
Netanyahu presiede il gabinetto di guerra israeliano (La Presse)

Luci, ombre e un po’ di propaganda creano una cortina fumogena intorno all’attacco iraniano a Israele, in risposta al raid che a inizio aprile vide gli F-35 con la Stella di David distruggere una sede diplomatica iraniana a Damasco.

Israele sostiene di aver subito danni lievissimi alla base aerea di Nevatim e di aver distrutto insieme agli alleati occidentali 99% degli ordigni (droni, missili da crociera e balistici) lanciati dall’Iran. Teheran invece rivendica di aver inflitto seri danni alla base aerea nel deserto del Negev (confermati forse da alcuni video che mostrano esplosioni collaterali a Nevatim), dove tutti i missili ipersonici Kheibar avrebbero colpito i loro bersagli, e di aver distrutto il centro di comando e controllo israeliano situato sulle alture del Golan, territorio siriano occupato da Israele dal 1967.

Del resto Israele non rivendica solitamente gli attacchi che compie e di difficilmente ammetterebbe i danni arrecati dal nemico, tuttavia anche gli Stati Uniti hanno fornito notizie interessanti, peraltro da verificare.  

Funzionari dell’amministrazione Biden sentiti da Fox News hanno rivelato che circa la metà dei 115/130 missili impiegati dall’Iran hanno registrato avarie in fase di lancio o si sono schiantati prima di raggiungere i bersagli. Quanto al rilevante ruolo ricoperto dagli alleati nella difesa dello spazio aereo di Israele, un comunicato del Comando Centrale Usa ha reso noto che le forze statunitensi e degli alleati europei hanno intercettato più di 80 droni e almeno 6 missili balistici iraniani, cioè oltre un quarto degli ordigni impiegati dall’Iran.

Un dato significativo che induce a ritenere che senza l’intervento aerei, navi e batterie antimissile americane, britanniche, francesi e giordane le difese aeree israeliane avrebbero dovuto affrontare un numero soverchiante di ordigni rischiando la saturazione.

L’analisi della Cnn rivela inoltre che l’operazione iraniana era tesa a massimizzare l’effetto d’immagine e ridurre al minimo i danni concreti contro Israele: infatti il lancio di droni che impiegarono 9 ore a raggiungere lo spazio aereo israeliano, ha annullato l’effetto sorpresa concedendo allo Stato ebraico e ai suoi alleati molto tempo per preparare le difese aeree. Un attacco condotto solo con missili balistici e ipersonici non avrebbe concesso il tempo di intervenire agli aerei alleati.

Va poi sottolineato che l’Iran potrebbe alimentare un buon numero di attacchi con centinaia di droni e missili per volta mentre non è detto che Israele abbia abbastanza munizioni per affrontarle, soprattutto in termini di missili dei sistemi Arrow, Iron Dome e Fionda di David.

Sul piano politico, in seguito all’attacco iraniano, la Camera statunitense ha provveduto con urgenza a discutere lo sblocco degli aiuti militari a Israele, ma questo non significa che la Casa Bianca intenda sostenere un’escalation della tensione con l’Iran.  Biden ha detto chiaramente che Israele dovrebbe limitare la sua eventuale risposta all’attacco iraniano mentre Usa e alleati europei hanno chiarito che non seguiranno lo Stato ebraico in un conflitto con l’Iran.

Washington sta facendo pressioni affinché il Gabinetto di guerra israeliano non decida di procedere con un contrattacco che colpisca il territorio dell’Iran né i suoi siti per la ricerca nell’ambito del programma nucleare, ma opti eventualmente su “obiettivi tattici e non strategici”, come ha detto il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto, come le basi dei pasdaran o le milizie filo-iraniane in Libano, Iraq, Yemen o Siria.

Certo Biden ha sottolineato che «il sostegno a Israele è incrollabile» ma ha chiesto di evitare l’escalation, spiegando che «rimarremo a stretto contatto con i leader israeliani», ma non sosterranno una controffensiva israeliana contro l’Iran, perché finora «non ci sono stati attacchi contro le nostre forze o i nostri siti ma rimarremo all’erta per ogni minaccia e non esiteremo ad adottare tutte le azioni necessarie per proteggere i nostri».

Le pressioni di Washington non è detto che abbiano successo poiché Israele ha bisogno di allargare il conflitto per distrarre l’attenzione dalla Striscia di Gaza e per cercare di consolidare il sostegno occidentale che stava venendo meno a causa delle tante vittime civili a Gaza.

Ieri, il capo di stato maggiore delle Forze di difesa israeliane (IDF), generale Herzi Halevi, ha dichiarato che l'aggressione dell'Iran «avrà una risposta». Il portavoce delle Forze armate iraniane ha replicato che la Repubblica islamica «non cerca di espandere la guerra, ma taglieremo ogni mano che attacca il nostro Paese».

Il Pentagono ha reso noto che i rinforzi aerei e navali trasferiti in Medio Oriente per proteggere Israele dall'attacco dell'Iran rimangono nella regione. Un ufficiale dell'aeronautica israeliana ha dichiarato che la Giordania ha consentito agli aerei da combattimento israeliani di entrare nel suo spazio aereo per abbattere missili e droni lanciati dall'Iran, con il coordinamento statunitense. Elemento che ha indotto Teheran ad ammonire Amman che a sua volta ha riportato l’attenzione su Gaza.

Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha confermato che Amman ha assistito Israele nell'intercettazione dei droni ma ha invitato a non distogliere l'attenzione dalla questione di Gaza e Cisgiordania. «Qualunque oggetto entri nei nostri cieli, violi il nostro spazio aereo, qualunque oggetto che riteniamo rappresenti un pericolo per la Giordania, faremo tutto ciò che è in nostro potere per porre fine a quella minaccia ed è quello che abbiamo fatto», ha detto il ministro alla Cnn. «Quello che è successo è un segno di quanto la situazione possa peggiorare pericolosamente se non si affronta la causa di tutta questa tensione» e «dobbiamo rimanere concentrati: il problema non è l'Iran ma l'aggressione israeliana di Gaza e l'illegalità in Cisgiordania, questo deve finire», ha ammonito Safadi.

Valutazione sostenuta dalla notizia che nelle ultime 36 ore le forze aeree israeliane hanno effettuato attacchi contro decine di obiettivi nella Striscia di Gaza. Israele «sta cercando di distogliere l'opinione pubblica mondiale dai crimini commessi a Gaza rendendo la situazione tesa» con l'Iran ha affermato l'emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani, in una telefonata con il presidente iraniano Ebrahim Raisi. E in Qatar è giunto ieri il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, per colloquio con il suo omologo nonché primo ministro dell'emirato, Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani e i leader di Hamas ospiti a Doha.

La sensazione che Benjamin Netanyahu possa puntare decisamente a esasperare la tensione con l’Iran sembra farsi strada anche nell’opposizione israeliana il cui leader  Yair Lapid ha chiesto ai ministri del governo di unità nazionale Benny Gantz e Gadi Eisenkot di contribuire a far cadere il Governo Netanyahu, promettendo loro che avrebbero maggiore influenza in una nuova coalizione.

«Formeremo un nuovo governo e questo governo avrà molta più influenza, Benny Gantz potrebbe essere primo ministro e non c'è cittadino che non sarebbe contento di avere Gadi Eisenkot come ministro della Difesa», ha detto Lapid riferendosi all'altro esponente dell'opposizione, anche lui ex capo dello stato maggiore, che ha accettato dopo gli attacchi di Hamas di sostenere il governo di Netanyahu.

In realtà neppure l’uscita dal governo del Partito di Unità Nazionale di Gantz e Eisenkot metterebbe in minoranza l’esecutivo Netanyahu che ha respinto l’appello di Gantz a indire nuove elezioni a settembre. Il motivo non sembra essere solo il conflitto in corso ma anche i sondaggi che indicano come circa il 70% del campione di israeliani intervistati vogliono le dimissioni di Netanyahu e circa il 50% chiede elezioni anticipate.

Al di là degli sviluppi politici interni a Israele, strettamente legati a quelli bellici è però difficile ritenere che, dopo i fatti del 7 ottobre scorso, un altro primo ministro o un altro governo avrebbero fatto scelte diverse da quelle del Governo Netanyahu.