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IMMIGRAZIONE

Il Piano Marshall per l'Africa è fallito, ma l'Ue lo ripropone

Mai formula è stata ripetuta più volte del "Piano Marshall per l'Africa". Non è mancato neppure questa volta quale proposta principale nel vertice euro-africano di Abidjan. Eppure tanti altri "piani Marshall" per il continente nero sono stati tentati e sono inevitabilmente finiti in corruzione e sottosviluppo. Perché perseverare nell'errore?

Esteri 01_12_2017
Il vertice di Abidjan

Un Piano Marhsall per l’Africa, con un fondo di almeno 40 miliardi di euro e investimenti ulteriori, pubblici e privati, per un totale di 500 miliardi: questa la “nuova” strategia dell’Unione Europea per l’Africa, altri soldi, in sostanza, che si aggiungono alle decine di miliardi già normalmente stanziati dall’organismo europeo e dai suoi stati membri.

I capi di stato e i rappresentanti della società civile africani presenti il 22 novembre a Bruxelles alla conferenza del Parlamento europeo, organizzata per illustrare il nuovo partenariato con l’Africa, e poi il 29-30 novembre al vertice UE-Unione Africana svoltosi ad Abidjan, Costa d’Avorio, non potevano che accogliere con entusiasmo la notizia che continueranno a disporre di fondi e crediti inesauribili. Era esattamente quel che volevano sentirsi dire, come sempre, e pazienza se non si è potuto fare a meno di accennare al fatto che per far fruttare tutto quel denaro bisogna controllare come viene utilizzato, contrastare la corruzione, sollecitare scelte realmente democratiche.

Nessuno dei presenti ha avuto il coraggio prendere la parola per dire che l’Africa non ha bisogno di denaro. Ha bisogno, invece, di utilizzare bene quello che già riceve dalla cooperazione internazionale, quello che gli Africani emigrati in altri continenti spediscono a casa, quello che ogni paese ricava dalla vendita delle proprie materie prime. Ma per utilizzarlo bene prima di tutto i governi africani devono smettere di lasciare esportare illegalmente enormi capitali: tra 50 e 100 miliardi di euro all’anno, si stima, ma probabilmente molti di più. Basterebbero per realizzare le infrastrutture indispensabili, potenziare i servizi di base, industrializzare e differenziare le attività produttive.

Dell’esportazione illegale di denaro i governi africani sono due volte responsabili: perché parlamentari, ministri, alte cariche militari, uomini d’affari trasferiscono all’estero miliardi, inclusi quelli sottratti alle casse dello stato, e perché consentono a imprese straniere di fare altrettanto.

Mohammed Mo Ibrahim, il miliardario sudanese che nel 2006 ha creato una fondazione per promuovere democrazia e buon governo in Africa, è intervenuto al summit ricordando ai governi africani che è loro il compito di risolvere i problemi del continente e ai popoli africani che devono di “ripulire” i governi dei loro paesi per renderli responsabili, trasparenti e capaci: senza buon governo tutto è inutile, la corruzione impedisce lo sviluppo. Il futuro è nelle mani degli Africani – ha detto Mo Ibrahim – anche se l’Europa ha le sue colpe perchè parla di stato di diritto, di trasparenza e poi però esita a sanzionare le aziende europee che approfittano della situazione.

Altre autocritiche da parte dei tanti africani presenti a Bruxelles e ad Abidjan non si sono sentite, o almeno non se ne trova accenno nelle agenzie di stampa. È stato il presidente del parlamento europeo, Antonio Tajani, a tracciare un bilancio negativo di dieci anni di politiche comunitarie rivolte all’Africa: un fallimento, sostanzialmente, perché, così ha detto, “diversi obiettivi sono stati disattesi, all’Europa è mancato il coraggio di costruire strumenti davvero efficaci, sono numerose le opportunità mancate, a riprova di una scarsa capacità di incidere sul futuro del continente africano”. 

Perché mai i paesi europei, o qualsiasi altro stato, dovrebbero incidere sul futuro dell’Africa, farsene carico con investimenti astronomici, tanto più che effettivamente solo gli africani possono rimediare a quel che manca nel loro continente? L’atteggiamento nei confronti degli africani da parte degli europei – politici, ricercatori, cooperanti… – non ha riscontri. Non pensiamo a incidere sul futuro dell’India, per esempio, di averne facoltà, né della Cina o di qualsiasi altro paese non africano, né di essere responsabili dei loro successi e dei loro fallimenti.   

“È giunto il momento di mettere l’Africa in cima all’agenda dell’Unione – ha dichiarato il presidente Tajani – il parlamento europeo si è impegnato a svolgere un ruolo centrale nella definizione di un nuovo partenariato con l’Africa. La transizione del continente verso una base industriale sostenibile, un’agricoltura efficiente, fonti rinnovabili, infrastrutture adeguate per acqua, energia, mobilità, logistica o digitale, vanno sostenuti attraverso un ‘piano Marshall’. L’Unione europea deve contribuire, nel suo stesso primario interesse, al rafforzamento della governance, dello Stato di diritto, della lotta alla corruzione, dell’emancipazione delle donne e dell’istruzione, in Africa”.

Una strada tutta in salita, ha commentato qualcuno, pensando ai leader africani: Uhuru Kenyatta, tra gli altri e neanche il peggiore, che il 28 novembre ha iniziato il suo secondo mandato presidenziale in Kenya, conquistato violando le regole democratiche spudoratamente, o Emmerson Mnangagwa, appena nominato presidente di transizione dello Zimbabwe dopo il colpo di stato che ha destituito Robert Mugabe di cui Mnangagwa è stato alleato fedele fino a pochi giorni prima e fin dagli anni 80 quando con lui ha partecipato allo sterminio dell’etnia avversaria, i Matabele, per consolidare un potere durato 37 anni… l’elenco dei leader problematici è lungo.  

Più scaltro, il presidente francese Emmanuel Macron, in viaggio nel continente in questi giorni, ha assicurato: “appartengo a una generazione che non dice agli africani che cosa devono fare”.