Il pavido assenso di vescovi e alti prelati
La mamma di Charlie Gard annuncia: "Siamo stati in trattative oggi con Great Ormond Street Hospital e hanno accettato di darci un poco piú di tempo con Charlie". A tempo ormai scaduto arrivano anche le parole pavide dei vescovi britannici e del presidente della Pav, Paglia i quali continuano a parlare di accanimento terapeutico. Ma si tratta di eutanasia. E lo sanno bene.
Saranno staccati oggi i macchinari che tengono in vita il piccolo Charlie Gard, il neonato di dieci mesi ricoverato al Great Ormond Street Hospital di Londra per una rara malattia mitocondriale. Lo hanno annunciato i suoi genitori, Chris Gard e Connie Yates, che hanno perso la battaglia legale arrivata fino alla Corte europea dei diritti umani per portare a proprie spese il bimbo negli Usa e sottoporlo a una cura sperimentale.
L’esecuzione capitale decretata dai giudici di Stato sta per essere applicata sul condannato Charlie Gard, di mesi 10, e la Chiesa nonostante ciò rimane silente. Non tutta a dire la verità. L’arcivescovo Peter Smith, della diocesi di Southwark, ha parlato, ma era meglio che rimanesse in silenzio.
In qualità di Presidente del Dipartimento per la responsabilità cristiana e per la cittadinanza della Conferenza episcopale dell'Inghilterra e del Galles, mons. Smith si è espresso sul caso Charlie in comunicato stampa del 5 maggio scorso. Il comunicato dell’arcivescovo è stato fatto proprio dalla Chiesa cattolica inglese che lo ha parzialmente pubblicato sul proprio sito mercoledì scorso, eleggendo Smith a suo portavoce, all’indomani della decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha posto una pietra tombale sul destino di Charlie. Il prelato ha affermato che “i responsabili della sua assistenza medica nel Regno Unito ritengono di aver fatto tutto il possibile per aiutarlo”. Davvero tutto? Al prelato forse sfugge che ci sarebbe ancora una cosa che potrebbero fare e che magari gli salverebbe la vita: lasciarlo andare negli Stati Uniti per sottoporsi ad un cura sperimentale. Le parole del vescovo quindi suonano come un’assoluzione collettiva per i medici del Great Ormond Street Hospital.
Mons. Smith prosegue: “È comunque comprensibile che i genitori desiderino perseguire ogni chance al fine di prolungare la sua vita, anche quando ciò non garantisse un successo e richiederebbe il trasferimento negli Stati Uniti. In questo entrambe le parti, secondo la propria prospettiva, cercano di agire con integrità e per il bene di Charlie”. Dunque l’arcivescovo ci sta dicendo che i genitori si stanno accanendo nel prolungare con ostinazione la vita di Charlie anche se non c’è più speranza – la qual cosa è falsa – e che in merito a questa vicenda non c’è una verità morale, scelte lecite e scelte da rifiutare, ma che ognuno ha ragione da vendere anche se le decisioni sono antitetiche tra loro. Bene fanno i genitori nel tentativo di salvare il piccolo – potremmo chiedere diversamente ad una madre e ad un padre? pare chiedersi il prelato – bene fanno i medici a non voler più curare Charlie. Le convergenze parallele di morettiana memoria son tornate.
L’equilibrismo di mons. Smith continua. Da una parte secondo lui le attuali cure prestate a Charlie configurano accanimento terapeutico (abbiamo spiegato giusto ieri che così non è): “Quando il trattamento medico diventa sproporzionato in riferimento ad un possibile beneficio, è comunque necessario mantenere una corretta assistenza palliativa per un malato”. Affermazione diretta ai genitori perché non si incaponiscano ulteriormente. “Non dovremmo mai agire con l'intenzione deliberata di porre fine ad una vita umana – continua il vescovo - compresa l’interruzione dell'alimentazione e dell'idratazione in modo da provocare il decesso”. Affermazione questa invece fatta all’indirizzo dei medici. La sintesi dei due pastorali consigli è la seguente: “Noi, a volte, dobbiamo riconoscere i limiti di ciò che può essere fatto, mentre occorre agire sempre con umanità al servizio del malato fino al momento della morte naturale”.
Scende in campo anche mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, il quale fa sue le parole del comunicato di Mons. Smith e dunque della Conferenza episcopale inglese. Pure lui insiste sul fatto che devono essere “riconosciuti anche i limiti di ciò che si può fare, certo dentro un servizio all’ammalato che deve continuare fino alla morte naturale […]. Dobbiamo compiere ogni gesto che concorra alla sua salute e insieme riconoscere i limiti della medicina” e dunque va “evitato ogni accanimento terapeutico sproporzionato o troppo gravoso”.
La parole di Paglia confermano la versione ecclesiale ufficiale: su Charlie si stanno accanendo i medici per tenerlo in vita. Nessun accenno al fatto che invece si tratti di eutanasia. Poi pare accendersi un barlume di speranza quando il presidente della Pav afferma: “Va rispettata e ascoltata anzitutto la volontà dei genitori”, barlume che si spegne subito dopo: “E, al contempo, è necessario aiutare anche loro a riconoscere la peculiarità gravosa della loro condizione, tale per cui non possono essere lasciati soli nel prendere decisioni così dolorose”. Tradotto: capiamo che voi genitori volete salvare a tutti i costi vostro figlio, ma cercate di persuadervi che è ormai tutto inutile. Infine Paglia pare dare una stoccata a chi in queste settimane ha gridato all’omicidio di Stato sui media quando accenna a “clamori mediatici talvolta tristemente superficiali”.
Un giudizio benevolo potrebbe qualificare le affermazioni dei due monsignori come pavido tentativo di non sbilanciarsi troppo: stiamo dalla parte dei genitori e dei medici dato che entrambi stanno dalla parte di Charlie. Ma un giudizio più realistico vede le cose in modo diverso. E’ impossibile che mons. Paglia, mons. Smith e dunque la Chiesa cattolica inglese, che ha sposato le parole dell’arcivescovo, non abbiano capito che non si tratta di sospendere terapie sproporzionate, bensì di eutanasia. Più verosimilmente costoro hanno ben compreso che si tratta di mettere a morte un innocente.
E perché allora non protestano, non si stracciano le vesti, non fanno partire una raccolta firme, non lanciano appelli, non indicono un periodo di penitenza e preghiere, non guidano fiaccolate – così come sta facendo il popolo di Dio in tutte le parti del mondo - ed invece sfornano comunicati stampa dalle tinte pastello? Perché, ammettiamolo, ormai nella Chiesa non ci sono solo gli impavidi, che perlomeno hanno le idee sane ma non hanno il coraggio di sostenerle, ormai pullulano coloro che si sono fatti sequestrare dal nemico non opponendo resistenza. Don Abbondio è diventato Don Rodrigo. Tanti ormai sono i sacerdoti, vescovi, cardinali e laici con alte responsabilità nel mondo ecclesiale che pensano giusto che Renzo e Lucia non debbano sposarsi (ma magari due Renzi sì) e fanno di tutto perché ciò non avvenga.
Chiamare alla Pontificia Accademia per la Vita abortisti e ricercatori favorevoli alla fecondazione artificiale e alla sperimentazioni sugli embrioni non è una svista, non è segno che si hanno le idee confuse, ma è indizio grave che si guarda con indulgenza a tali pratiche. Invitare in simposi organizzati all’interno delle mura leonine personaggi sostenitori della desertificazione del genere umano e chiedere che siano i ghost writer di documenti licenziati ad altissimo livello non indica più un mero sbandamento dottrinale che però procede nella giusta direzione, bensì un consapevole cambio di rotta. Sulla verità morale e di fede non c’è pluralismo che tenga perché l’unica voce da ascoltare è quella di Cristo. Se si pensa il contrario allora bisognerebbe suggerire alla Direzione Investigativa Antimafia di arruolare nel proprio staff Totò Riina.
Attualmente nella Chiesa ci sono tre tipologie di personaggi. Vi sono coloro che dicono senza peli sulla lingua che il re è nudo. Questi ultimi o finiscono al confino su qualche isoletta nel Pacifico o viene loro attaccato un bersaglio grande come una casa oppure vengono immersi fino al collo nella palude di una sdegnata indifferenza. Altri poi formalmente non prendono posizione, come se rimanessero afoni su vicende come quella del piccolo Charlie, ma è un silenzio eloquente, perché rappresenta un modo furbo per appoggiare le idee dei pro-choice. E’ un silenzio assenso al male. Chi tace in questi casi è complice. Infine vi sono altri che – per tornare al caso inglese – non tacciono e scambiano volutamente l’eutanasia per accanimento terapeutico. Conclusione. Il vero dramma di oggi della Chiesa non è la pedofilia, la sete di arrivismo dei preti, la mancanza di attenzione verso gli ultimi: tutte cose vere, esistenti e da combattere. Il vero dramma è l’eresia.