Il Papa scrive ai cinesi, ma nel cammino non si vede libertà
Il Papa scrive al popolo cinese una lettera dopo l'accordo con il Regime. Nel lungo testo emergono l'apprezzamento e l'incoraggiamento di fronte alle sofferenze dei cristiani sotto la persecuzione comunista. Ma gli “avvenimenti” cui fa riferimento il Pontefice continuano senza tregua. La clandestinità non è il vero problema, il vero problema è che lo Stato non tollera Vescovi che siano liberi di annunciare il Vangelo anche laddove questo annuncio contrastasse con le politiche del governo. Saranno liberi ora?
-SOTTOMESSI ALL'UOMO INIQUO di Douglas Farrow
A seguito della firma dell’accordo provvisorio fra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, Papa Francesco ha scritto un “Messaggio ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale” (LEGGI IL DOCUMENTO INTEGRALE). E' il caso di commentare alcune parti di questo messaggio.
Innanzitutto sono apprezzabili i toni di ammirazione e apprezzamento che il Pontefice indirizza al popolo cinese e alla sua cultura. Ma questo apprezzamento si estende anche alle sofferenze dei cristiani sotto la persecuzione comunista (parola che naturalmente non appare mai nel messaggio): “Sono sentimenti di ringraziamento al Signore e di sincera ammirazione – che è l’ammirazione dell’intera Chiesa cattolica – per il dono della vostra fedeltà, della costanza nella prova, della radicata fiducia nella Provvidenza di Dio, anche quando certi avvenimenti si sono dimostrati particolarmente avversi e difficili. Tali esperienze dolorose appartengono al tesoro spirituale della Chiesa in Cina e di tutto il Popolo di Dio pellegrinante sulla terra. Vi assicuro che il Signore, proprio attraverso il crogiuolo delle prove, non manca mai di colmarci delle sue consolazioni e di prepararci a una gioia più grande. Con il Salmo 126 siamo più che certi che «chi semina nelle lacrime, mieterà nella gioia» (v. 5)!”. Trspare dunque un apprezzamento per le sofferenze del popolo cinese, e si percepisce che dietro quella parola “avvenimenti” ci sarebbe dovuto essere la parola “persecuzioni”.
Il Papa intravede le difficoltà affermando: “Si tratta di un cammino che, come il tratto precedente, «richiede tempo e presuppone la buona volontà delle Parti» (Benedetto XVI, Lettera ai Cattolici cinesi, 27 maggio 2007, 4), ma per la Chiesa, dentro e fuori della Cina, non si tratta solo di aderire a valori umani, bensì di rispondere a una vocazione spirituale: uscire da se stessa per abbracciare «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 1) e le sfide del presente che Dio le affida. È, pertanto, una chiamata ecclesiale a farsi pellegrini sui sentieri della storia, fidandosi innanzitutto di Dio e delle sue promesse, come fecero Abramo e i nostri Padri nella fede”. Certo, importante questo avviso alla missonarietà della Chiesa in Cina, tenendo però conto che la possiblità di azione, per il controllo del governo, è ridottissimo e certamente del tutto precluso per ciò che riguarda l’essere elemento di cambiamento della società. Al momento dell’accordo, gli “avvenimenti” non erano terminati, ma continuavano e continuano senza tregua.
Ma il Papa, prevenendo questa obiezione, afferma: “Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per una terra sconosciuta che doveva ricevere in eredità, senza conoscere il cammino che gli si apriva dinnanzi. Se Abramo avesse preteso condizioni, sociali e politiche, ideali prima di uscire dalla sua terra, forse non sarebbe mai partito. Egli, invece, si è fidato di Dio, e sulla sua Parola ha lasciato la propria casa e le proprie sicurezze. Non furono dunque i cambiamenti storici a permettergli di confidare in Dio, ma fu la sua fede pura a provocare un cambiamento nella storia. La fede, infatti, è «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio» (Eb 11,1-2)”. Giusto, ma Abramo si è lanciato verso il pericolo ignoto, fidandosi di Dio; qui il pericolo e la situazione è nota e, come il Pontefice ha detto, è del tutto comprensibile la sofferenza di quanti non capiscono, di quanti pensano che un accordo in questo momento non abbia senso. Perché non è solo il Cardinale Joseph Zen a pensarla così, ma tantissimi intellettuali anche cattolici, liberi di poter dire quello che pensano, e che hanno più di un dubbio sulla opportunità di questo accordo in queste condizioni.
“Allorquando, nel passato, si è preteso di determinare anche la vita interna delle comunità cattoliche, imponendo il controllo diretto al di là delle legittime competenze dello Stato, nella Chiesa in Cina è comparso il fenomeno della clandestinità. Una tale esperienza – va sottolineato – non rientra nella normalità della vita della Chiesa e «la storia mostra che Pastori e fedeli vi fanno ricorso soltanto nel sofferto desiderio di mantenere integra la propria fede» (Benedetto XVI, Lettera ai Cattolici cinesi, 27 maggio 2007, 8)”. La clandestinità non era il vero problema, il vero problema era (ed è, come pensano molti) che lo Stato non tollera Vescovi che siano liberi di annunciare il Vangelo anche laddove questo annuncio contrastasse con le politiche del governo. Saranno liberi ora?
Se al Papa è stato promesso questo, sarà veramente un successo storico qualora la promessa verrà mantenuta. Sarebbe veramente un fatto straordinario. Alla luce di questo bisogna leggere questo altro passaggio: “In questo contesto, la Santa Sede intende fare sino in fondo la parte che le compete, ma anche a voi, Vescovi, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici, spetta un ruolo importante: cercare insieme buoni candidati che siano in grado di assumere nella Chiesa il delicato e importante servizio episcopale. Non si tratta, infatti, di nominare funzionari per la gestione delle questioni religiose, ma di avere autentici Pastori secondo il cuore di Gesù, impegnati a operare generosamente al servizio del Popolo di Dio, specialmente dei più poveri e dei più deboli, facendo tesoro delle parole del Signore: «Chi vuol essere grande tra voi sifarà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,43-44)”. Ecco il punto: i fedeli avranno la libertà di proporre i candidati più adatti nel senso "cattolico" o dovranno sottostare (come molti sanno e pensano) ai candidati che il governo comunista e ufficialmente ateo, favorisce?
Chi conosce la Cina popolare perché la vive, può garantire che in tutti gli ambiti c’è un controllo estremo, è dubitabile che la Cina realisticamente lasci ora questa libertà d’azione alla Chiesa Cattolica. E questa incomprensione si riflette anche in questo: “Sul piano civile e politico, i Cattolici cinesi siano buoni cittadini, amino pienamente la loro Patria e servano il proprio Paese con impegno e onestà, secondo le proprie capacità. Sul piano etico, siano consapevoli che molti concittadini si attendono da loro una misura più alta nel servizio al bene comune e allo sviluppo armonioso dell’intera società. In particolare, i Cattolici sappiano offrire quel contributo profetico e costruttivo che essi traggono dalla propria fede nel regno di Dio. Ciò può richiedere a loro anche la fatica di dire una parola critica, non per sterile contrapposizione ma allo scopo di edificare una società più giusta, più umana e più rispettosa della dignità di ogni persona”. Ma “la parola critica” può causare la prigione, come a tantissimi è capitato. Come possono essere liberi di essere profetici e costruttivi in queste condizioni?
Verso la fine il Papa dice: “In Cina è di fondamentale importanza che, anche a livello locale, siano sempre più proficui i rapporti tra i Responsabili delle comunità ecclesiali e le Autorità civili, mediante un dialogo franco e un ascolto senza pregiudizi che permetta di superare reciproci atteggiamenti di ostilità. C’è da imparare un nuovo stile di collaborazione semplice e quotidiana tra le Autorità locali e quelle ecclesiastiche – Vescovi, sacerdoti, anziani delle comunità –, in maniera tale da garantire l’ordinato svolgimento delle attività pastorali, in armonia tra le legittime attese dei fedeli e le decisioni che competono alle Autorità”. Ma questo tenendo presente che si sta parlando di uno stato fortemente autoritario, quindi la collaborazione è sempre a senso unico.
E' sicuro che il Papa sinceramente voglia il bene del popolo cinese, ma la conoscenza più diretta dell’attuale situazione della Cina (averci lavorato, vissuto, operato), di tanti laici e missionari, permette di sollevare più di qualche dubbio sul fatto che la soluzione adottata con la firma dell’accordo provvisorio del 22 settembre sia quella più adeguata.