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L'INTERVISTA/Gerl-Falkovitz

"Il male della Chiesa oggi si chiama neo modernismo"

"La Chiesa sta rischiando di abbracciare il neo-modernismo. C’è il mainstream del relativismo, l’accettazione del soggettivismo etico, un credo nella libertà dell’io, la costruzione del proprio corpo o del proprio sesso per non dimenticare il nichilismo: la “morte” di Dio. Questi sono i picchi di una auto-invenzione che tende a una sorta di immortalità tecnica e digitale". Intervista alla filososa Gerl-Falkovitz, che riceverà il premio di Cultura Cattolica. Nel segno di Romano Guardini di cui è l'erede. 

Ecclesia 04_11_2018
Gerl-Falkovitz

La Chiesa sta rischiando di abbracciare il neo-modernismo: non sappiamo come finirà, ma sappiamo che dobbiamo cercare anzitutto la verità, anche rivalutando l’intelletto e la filosofia della religione. Altrimenti coltiviamo “un amore sdentato” per gli altri e per il mondo, senza saper guardare con obiettività ai problemi del nostro tempo.

E’ il pensiero di Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, professore emerito di Filosofia delle Religioni e Scienze Religiose Comparate all’Università di Dresda. La studiosa tedesca riceverà venerdì 9 novembre a Bassano del Grappa il Premio Internazionale Medaglia d’oro al merito della Cultura Cattolica 2018 perché «propone alla cultura dell’Europa – leggiamo nella motivazione –  la katholische Weltanschauung (visione del mondo cattolica, ndr) quale criterio di vita personale e collettiva».

Gerl-Falkovitz ha gentilmente risposto alle domande della Nuova BQ, a partire dai suoi studi sul filosofo e teologo tedesco di origine italiana Romano Guardini, di cui è oggi considerata «non solo l’erede intellettuale ma quasi una figlia spirituale».

Qual è la parte a suo parere di maggiore attualità del pensiero di Guardini?
Guardini è un educatore per la verità. Di grande attualità è il suo pensiero - già dei primi anni e che si estende attraverso tutte le sue opere - che la verità e l’amore sono intensamente congiunti. Questo suona ben familiare. Ma nel suo primo capolavoro “Lo spirito della liturgia” (1918) - dove un capitolo è intitolato “Il primato del Lógos sull’Éthos” - Guardini mostra che nell’ordine della vita la verità è in assoluto il primo passo. “La verità è la verità indipendentemente dal nostro consenso o meno”. Oggi abbiamo una schiacciante affermazione dell’amore e della misericordia sia in ambito religioso che in ambito sociale. Ma senza la verità - l’analisi veritiera della situazione - l’amore diventa sdentato e sentimentale. Il primo orientamento di Guardini è con “cose” e “fatti”, con la realtà (contro i sogni di romanticismo e utopia), nell’etica come nella religione.

Ciò è ancora più importante perché gli umani sono collaboratori nella salvezza del mondo e devono aprirlo alla “nuova terra e il nuovo cielo” finali. Collaboratori di Dio, prima nella verità, poi nell’amore. Trasformare questa sequenza interna significa portare solo disordine e delusione.

Guardini è un maestro di (auto-)educazione: prima di agire viene la cognizione della verità, della realtà, anche degli impegni di amore. Altrimenti si creano illusioni utopiche e aumenta il caos.

Lei ha studiato in modo particolare l’Ottocento e il Novecento: che cosa “salva” della filosofia contemporanea? Ovvero in altre parole: è possibile far stare assieme il tomismo e la filosofia contemporanea? Un cristiano cattolico può pensare in modo cattolico usando le categorie della filosofia contemporanea?
La filosofia contemporanea è multiforme. C’è il mainstream del relativismo, incluso il relativismo culturale, l’accettazione del soggettivismo etico, un credo nella libertà dell’io postmoderno, la costruzione e la decostruzione del proprio corpo o del proprio sesso nella teoria del genere, per non dimenticare il nichilismo: la “morte” di Dio . Questi sono i picchi di una auto-invenzione apparentemente illimitata di auto-intronizzazione dell’essere umano, ora tendente anche a una sorta di immortalità tecnica e digitale. I padri di questa autoinvenzione ipertrofica sono noti: Nietzsche (anche se ambiguo), Wolfgang Abendroth (relativismo), Richard Dawkins (nuovo ateismo “scientifico”), Judith Butler (gender)... Ma è altrettanto vero che ci sono seri concetti filosofici, orientati verso una realtà oggettiva. Prima di tutto la fenomenologia (ad esempio Edith Stein) stava analizzando i fenomeni in un modo metodico sobrio, dando come risultato un approccio obiettivo ai concetti medioevali di realtà (Tommaso d’Aquino, Duns Scoto). Molti studenti formatisi con Husserl in questo tipo di “apertura degli occhi” si convertirono a una viva fede in Dio.

Il giovane ramo della fenomenologia tedesca e soprattutto francese (Waldenfels, Marion, Henry) dà anche risultati brillanti: la ragione e la rivelazione si illuminano a vicenda, perché la ragione e la fede derivano dalla stessa fonte. In Germania Josef Pieper ha recuperato Tommaso d’Aquino per criticare la filosofia esistenziale ed agnostica contemporanea. E Pieper ispirava profondamente papa Benedetto. Il tomismo classico come un accesso alla realtà può essere integrato nella fenomenologia.

A suo parere, oggi la Chiesa dovrebbe combattere una battaglia culturale contro il neo-modernismo, oppure il rischio di cadere nelle eresie moderniste non c’è e quindi non c’è nulla da combattere?
Il rischio della Chiesa è la volontà di abbracciare la cultura neo-moderna. Questo rischio è legittimo (nessun rischio, nessun successo), il pericolo è evidente: cadere in una pacificazione. Il successo è dubbio. Siamo troppo profondamente coinvolti per vedere già quale sarà la parte vincente. Molto problematico è il fatto che la teologia scientifica sta criticando termini classici, anche dogmatici, come “personalità” (di Dio), “trascendenza”, “ontologia” senza sostituirli con espressioni migliori.

Al mio sguardo (filosofico) credere è anche una questione di pensiero. L’intelletto è un dono di Dio. La Chiesa potrebbe promuovere di più l’educazione filosofica di sacerdoti e laici. Io ho lavorato per 19 anni in una società agnostica all’80% (Dresda), insegnando filosofia della religione - e solo quelli intelligenti tra gli studenti hanno partecipato alle lezioni.

Negli anni scorsi lei ha esaminato criticamente le teorie del “gender”. Da poche settimane nel suo paese, la Germania, è stato riconosciuto «il cosiddetto “terzo sesso”», un tema che compariva anche in un suo articolo critico nel 2006. Qual è il suo commento al proposito?
Non esiste un terzo sesso. Né in modo biologico né in modo psichico. Lo Stato tedesco ha aperto una categoria relativa solo al sentimento, alla soggettività, alla fantasia. Perché non settanta o settemila sessi? Lo stato con la sua legislazione non deve rispondere a una emozione individuale o psichica; la realtà fisica dei due sessi è la materia delle leggi. Non è compito dello Stato regolare o soddisfare desideri individuali. Contro i fatti.

Negli ultimi anni molti paesi europei, fra cui anche l’Italia, hanno approvato leggi per i matrimoni o le unioni fra persone dello stesso sesso, legislazioni non ammesse dal magistero della Chiesa cattolica: lei che giudizio ne dà?
Judith Butler, la promotrice del “gender”, ha - contro la sua intenzione - osservato che l’omosessualità può agire nell’atto sessuale solo imitando l’atto eterosessuale. Nella natura vale solo il modello chiave/chiusura. Due chiavi non aprono, due chiusure non chiudono niente. Il fenomeno sessuale richiede due differenti sessi o richiede una imitazione artificiale della dualità normale. La mia risposta non argomenta in senso morale ma antropologico: la dualità dei sessi non può essere annullata. Anche nell’omosessualità esiste una ubbidienza latente alla realtà eterosessuale.

Come la legislazione risponde all’omosessualità è un’altra questione. Ma la prima questione antropologica è l’osservazione della realtà.

Lei ha parlato di «necessità di una “politica del soprannaturale”»: che cosa significa nel contesto attuale, ad esempio nei paesi europei?
La citazione non proviene da me ma dalla filosofa francese Simone Weil (1909-1943). Weil era affascinata dall’idea che lo Stato dovrebbe essere regolato non dal diritto positivo ma dalla giustizia sovrannaturale, come Platone scrive nella “Politéia” (Repubblica).

Questo pensiero è giusto ma deve essere limitato. Oggi comprendiamo la “giustizia sovrannaturale” come legge naturale o diritti umani: non sono negoziabili. Ma lo Stato agisce anche, perfino prevalentemente, con il diritto positivo, vale a dire con le leggi che sono risultato di compromessi e negoziazioni. Si deve distinguere fra diritti assoluti, per esempio il diritto di vivere (a nessuno è permesso di uccidermi), e diritti di esigenza relativa, per esempio il diritto di educazione, lavoro, tempo libero (questi diritti dipendono dalle possibilità dello Stato, specialmente della situazione finanziaria).

Rispetto all’Europa: i diritti umani assoluti sono validi (sono stati “sviluppati” anche in Europa dallo spirito del Vangelo), ma il diritto di non essere ucciso vale non ovunque: non per i nascituri e non per i morituri. Aborto e eutanasia sono violazioni evidenti della giustizia “sovrannaturale” nel senso di Simone Weil. Rispetto ai migranti: anche per lei i diritti umani assoluti sono validi, ma l’esigenza di abitazione, lavoro, educazione può essere soddisfatta solo in relazione alla capacità dello Stato, cioè in modo relativo.