I neo cardinali entusiasti del libro omoeretico
I cardinali Farrell e Tobin appoggiano il libro di un sacerdote statunitense che si batte per la normalizzazione dell’omosessualità e deplora il Catechismo sul tema. E con loro anche il vescovo di San Diego. È la solita studiata confusione tra il rispetto per gli omosessuali e l'accettazione della vita gay con tanto di nozze e adozioni.
Due cardinali, di cui uno ai vertici della Curia, e un vescovo appoggiano apertamente il nuovo libro di un noto sacerdote statunitense, che da anni si batte per la normalizzazione dell’omosessualità. L’autore è il gesuita James Martin, e il titolo della sua ultima opera è già tutto un programma: Building A Bridge: How the Catholic Church and the LGBT Community Can Enter into a Relationship of Respect, Compassion, and Sensitivity (“Costruire un ponte: come la Chiesa Cattolica e la comunità Lgbt possono instaurare una relazione di rispetto, compassione e sensibilità”).
Il volume ha il sostegno del neo cardinale Kevin Farrell, prefetto del nuovo Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, istituito da papa Francesco il 15 agosto scorso con la lettera apostolica Sedula Mater. Nella fascetta pubblicitaria, Farrell definisce il libro di Martin “benvenuto e davvero necessario”, aggiungendo che “aiuterà vescovi, sacerdoti, collaboratori pastorali e tutti i leader della chiesa ad assistere più compassionevolmente la comunità Lgbt. Aiuterà anche i cattolici Lgbt a sentirsi più a casa in quella che, dopotutto, è la loro Chiesa”.
Ancora più elogiativi i toni di un altro porporato, Joseph Tobin, creato cardinale - assieme a Farrell - nell’ultimo concistoro di novembre e noto per aver manifestato appoggio alle suore progressiste della Lcwr (oggetto di un vasto piano di riforma della Congregazione per la dottrina della fede, a causa delle varie posizioni contrarie al Magistero): “In troppe parti della nostra chiesa le persone Lgbt sono state fatte sentire non benvenute, escluse e perfino biasimate. Il coraggioso, profetico e stimolante nuovo libro di padre Martin segna un passo essenziale nell’invitare i leader della chiesa ad accompagnare con più compassione e nel ricordare ai cattolici Lgbt che sono parte della nostra chiesa come ogni altro cattolico”.
Quasi in fotocopia il significato della mini recensione del vescovo di San Diego, Robert McElroy, che esalta il lavoro del sacerdote americano perché “ci fornisce il linguaggio, la prospettiva e il senso di urgenza per rimpiazzare una cultura di alienazione con una di misericordiosa inclusione”. McElroy è il vescovo che in una recente intervista con il settimanale gesuita America, per il quale scrive lo stesso Martin, ha dichiarato che riferirsi agli atti omosessuali come “intrinsecamente disordinati” (CCC 2357) è un linguaggio “molto distruttivo” che non andrebbe usato “pastoralmente”. E ha inoltre invitato la sua diocesi ad abbracciare “le famiglie Lgbt”.
C’è una parola che riassume i fini che orientano questo libro, il suo autore e coloro che lo sostengono: omoeresia. L’obiettivo comune dei promotori dell’omoeresia (definizione coniata dal sacerdote polacco Dariusz Oko) è quello di far passare l’insegnamento della Chiesa, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione, come non misericordioso. Così, non solo si promuove una falsa idea di misericordia, sganciata dalla verità sulla natura umana, ma si oscura il fatto che proprio molti ex gay hanno affermato di essere stati aiutati a ritrovare la strada grazie al Magistero e all’incontro con pastori che li hanno sì accolti con benevolenza, indicandogli però con chiarezza la via da seguire per non offendere Dio e realizzare pienamente il Suo disegno nella loro vita.
È proprio il tanto bistrattato Catechismo a ricordare che bisogna distinguere tra peccato e peccatore, condannando il primo e accogliendo il secondo. Gli atti omosessuali, infatti, “sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati” (CCC 2357). Ma alla deplorazione dell’atto, la Chiesa unisce la profonda attenzione per la persona, per tutti quegli uomini e quelle donne con attrazione omosessuale, che “devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione” (CCC 2358).
Perciò, per incontrare Dio, i fedeli non hanno certo bisogno del moderno linguaggio zuccheroso proposto da Martin e mutuato dall’associazionismo arcobaleno, che di fatto vuole negare la validità dell’insegnamento di sempre della Chiesa, ossia parte della missione che Cristo stesso le ha affidato. Sebbene Martin si guardi dal chiedere esplicitamente un cambiamento di dottrina, la sua storia parla chiaro. In eventi pubblici ha incoraggiato il coming out, ha tenuto seminari con gay “sposati” e, a febbraio, ha pubblicato una serie di tweet per dire che i trans devono poter usare il bagno che preferiscono, definendo “un affronto alla loro dignità di essere umani” la decisione dell’amministrazione Trump di annullare le regole ideologiche emanate in precedenza da Obama. Secondo il gesuita, i cattolici dovrebbero rivolgersi a persone gay e trans con il termine che esse desiderano (quindi, non in base al sesso reale, bensì alla loro percezione).
Non solo. A ottobre, Martin ha perfino ricevuto un premio da New Ways Ministry, il sedicente gruppo di cattolici Lgbt fondato da suor Jeannine Gramick e padre Robert Nugent, a cui nel 1999, dopo vari richiami da parte dei vescovi americani e della Curia romana, la Congregazione per la dottrina della fede (allora guidata da Ratzinger) proibì ogni attività pastorale con persone omosessuali, alla luce dei loro scritti e comportamenti gravemente contrari all’insegnamento della Chiesa. Suor Jeannine, che sostiene pure l’aborto, non ha fatto mancare il suo commento al libro di Martin, il quale secondo lei “mostra come il Rosario e la bandiera arcobaleno possano pacificamente incontrarsi”.
Affermazione che oltre a essere un ossimoro è rivelatrice del rifiuto del disegno di Dio sull’uomo. Perché ciò a cui mira la lobby gay non è l’accoglienza delle persone omosessuali, che la Chiesa insegna e mette in pratica da duemila anni, ma la pretesa di negare che gli atti omosessuali costituiscano un peccato. Ma questa pretesa è contraria al loro stesso bene, perché come spiega la Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, “l’attività omosessuale impedisce la propria realizzazione e felicità perché è contraria alla sapienza creatrice di Dio. Quando respinge le dottrine erronee riguardanti l’omosessualità, la Chiesa non limita ma piuttosto difende la libertà e la dignità della persona, intese in modo realistico e autentico”.