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TARIQ RAMADAN A MILANO

I Fratelli musulmani infilano la loro candidata nel Pd

I Fratelli musulmani mettono le mani sulle liste del Pd a Milano e, in caso di vittoria alle comunali, diranno la loro sulla costruzione della moschea. La testa di porte è Sumaya Abdel Qader, candidata nelle liste Pd. E a sostenerla arriva Tariq Ramadam, la voce più importante in Occidente dei Fratelli musulmani.

Politica 20_05_2016
Sumaya Abdel Qader, candidata nelle liste Pd alle elezioni comunali di Milano

«Tariq Ramadan è la voce più importante sulla questione dei musulmani d'Occidente e il rinnovamento del pensiero islamico. È docente di "Studi Islamici Contemporanei" all'Università di Oxford e alla Facoltà di Studi Islamici del Qatar, inoltre dirige il Centro di Ricerca sulla Legislazione Islamica e l'Etica (Cile) a Doha. È Presidente del think thank European Muslim Network (Emn) ed è membro dell'Unione Mondiale dei Sapienti Musulmani». Così Davide Piccardo, membro del Caim, annuncia la venuta a Milano del nipote di Hasan al-Banna in occasione dell’Assemblea generale del European Muslim Network, di cui sono membri italiani Davide e Hamza Roberto Piccardo, che si terrà nel capoluogo meneghino ai primi di giugno. 

Il 3 giugno, un giorno prima della chiusura della campagna elettorale per le amministrative dove figura come candidata nelle liste del Pd Sumaya Abdel Qader, Ramadan terrà un incontro pubblico alla Camera del Lavoro sui musulmani europei e le loro responsabilità. Difficile non pensare a una strana coincidenza, vista la vicinanza della Abdel Qader al Caim, a Piccardo e a Ramadan stesso. Ciononostante, quel che più interessa è comprendere le posizioni della «la voce più importante sulla questione dei musulmani d'Occidente e il rinnovamento del pensiero islamico». Innanzitutto è indispensabile ricordare che, nonostante la sua fama sia legata all’islam europeo, la sua carriera è invece legata sia all’ideologia della Fratellanza per motivi familiari sia al Qatar che da un lato ha finanziato la sua cattedra a Oxford, dall’altro lo ha voluto come direttore del Center for Islamic Legislation and Ethics di cui l’European Muslim Network è l’anima europea tanto da averne ospitato, nel marzo 2015, la terza conferenza annuale a Bruxelles. 

Un legame che lo vede cittadino svizzero per nascita, residente e operativo in Gran Bretagna, di recente aspirante cittadino francese, ma al contempo legato al Qatar che è lo stesso paese che ha versato attraverso la Qatar Charity 25 milioni di euro all’italiana Ucoii. Ramadan promuove quindi un islam europeo che si integra, ma tutto questo con un finanziamento straniero. La schizofrenia di Ramadan si evince altresì nei suoi scritti e in modo particolare da un “lessico rifiutato” da Le Nouvel Observateur nel 1998, ma che Ramadan pubblicò l’anno successivo in appendice all’edizione francese del suo saggio “Essere musulmano europeo”. Ecco qui di seguito alcune voci: «Bin Laden: Il grande mistero del “nemico pubblico numero uno” costruito nuovamente. Sarebbe appoggiato dai talebani che sono appoggiati dal Pakistan e dall’Arabia Saudita che a loro volta sono appoggiati dagli… Stati Uniti. Bisognerebbe domandarsi se, a lungo termine, la strumentalizzazione del “milionario integralista” non avvantaggi la politica americana più di quanto non la metta in pericolo»

«Dittature: la coscienza dei musulmani deve denunciarle tutte, sia quelle ricche che quelle povere, quelle alleate all’Occidente e quelle nemiche. Dire “islam” significa dire “resistenza a tutte le dittature”: ebbene, queste sono per lo più la regola nel mondo musulmano contemporaneo». «Jihad: il termine non ha nulla a che vedere con la formula “guerra sanat” (un concetto che si rifà alla storia dell’Occidente). Jihad significa “sforzo” contro le tentazioni della violenza e dell’aggressività che l’essere umano porta in sé. Sul piano militare, sociale e politico, significa “resistenza” all’aggressione, all’ingiustizia e allo sfruttamento con tutte le vie legali. Molti gruppuscoli utilizzano il termine con il fine di legittimare delle azioni che sono in totale opposizione con i principi islamici».

 «Moderato: l’aggettivo più apprezzato dalla classe politica e dai giornalisti e con il quale definiscono i musulmani e le musulmane che loro sembrano “accettabili”. Tuttavia l’uso dell’aggettivo è spesso arbitrario e poggia su criteri molto soggettivi: i “moderati” del giorno sono spesso i non-praticanti. Il rispetto della scelta di questi ultimi non deve fare dimenticare il diritto che hanno i musulmani di semplicemente rispettare le prescrizioni della loro religione senza essere considerati dei fanatici. Molti musulmani sanno coniugare l’esigenza nella pratica e la moderazione nella loro vita quotidiana: questa unione non ha nulla di “sospetto”».

«Palestina: Fino a quando si lascerà questo popolo a essere privato dei suoi diritti? Non ci sarà pace, serenità e avvenire nella regione senza una pace giusta. Si può continuare oggi a nascondersi dietro l’immagine dell’’terribile’ Netaniahu per giustificare cinquant’anni di silenzio e oppressione continua di un popolo?». Tuttavia la voce più interessante è quella che riguarda il nonno, fondatore dei Fratelli musulmani: «Hasan al-Banna: il fondatore dei Fratelli musulmani talmente citato e così poco letto. In Occidente lo si conosce soprattutto attraverso quel che hanno detto di lui i suoi nemici politici e in modo particolare i colonizzatori inglesi e i militanti sionisti. L’onestà intellettuale richiederebbe tuttavia che si studiasse il suo pensiero e che si valutasse l’azione reale del più influente dei riformisti musulmani di questo secolo».

Altrove Ramadan ha dichiarato di avere studiato «le idee di Hasan al-Banna con grande attenzione» e che «non c’è nulla» che rifiuti del suo pensiero. D’altronde la controversa tesi di dottorato di Ramadan verte principalmente sul pensiero di al-Banna. Tuttavia non sono certo rassicuranti le parole di Hasan al-Banna, riportate nel sermone di venerdì 14 marzo 2003 da Yusuf al-Qaradawi, presidente dell’International Union of Muslim Scholars di cui Ramadan è membro: «In gioventù avevo l’abitudine di recitare alcune invocazioni, tra cui una che diceva: “O Dio accordami da parte tua una vita piacevole e una morte piacevole!”. Cari fratelli che cosa credete che sia la morte piacevole? Credete che una morte piacevole consista nel morire nel proprio letto, vicino ai propri familiari e i propri figli? È questa la morte piacevole? Tutti muoiono così. In verità, c’è la morte piacevole nel momento in cui questa testa è staccata da questo corpo sulla via di Dio». 

Non solo, ma basterebbe leggere la Lettera del jihad di Hasan al-Banna per apprendere dalla sua viva voce che «Allah ha imposto a tutti i musulmani un dovere imperativo, risoluto, inevitabile che dovrebbe essere un massimo desiderio, la ricompensa più eloquente per tutti i combattenti e martiri, che saranno affiancato nella loro ricompensa solo da coloro che agiscono come loro e da coloro che li imitano nel loro jihad. […] Non troverete mai un sistema, antico o moderno, religioso o civile, che si preoccupi del jihad, dell'esercito, di andare in guerra per la nazione formando un unico rango per difendere giustamente con tutta la forza, più della religione e degli insegnamenti dell'Islam. I versetti del Nobile Corano e dei detti del grande Inviato di Allah – la pace e la benedizione di Allah su di lui - abbondano di tutti questi significati nobili e chiamano in modo chiaro e illustrano chiaramente il jihad, per combattere, per arruolarsi, per potenziare tutti i mezzi difensivi e offensivi di qualsiasi natura sulla terra, per mare e in qualsiasi altro luogo, in ogni situazione e condizione». 

La lunga lettera si conclude specificando che il jihad maggiore per il musulmano è quello armato e, nonostante Ramadan affermi che l’unica eccezione fatta dal nonno a favore della guerra armata è la Palestina, nel lungo testo mai ricorre un solo riferimento alla questione che sta tanto a cuore al nipote. Infatti, se nei numerosi scritti, Ramadan non fa apologia palese del terrorismo, anche se ne attribuisce responsabilità all’Occidente più volte, quando gli è stato domandato dalla giornalista italiana Silvia Grilli, all’epoca giornalista per la rivista Panorama, se giustificasse i kamikaze palestinesi che uccidono i civili israeliani, ha risposto: «Questi atti sono in sé condannabili, cioè bisogna condannarli in sé. Ma quello che dico alla comunità internazionale è che sono contestualmente spiegabili e non giustificabili. Che cosa significa? Vuol dire che la comunità internazionale ha messo oggi i palestinesi in una tale situazione, dove li sta consegnando a una politica oppressiva, che ciò spiega, ma senza giustificare, che a un certo punto la gente dica: non abbiamo armi, non abbiamo niente e dunque non si può fare che questo. È contestualmente spiegabile, ma moralmente è condannabile». 

E ancora in un libricino edito dalle edizioni Tawhid in Francia, Ramadan scrive che «nell’islam vi sono delle situazioni in cui la resistenza armata è legittima, in particolare nelle situazioni in cui la violenza subita, o la repressione imposta, oppure la negazione del diritto sono tali che corrisponderebbero a perdere la dignità umana qualora vi ci si sottomettesse», che «la guerra è una cosa detestabile, e ciascuno nel proprio intimo la rifiuta, ma talvolta bisogna intraprenderla», che «il dovere di resistenza è estremamente importante nell’islam», che «la resistenza palestinese è legittima, sia sul piano del diritto internazionale sia alla luce degli insegnamenti islamici: l’occupazione sionista è una colonizzazione, un’aggressione che si traduce un’oppressione sistematica di tutto un popolo», che «non si può riversare tutta la colpa su donne e uomini, negati e oppressi, che hanno come unica possibilità quella di sacrificare la loro vita e di prendersela con gli unici obiettivi che possono raggiungere (tenendo conto dell’incredibile arsenale militare israeliano) e dimenticare di condannare la politica israeliana prima produttrice di questa violenza, così come l’inaccettabile passività degli Stati Uniti e dell’Europa nell’affrontare la crisi, che offre una cauzione morale al terrorismo di Stato israeliano e che spinge i palestinesi verso l’ultima speranza degli attentati per essere semplicemente ascoltati»

In tutto questo Ramadan, non si discosta molto né dal nonno né dai suoi maestri come Qaradawi. Ma per venire all’evento milanese e alla campagna elettorale in corso, in un’audiocassetta dal titolo Islam e laicità, Ramadan chiede ai musulmani «di partecipare alla vita politica in tutte le sfere […] di modo che potremo cambiare le cose verso una maggiore accettazione dell’islam», sostenendo che «è importante per il musulmano agire come un cittadino in modo da influenzare il suo contesto sociale, anche se gli è impedito di essere influenzato dall’ambiente». Sarà questo il motivo per cui tutto il European Muslim Network e Tariq Ramadan sono a Milano, ospiti del Caim, alla vigilia del voto per sostenere, anche indirettamente, l’elezione di Sumaya?  D’altronde Sumaya ha detto chiaramente di riconoscersi anche nel pensiero di Hasan al-Banna che Ramadan conosce e condivide. Ma Sumaya avrà letto anche la Lettera del jihad e condividerà le opinioni sugli attentati suicidi in Israele giustificati da Ramadan? Ancora una volta sarà bene fare chiarezza.