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MARCIA DELL'1 LUGLIO

Hong Kong: la nostalgia di una libertà perduta

L'1 luglio di 22 anni fa, il Regno Unito restituiva Hong Kong alla Cina, dietro la promessa che l’ex colonia mantenesse le sue libertà e la sua autonomia. Quel principio è in crisi e centinaia di migliaia di cittadini hanno partecipato alla Marcia dell'1 Luglio. Una minoranza ha occupato il parlamento dove, per poco, è tornata la bandiera britannica.

Esteri 02_07_2019
La bandiera britannica appesa nel parlamento di Hong Kong

L'1 luglio di 22 anni fa, il Regno Unito restituiva Hong Kong alla Cina, dietro la promessa che l’ex colonia mantenesse le sue libertà e la sua autonomia sotto il modello “un Paese, due sistemi”. Se gli abitanti della città-Stato godono ancora di tutti i diritti di libertà, comprese la libertà di religione e di espressione, lo devono al lascito del diritto britannico. Ogni anno, l'1 luglio, i cittadini di Hong Kong partecipano ad una marcia pacifica in difesa della loro libertà. Quest’anno alla marcia hanno partecipato centinaia di migliaia di persone. Protestano contro la nuova legge sull’estradizione, attualmente sospesa, che rischia di compromettere il modello “un Paese, due sistemi”, permettendo alla Cina Popolare di processare cittadini di Hong Kong. Una minoranza di manifestanti ha forzato l’ingresso della sede del Consiglio Legislativo, il parlamento, appendendo al suo interno, simbolicamente, la vecchia bandiera coloniale britannica.

La Marcia del Primo Luglio è iniziata alle 15 (ora di Hong Kong, dunque le 9 di ieri mattina in Italia), organizzata dal Fronte Civile per i Diritti Umani. Come tutti gli anni si è trattato di una manifestazione pacifica. L’affluenza è stata particolarmente alta quest’anno, si contavano centinaia di migliaia di persone in piazza. Il tema della Marcia non poteva che essere la legge sull’estradizione. Il capo dell’esecutivo, Carrie Lam, dopo le manifestazioni oceaniche di giugno, ha sospeso la norma che permetterebbe l’estradizione di cittadini di Hong Kong anche in Cina. Sospensione, tuttavia, non vuol dire necessariamente “revoca”. I manifestanti chiedono la revoca di quella riforma, per fugare ogni dubbio. Carrie Lam è però ferma sulla sua posizione: la legge sarà ritardata, ma non cancellata.

Nonostante il carattere pacifico della Marcia, una minoranza di attivisti, equipaggiati con elmetti di plastica, maschere antigas e ombrelli (simbolo della protesta del 2014, stavolta usati per nascondersi agli occhi delle telecamere di sorveglianza) ha deciso di passare all’azione. Usando un trolley come ariete, il gruppo ha prima infranto uno dei portoni di vetro del Consiglio Legislativo (LegCo), poi ha forzato l’ingresso, occupando l’aula del legislativo. I manifestanti hanno cancellato con vernice il simbolo di Hong Kong e hanno appeso la vecchia bandiera coloniale britannica. Nello stabile occupato hanno danneggiato mobili e scritto con lo spray slogan di protesta. Infine si sono preparati a resistere ad oltranza e passare la notte nel parlamento.

Sono state ore di attesa e terrore, perché l’Esercito Popolare di Liberazione (l’esercito regolare della Cina Popolare) ha truppe di stanza a Hong Kong e l’occupazione delle sedi istituzionali poteva far scattare, in teoria, anche un intervento armato. Un parlamentare pro-democratico, presente al momento dell’occupazione, temeva già il bis di Tienanmen: “Dicevano di poter battere la polizia grazie alla loro mera superiorità numerica. Quest’affermazione mi è suonata subito molto allarmante – ha detto alla BBC – Io ero giornalista a Tienanmen, 30 anni fa, ed era esattamente quel che gli studenti dicevano, allora, nella capitale cinese”. Non è intervenuto l’esercito cinese, alla fine, ma la polizia di Hong Kong. A mezzanotte (le 18, in Italia) con durezza, ma senza spargimenti di sangue, ha sgomberato la sede del parlamento.

I manifestanti pacifici e gli organizzatori della Marcia non hanno molto gradito l’occupazione e hanno cambiato il percorso. Doveva concludersi proprio davanti al Consiglio Legislativo, ma è stato deviato verso il centro dell’isola. Testimoni riferiscono che i partecipanti alla Marcia hanno cercato di fermare i giovani che stavano facendo irruzione nella sede del legislativo, ma sono stati respinti a spintoni.

Di ben altro tenore è stata la manifestazione dei cristiani, riuniti a Victoria Park a pregare e a cantare. L’incontro, a cui hanno partecipato circa 800 fedeli, si è tenuto sotto il “padiglione della musica”. Era organizzato dalla Commissione Giustizia e pace della diocesi di Hong Kong e da comunità protestanti sul tema “Tenebre e luce per te sono uguali” (salmo 139, 12b). Dopo alcuni canti, vi sono stati gli interventi di padre Jacob Kwok, della diocesi di Hong Kong e del pastore Young Man Chan.

Finita la giornata, sgomberato il parlamento, resta una strana sensazione nel vedere le foto di quella bandiera coloniale appesa nell’aula del parlamento, come atto di protesta. Un vessillo nostalgico dell’era britannica, incomprensibile per chi è cresciuto in una cultura anti-colonialista, ma che ormai è diventato un simbolo di libertà perduta, per chi sta (lentamente, ma inesorabilmente) finendo nelle fauci del totalitarismo cinese.