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1914-2014

Grande Guerra, figlia mostruosa del Risorgimento

A cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale è bene ricordare il dramma dell'intervento italiano, non necessario, non voluto dalla maggioranza degli italiani, ma imposto da una classe dirigente ubriaca di ideali risorgimentali.

Cultura 11_04_2014
Carso, italiani all'assalto

“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti”. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri! Dice Gesù.

I caduti italiani durante la Grande Guerra sono stati quasi settecentomila. La popolazione italiana all’inizio del Novecento era di circa 35 milioni. Questo significa che ogni famiglia ha avuto al suo interno uno o più morti. A guerra finita, sono spuntati ovunque lugubri monumenti di rara bruttezza, tutti mestamente uguali in ogni angolo d’Italia, a perpetuo ricordo dei caduti per la patria. I governanti liberali hanno colmato la misura.

“Inutile strage”, scrive Benedetto XV. Mettendo da parte le ragioni economiche, quale era il progetto che le élites nazionali perseguivano imponendo all’Italia una guerra che nessuno voleva? Per quanto riguarda Napoli, per esempio, abbiamo dei dati precisi: secondo il prefetto della città il 90% della popolazione era avverso alla guerra, decisamente favorevole alla neutralità.

E allora perché? Uno dei grandi meriti dell’Italia cattolica, che Pio IX ricorda per ribattere al disprezzo, alla menzogna e alla persecuzione scatenate nella nostra nazione dalla massoneria, è quello di aver distolto l’animo degli italiani “da quella luce passeggera di gloria, che i lor maggiori, soprastando essi nelle armi, avevano riposto nell’incessante tumulto delle guerre, nell’oppressione degli stranieri, e nell’assoggettare a durissimo servaggio quel maggior numero di uomini che per loro si potesse”. Educati alla fede cattolica, gli italiani si sono dedicati “a praticare la giustizia e la misericordia, e ad opere insigni di pietà verso Dio e di beneficenza verso gli uomini”. I segni di questa civiltà millenaria sono, nonostante tutto, ancora straordinariamente evidenti in tutte le città italiane.

Il Risorgimento rompe, fin dall’inizio, la virtuosa gara di carità, di bellezza e di operosità. È lo stesso Cavour ad affermare in termini molto netti la necessità di una rinascita morale dello spirito nazionale. Così scrive nel 1846: “Le classi numerose che occupano le posizioni più umili nella sfera sociale, per acquisire la coscienza della propria dignità, hanno bisogno di sentirsi grandi dal punto di vista nazionale”; “Se desideriamo con tanto ardore l’emancipazione dell’Italia, è non solo per vedere la nostra patria gloriosa e potente, ma soprattutto perché possa elevarsi nella scala dell’intelligenza e dello sviluppo morale fino al livello delle nazioni più civilizzate”.

Per elevarsi al rango delle nazioni più civilizzate il regno di Sardegna va a combattere la guerra di Crimea. Una guerra decisa da Cavour e dal Re nonostante la contrarietà della popolazione e la fortissima titubanza del parlamento. Così scrive William de la Rive, amico e biografo di Cavour: il parlamento, messo di fronte al trattato concluso con Francia e Inghilterra “come un fatto compiuto sul quale non si potrebbe ritornare senza urtare le potenze alleate”, si piega alla volontà del presidente del Consiglio e di Vittorio Emanuele.

Per diventare “gloriosi e potenti” i Savoia conquistano tutti gli stati italiani e, appena raggiunta l’unità della penisola, benedicono una politica espansionista di tipo coloniale con tutti i disastri e le ingiustizie ad essa collegati. Disastri ed ingiustizie cui l’Italia fino a quel momento -lo ricorda Pio IX- non aveva partecipato.

Nel 1915 viene ripetuto quasi alla lettera il copione inaugurato con la guerra di Crimea nel 1855: la Prima Guerra Mondiale segna il coronamento –fallimentare coronamento- della politica risorgimentale sabauda e liberale.