Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
I VESCOVI AFRICANI

“Giovani non emigrate”. L'appello che la Cei non sente

Ancora una volta la Chiesa ha preso la parola in Africa per raccomandare ai giovani di non emigrare clandestinamente. Nei giorni scorsi a intervenire sul fenomeno dell’emigrazione illegale è stata la Cerao, la Conferenza Episcopale Regionale dell’Africa Occidentale. La Conferenza episcopale italiana sembra non rendersi conto dell’impegno delle Chiese africane volto a salvare vite umane, tutelare l’unità famigliare e promuovere il bene collettivo.

Attualità 23_05_2019

Ancora una volta la Chiesa ha preso la parola in Africa per raccomandare ai giovani di non emigrare clandestinamente. Nei giorni scorsi a intervenire sul fenomeno dell’emigrazione illegale è stata la Cerao, la Conferenza Episcopale Regionale dell’Africa Occidentale, riunita dal 13 al 20 maggio nella capitale del Burkina Faso, Ouagadougou, per la sua terza Assemblea plenaria, dedicata a “Nuova evangelizzazione e sviluppo umano integrale nella Chiesa”. L’Assemblea si è conclusa con un pellegrinaggio al santuario mariano di Yagma la mattina del 19 maggio: un momento di comunione e di preghiera per chiedere alla Madonna “di intercedere per i paesi africani in preda a crisi di sicurezza e sociali”. Durante la visita al santuario i prelati hanno partecipato a una messa e hanno rilasciato una dichiarazione comune, un testo contenente sette punti di riflessione “sulla precarietà dei popoli africani, il loro desiderio di vivere una vita dignitosa in un’Africa ricca delle proprie risorse naturali”. 

La dichiarazione riprende i contenuti della lunga, intensa Lettera pastorale, articolata in 23 paragrafi, pubblicata al termine dei lavori, un messaggio “di pace, incoraggiamento e speranza” rivolto ai fedeli: governanti, popolazione, sacerdoti, persone consacrate ... Indirizzandosi ai giovani, “non lasciatevi ingannare dalle false promesse che vi porteranno alla schiavitù e a un futuro illusorio – dice il messaggio – con il duro lavoro e la perseveranza ce la potete fare anche in Africa e, cosa più importante, potete rendere questo continente una terra prospera”. 

I membri della Cerao sono preoccupati non per i giovani che emigrano legalmente, quelli che scelgono come destinazione altri paesi africani con maggiori opportunità di lavoro, ma per “il fenomeno della migrazione irregolare”, per i giovani che decidono avventatamente di lasciare il continente in maniera clandestina. “Voi rappresentate il presente e il futuro dell’Africa, che deve lottare con tutte le sue risorse per la dignità e la felicità dei suoi figli e figlie – così inizia il 16° paragrafo della Pastorale intitolato “Ai nostri giovani: forze vive dei nostri paesi” – in questo contesto, non possiamo tacere davanti al fenomeno delle vostre migrazioni, in particolare verso l’Europa. I nostri cuori di pastori e padri soffrono davanti allo spettacolo di imbarcazioni sovraccariche di giovani, donne e bambini che si perdono tra le onde del Mediterraneo. Certo noi comprendiamo la vostra sete di felicità e di benessere che i vostri paesi non vi offrono. La disoccupazione, la miseria, la povertà sono mali che umiliano e ai quali ci si ribella. Tuttavia non devono indurvi a sacrificare le vostre vite lungo strade pericolose e destinazioni incerte”. 

L’appello della Cerao si aggiunge ai tanti già lanciati nel corso degli ultimi anni dalle Chiese africane, da tempo impegnate in campagne di informazione rivolte ai giovani e alle famiglie, per contrastare l’emigrazione illegale. Sempre però, mentre esortano i giovani a restare, a mettere a frutto i loro talenti in patria, le Chiese richiamano i governi alle loro responsabilità. Anche la lettera pastorale della Cerao dedica quattro paragrafi, dal 17° al 20°, ai doveri dei governanti e dei politici. Tra le cause del malessere giovanile – scrivono i vescovi – bisogna considerare il malgoverno, l’insicurezza, le carenze del sistema educativo, la mancanza di opportunità di lavoro. “Chiediamo quindi ai nostri governi di promuovere una nuova cultura della leadership, nel servizio, nella giustizia e nel patriottismo, e di creare un ambiente favorevole agli africani, affinché possano vivere e prosperare nel nostro continente”. “Nell’espletamento delle vostre funzioni – la Pastorale ricorda ai governanti – voi siete i guardiani dei vostri fratelli, delle vostre sorelle e delle vostre nazioni. Nella loro aspirazione allo sviluppo, nel loro desiderio profondo di benessere, nella loro lotta per condizioni di vita migliore, nella loro aspirazione alla pace, all’istruzione, alla felicità gli sguardi dei vostri popoli sono rivolti verso di voi. Vi esortiamo a combattere tutto ciò che mette in pericolo il bene comune e mina la dignità della persona umana: corruzione, cattiva gestione e traffico di esseri umani in tutte le sue forme. Con voi e per voi, noi preghiamo che i privilegi e gli interessi personali non abbiano la meglio nei vostri cuori, ma che vi facciano assolvere il vostro incarico, dando la massima priorità al bene comune”.   

La Conferenza episcopale italiana sembra non rendersi conto dell’impegno delle Chiese africane volto a salvare vite umane, tutelare l’unità famigliare e promuovere il bene collettivo. Al contrario, concorre a vanificarlo. Asseconda infatti l’ideologia immigrazionista che proclama il dovere illimitato di accoglienza, senza curarsi di contribuire così a creare una generazione di giovani senza futuro, “esiliati” in un paese che non è in grado di offrire loro lavoro e prospettive di integrazione, condizioni necessarie per vivere in sicurezza e dignità. 

Né sono valsi a mettere in dubbio il principio dei “porti aperti” i reiterati appelli del cardinale guineano Robert Sarah che ha più volte espresso il proprio disappunto a questo proposito. “Tutti gli emigranti che arrivano in Europa sono senza un soldo, senza lavoro, senza dignità – ha detto intervistato lo scorso 3 aprile dalla rivista “Valeur Actuelles” in occasione della presentazione del suo ultimo libro, “Si avvicina la sera e il giorno è quasi al termine” – è questo che vuole la Chiesa? La Chiesa non può collaborare con questa nuova forma di schiavitù”.