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STRATEGIE

Gentiloni il cattofelpato che oscura Renzi

Conciliare il cattolicesimo sociale, al quale indubbiamente appare più affine, con i temi cari al cattolicesimo liberale, dalla famiglia naturale alla meritocrazia, dalla libertà d’impresa alla valorizzazione del mercato, è la sfida che attende Gentiloni nei prossimi mesi. Le prime prove? Dall'incontro top secret col Papa sui migranti al bagno di folla con Cl.

Editoriali 25_08_2017

Paolo Gentiloni somiglia sempre più a un ricercatore a tempo, che meticolosamente si prepara per le prove che lo attendono e studia per la sua riconferma, puntando a consolidare i suoi saperi e, in questo caso, a coltivare le sue ramificate relazioni diplomatiche e istituzionali. Se fino a qualche mese fa il premier usava la prima persona plurale sottolineando la continuità tra il suo governo e il precedente, da tempo si smarca e rivendica con orgoglio i passi fatti dall’attuale esecutivo su vari fronti. Potendo contare sulla sponda di Sergio Mattarella, questa strategia appare solida e tetragona agli attacchi renziani. L’ex premier, infatti, dopo aver fatto di tutto per provocare le elezioni anticipate, continua a parole a difendere l’esecutivo ma guarda con rinnovato sospetto alla saldatura tra Gentiloni e i suoi ministri più in vista (Padoan, Calenda, Franceschini), cioè all’asse che blinda l’attuale quadro politico, con la benedizione del Quirinale.

All’indomani della nascita del governo Gentiloni formulammo la previsione che dopo Gentiloni ci sarebbe stato ancora Gentiloni, nel senso che l’attuale premier, col suo aplomb e la sua abilità diplomatica, avrebbe potuto far celermente dimenticare il suo predecessore, accreditandosi quale risorsa della Repubblica anche nella prossima legislatura, soprattutto in caso di stallo e di sostanziale pareggio tra le principali forze politiche. Questo scenario appare sempre più realistico e Matteo Renzi, nonostante la sovraesposizione mediatica degli ultimi due mesi legata al tour di presentazione del suo libro, ne è consapevole. Fa buon viso a cattivo gioco ma si rende conto che sul centrodestra lui non sfonda più mentre a sinistra la sua immagine è a dir poco appannata perché il popolo “ulivista” non lo percepisce affatto come un riferimento e non si identifica in molte delle scelte fatte da lui in questi anni.

Snodo fondamentale di queste considerazioni è quello relativo al rapporto col mondo cattolico. Renzi non ha mai costruito solide relazioni in Vaticano né ha mai scaldato i cuori dei cattolici, neppure di quelli tradizionalmente di centrosinistra. Le sue frequentazioni “padronali” (Marchionne su tutti) e il suo ostentato distacco dai lavoratori e dai sindacati gli ha alienato fin da subito le simpatie di quel filone di cattolicesimo democratico che guardava a lui come speranza di rilancio dei valori dell’uguaglianza e della solidarietà. Le sue frasi recenti sull’emergenza immigrati, in particolare l’”aiutiamoli a casa loro”, hanno raffreddato molti entusiasmi ed eroso quei consensi che l’ex sindaco di Firenze aveva conquistato nelle sue prime uscite pubbliche quando sembrava sposare le ragioni e la visione del cattolicesimo sociale. Lo spirito “scoutista” sembrava per lui un biglietto da visita rassicurante per fare il pieno negli ambienti cattolici tradizionalmente rivolti a sinistra, senza escludere sconfinamenti utilitaristici sul terreno del cattolicesimo liberale. Ma ormai quella carta lui non può più giocarla perché non fa più presa.

Oggi il rapporto tra il renzismo e il cattolicesimo, ancor più dopo l’ostinazione dell’ex premier nel voler approvare la legge sulle unioni civili e nel volerla esibire come trofeo del suo governo, appare ridotto ai minimi termini. Per converso, salgono le quotazioni dell’abile Gentiloni, che fa lo slalom tra ambienti cattolici di centrodestra e di centrosinistra, senza assumere posizioni nette, ma manifestando aperture significative alle ragioni degli uni e degli altri. Una strategia “cattofelpata” destinata a dare frutti sempre più copiosi. Dapprima l’incontro con il Papa sui migranti, con una presa di posizione per certi versi anche coraggiosa sul tema dello ius soli; poi il bagno di folla al meeting di Rimini, dove annuncia terapie shock per rilanciare l’occupazione giovanile, aiutare le imprese ad assumere e quindi esaltare la creatività produttiva tanto cara ai ciellini. Non a caso il popolo di Comunione e Liberazione lo ha accolto con applausi scroscianti, mostrando di apprezzare la sua capacità di essere leader senza scadere nel leaderismo, la sua attitudine a cercare superfici di dialogo e di contatto, con una logica unitiva e non divisiva. Tutto il contrario di chi lo ha preceduto a Palazzo Chigi.

Conciliare il cattolicesimo sociale, al quale indubbiamente appare più affine, con i temi cari al cattolicesimo liberale, dalla famiglia naturale alla meritocrazia, dalla libertà d’impresa alla valorizzazione del mercato, è la sfida che attende Gentiloni nei prossimi mesi. Non sarà lui il candidato premier del Pd, a meno di improbabili passi indietro del segretario nazionale, ma potrà diventare lui il cavallo su cui puntare per mettere d’accordo le diverse anime della sinistra e per ricomporre gradualmente le conflittualità tra di loro.

Gli ottimi rapporti tra Gentiloni e Mattarella, l’apprezzamento che l’attuale premier sta registrando in numerose cancellerie europee e le simpatie crescenti che riscuote in ambienti importanti di centrodestra, quelli berlusconiani in primis, sono tutti tasselli fondamentali. E poi un Renzi ormai in caduta libera, mollato da molti dei suoi, con una credibilità assai ridotta dopo il mancato rispetto della solenne promessa di lasciare la politica in caso di sconfitta al referendum del 4 dicembre scorso, facilita ancor più il disegno di consolidamento gentiloniano.

Oltre Tevere è un’ipotesi che non toglie affatto il sorriso, anzi suscita fiducia. Essere apprezzati contemporaneamente dal cattolicesimo sociale e da quello liberale è una impresa quasi proibitiva. Prodi e Berlusconi, tanto per citare i due principali competitor degli ultimi vent’anni, non c’erano riusciti, anzi le loro figure avevano per certi versi radicalizzato la contrapposizione tra i due filoni. Gentiloni potrebbe rappresentare una cerniera accomodante tra le due visioni del mondo e della società. Nella strategia dell’attuale premier c’è un’accurata moral suasion verso tutti e un quoziente ineliminabile di demagogia, che però lo sta facendo salire nei sondaggi, anche nel mondo cattolico. Essere “cattofelpato” per Gentiloni potrebbe dunque rivelarsi una condotta vincente.